Clifford Simak - Fuga dal futuro

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Fuga dal futuro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel giardino di un fotoreporter, ai piedi di una vecchia quercia, si apre a un tratto, come nelle fiabe, un gran buco nero. Ma le creature che ne escono non sono gnomi o folletti, sono uomini e donne, vecchi e bambini che fuggono dal futuro; o, almeno, così dicono. È un’invasione ordinata e pacifica, che pone però ugualmente problemi gravissimi. Possiamo noi, già sovraffollati come siamo, accogliere e mantenere questi milioni di nuovi venuti che dilagano in ogni parte del mondo? E, d’altra parte, chi avrebbe il coraggio di respingere quelli che sono, in fin dei conti, i nostri discendenti? Finché, a sciogliere i nodi e le esitazioni, interviene l’orrendo nemico da cui i profughi fuggivano e che ora si scatena anche nel nostro tempo.

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— Non so cosa dire — asserì Douglas. — I fattori in gioco sono molti. Bisognerà pensarci bene.

— Ci stiamo dimenticando di una cosa — dichiarò Sandburg. — Dobbiamo fare progetti e prendere decisioni senza perdere tempo, d’accordo, ma prima di passare a questo è necessario liberarci dei mostri.

45

Forse hanno ragione i ragazzi che vogliono andare nel passato, pensò Wilson. C’è un indubbio fascino nell’idea di ricominciare tutto da capo, dopo una bella passata di spugna. Il guaio è che, pur ricominciando da zero, l’umanità potrebbe ripetere gli errori già commessi in passato, anche se, sapendolo e rendendosene conto, potrebbe rimediare prima che sia troppo tardi.

Alice Gale gli aveva parlato delle rovine della Casa Bianca e il dottor Osborne, nel viaggio di ritorno da Fort Myer, aveva espresso il parere che fosse possibile porre un rimedio alla situazione che, col tempo, avrebbe portato allo sfacelo e alle distruzioni di cui la rovina della Casa Bianca era un esempio. Siete andati troppo oltre, aveva detto lo scienziato del futuro, l’equilibrio sta rompendosi.

Sì, ammise fra sé Wilson, forse siamo andati troppo oltre: inflazione in tutti i campi, tasse in continuo aumento, i poveri sempre più poveri, nonostante tutti gli sforzi e le belle parole, e i ricchi sempre più ricchi; l’abisso tra ricchi e poveri, tra governo e cittadini sta facendosi sempre più profondo. Ma cosa si sarebbe potuto fare per evitare di giungere a questo punto?

Non ne aveva idea. Qualcuno, forse, riesaminando gli sviluppi politici, economici e sociali degli ultimi tempi sarebbe stato in grado di scoprire gli errori e di dire cosa si sarebbe dovuto fare per evitarli. Ma uomini del genere erano dei teorici, che lavoravano in base a teorie insostenibili nella pratica.

Lo squillo del telefono lo riportò alla realtà.

— Il signor Wilson?

— Sì.

— Qui il corpo di guardia al cancello sudovest. C’è un signore che chiede di vedervi subito. Dice che si tratta di una cosa molto importante. È il signor Thomas Manning. Lo accompagna il signor Bentley Price. Li conoscete?

— Sì. Fateli subito salire.

— Li farò accompagnare da una scorta.

— Bene. Li aspetto nel mio ufficio.

Wilson depose il ricevitore. Cosa poteva aver spinto Manning a venir lì di persona? Un motivo importante, aveva detto. E Bentley? Perché mai anche lui?

Guardò l’ora. La riunione dal Presidente si prolungava più del previsto, o forse era terminata, e il Presidente stava occupandosi d’altro. Però gli pareva improbabile… Kim gli aveva promesso di farlo ricevere appena possibile.

Manning e Bentley entrarono nell’ufficio. La guardia si fermò sulla porta. Wilson disse al soldato: — Va bene, puoi aspettare fuori.

— È un piacere inatteso — disse poi ai due, scambiando con loro una stretta di mano. — Ti vedo così di rado, Tom, e quanto a voi, Bentley, si può dire che non vi veda mai.

— Sono sempre in moto — disse Bentley. — Col mio lavoro non si può mai stare fermi.

— Bentley è appena arrivato dalla Virginia — disse Manning. — Ed è per questo che adesso siamo da te.

— C’era quel cane che è sbucato fuori all’improvviso, e sono andato a sbattere contro un albero — disse Bentley.

— Bentley ha fotografato un mostro fermo in mezzo alla strada proprio nel momento in cui è scomparso — disse Manning.

— Adesso capisco cos’è successo — disse Bentley. — Ha visto che gli puntavo contro la macchina e ha sentito lo scatto. È chiaro, mi pare, che i mostri scompaiono appena si vedono puntato addosso qualcosa.

