Da diversi punti del Paese erano state organizzate marce su Washington, coi più diversi intenti. C’erano i giovani che volevano unirsi a quelli che speravano di andare nel Miocene e bivaccavano tutta la notte nel Parco Lafayette, in sacchi a pelo o dormendo sulla nuda terra. Altri cortei inalberavano cartelli ostili ai profughi.
Un corteo, molto numeroso, che percorse tutte le vie centrali di Washington, non mancò di colpire anche gli spettatori più indifferenti. Al centro procedevano dei giovani che avanzavano a fatica sotto il peso di pesanti croci. Alcuni avevano in testa corone di spine e il volto rigato di sangue. Nel tardo pomeriggio, scoppiarono violenti tafferugli nel Parco Lafayette, quando la folla indignata, composta per lo più di giovani che volevano andare nel Miocene, tentò di impedire la crocifissione di un giovane. Intervenne la polizia che, dopo una mezz’ora di sanguinosi scontri, riuscì a sgombrare il parco. Rimasero sul terreno quattro rozze croci. — Quei ragazzi sono impazziti — commentò un agente. — Non darei un soldo bucato per tutti quanti loro.
Il senatore Andrew Oakes telefonò a Grant Wellington. — Adesso — gli disse, col tono di un cospiratore — è il momento di tenersi più che mai nell’ombra. Non una parola. Non dare nemmeno il minimo segno d’interesse. La situazione è estremamente fluida. Non si sa cosa possa saltar fuori. Ma qualcosa sta bollendo in pentola. I russi sono andati alla Casa Bianca, stamattina. Brutto segno. Bisogna aspettare finché non ci saranno notizie sicure. Ma non aspettiamoci niente di buono.
Clinton Chapman telefonò a Reilly Douglas: — Sai niente, Reilly?
— Niente, salvo il fatto che i viaggi nel tempo sono davvero possibili. Abbiamo i progetti.
— Li hai visti?
— No. Sono tutti abbottonatissimi. Nessuno apre bocca. Gli scienziati che hanno parlato coi colleghi del futuro non hanno detto niente.
— Ma tu…
— Lo so, Clint. Io sono il procuratore generale, ma, accidenti, in una situazione come questa non conto niente. È tutto avvolto nel più rigoroso riserbo. Salvo qualche membro dell’Accademia, nessuno sa niente. Nemmeno i militari. Ma anche se loro sapessero qualcosa, dubito che…
— Dovranno pure parlare con qualcuno, se vogliono costruire i tunnel.
— Certo. Li costruiranno. Ma senza sapere come funzionano. Il principio non è stato divulgato.
— E che differenza fa?
— Oh, per me fa una bella differenza — dichiarò Douglas. — Io non mi lascerei mai persuadere a costruire qualcosa che non so come funziona o perché.
— Però è certo che i viaggi nel tempo sono realizzabili.
— Su questo non c’è il minimo dubbio — disse Douglas.
— E allora mi basta — asserì Chapman. — Ho intenzione di…
— Ma a quanto pare sono possibili solo in una direzione. Verso il passato.
— Non vedo perché non dovrebbero funzionare anche nell’altra. Così mi hanno detto i miei scienziati — disse Chapman.
— Ci vorranno un sacco di soldi.
— Ho parlato con gente di cui mi posso fidare. Molti sono propensi a starci. Se la cosa sarà fattibile, non mancheranno certo i fondi.
Judy Gray salì sull’aereo e si mise seduta al suo posto. Guardò dal finestrino, vide i furgoni di servizio attraverso le lacrime che le appannavano gli occhi, le si asciugò col dorso della mano.
— Quell’animale — mormorò fra i denti. — Quel sozzo figlio di buona donna…
Tom Manning disse con circospezione al telefono: — Steve, ho sentito delle voci.
— Trasmettile per telescrivente — disse Wilson. — Se no, cosa stai lì a fare? Trasmettile a maggior gloria della vecchia Global.
— Adesso che hai fatto sfoggio del tuo penoso umorismo, possiamo passare alle cose serie?
— Se è un tentativo di incastrarmi per avere la conferma delle voci che hai sentito, non funziona.
— Mi conosci bene, Steve.
— Appunto perché ti conosco…
— D’accordo. Se la metti così… Cominciamo dal principio. Stamattina il Presidente ha ricevuto l’ambasciatore russo.
— L’ambasciatore ha già rilasciato una dichiarazione alla stampa.
— Sì, certo. Sappiamo quello che ha detto, e quello che hai aggiunto tu oggi pomeriggio. Il che è molto poco. Ma nessuno ha creduto una parola di quello che avete detto.
— Mi spiace, Tom. L’ambasciatore ha detto quel che era tenuto a dire, e io non so altro.
— Va bene, voglio crederti. Può darsi che non ti abbiano messo al corrente. Ma circolano delle voci spiacevoli all’ONU. Così almeno ha riferito il nostro corrispondente da New York. Mi ha telefonato, e io gli ho detto di non divulgare la notizia finché non ti avessi parlato.
— Tom, non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando. Ti assicuro ancora una volta che non so altro. E non credo che ci sia altro.
— Bene, allora ti dirò cosa mi hanno riferito, Steve. Morazov ha conferito col Presidente e con Williams a nome del suo governo. I russi offrono di inviare truppe per aiutarci a debellare i mostri.
— L’hai saputo da una fonte attendibile? Sei sicuro al cento per cento?
— Mi sono limitato a riferirti quello che mi ha detto il nostro corrispondente da New York.
— Cioè Max Hale.
— Sì, è uno dei nostri uomini migliori. Abilissimo nello scoprire la verità.
— Sì, sì lo conosco.
— L’informatore di Hale gli ha detto che oggi stesso l’ONU sarà informata del nostro rifiuto di accettare l’aiuto russo, e verrà fatta richiesta perché ci si obblighi ad accettare l’invio di truppe di