— Chissà — osservò Manning. — Forse costringerli a sparire è altrettanto utile che dargli la caccia.

Aprì la lampo della borsa che aveva con sé e ne estrasse una manciata di foto. — Ecco, guardate.

Sciorinò le foto sulla scrivania di Wilson.

Questi le guardò, poi guardò Bentley: — Che razza di trucco fotografico avete combinato? — domandò.

— Nessun trucco — lo rassicurò Bentley. — La macchina fotografica non mente mai. Dice sempre la verità. Fa vedere quello che c’era al momento dello scatto. E quello che avete visto è quello che è successo nel momento in cui il mostro spariva.

— Ma i dinosauri! — protestò Wilson.

Bentley gli porse un oggetto che aveva preso nella borsa.

— Guardate con la lente. Se ne vedono molti, in lontananza. È impossibile fare trucchi di questo genere.

Il mostro era indistinto, un’ombra di mostro, ma abbastanza chiaro tuttavia per capire che era un vero mostro extraterrestre, e, alle sue spalle, si distinguevano nettamente tre dinosauri, nitidi in tutti i particolari.

— Se fai vedere le foto a un paleontologo ti dirà che specie di dinosauri sono — disse Manning.

Oltre agli ammali si vedevano delle piante, molto strane: alcune ricordavano le palme, altre parevano felci giganti.

Wilson esaminò attentamente l’immagine con la lente. Bentley aveva ragione. Nello sfondo si distinguevano altri animali, a branchi, in coppie e isolati, e, in primo piano, c’era un piccolo mammifero che stava nascondendosi sotto un cespuglio.

— Abbiamo fatto degli ingrandimenti dello sfondo. Vuoi vederli? — disse Manning.

— No, mi basta questo.

— Abbiamo consultato un testo di geologia — disse Bentley. — È un paesaggio del Cretaceo.

— Sì, lo so — disse Wilson, prendendo il telefono. — Kim? Il signor Gale è nella sua stanza? Digli di venire da me, per favore.

— Queste te le lascio — disse Manning indicando le foto sulla scrivania. — Appena via di qui le faremo trasmettere. Ma volevamo che tu fossi il primo a vederle. Pensi a quello che penso io?

Wilson annuì. — Credo di sì. Ma non citarmi, per piacere.

— Non abbiamo bisogno del sostegno del tuo parere. Le foto parlano da sole — rispose Manning. — Il mostro — il mostro madre, tanto per intenderci — nel passaggio attraverso il tunnel è rimasto esposto al principio dei viaggi nel tempo. Questo principio si è impresso nella sua mente, nel suo istinto, o come diavolo vuoi chiamarlo, e ha trasmesso questa nozione ai piccoli… un istinto ereditario.

— Ma per viaggiare nel tempo sono necessari i tunnel — obiettò Wilson.

Manning alzò le spalle. — Cosa ne sappiamo noi, Steve? Non voglio azzardare supposizioni. Però le foto parlano chiaro: i mostri scappano in un altro tempo, probabilmente tutti nello stesso. Forse nell’istinto di fuga è compreso il periodo di destinazione. Forse il Cretaceo è l’era che più si addice loro. Forse hanno scoperto che noi siamo troppo pericolosi per loro, e che per sopravvivere devono rifugiarsi in un altro tempo.

— Stavo pensando una cosa — disse Wilson. — I dinosauri si sono estinti…

— Sì, lo so — tagliò corto Manning chiudendo la lampo della borsa. — Noi due ce ne andiamo. Abbiamo del lavoro da sbrigare. Grazie per averci ricevuto.

— No, Tom — ribatté Wilson — sono io che devo ringraziare te e Bentley. Grazie a voi abbiamo fatto una scoperta che può aiutarci molto. Altrimenti, chissà quando avremmo risolto il mistero della scomparsa dei mostri. Forse mai.

Quando i due se ne furono andati, si rimise a sedere. Incredibile, pensò. Eppure logico, sotto un certo punto di vista. Gli uomini hanno il difetto di valutare tutto secondo il loro metro. I mostri erano diversi. Avevano ragione quelli del futuro a sottolineare che non bisognava considerarli degli animali, ma degli esseri di una razza tutta particolare, dotati di estrema intelligenza. E si trattava indubbiamente di un’intelligenza che funzionava in modo completamente diverso da quella umana, come diversi erano i loro corpi. La loro intelligenza e la loro capacità non avevano niente a che fare con l’intelligenza e la capacità umana. Per quanto fosse arduo capirlo, probabilmente loro erano in grado di fare per istinto cose per la cui attuazione l’uomo aveva bisogno di macchine.

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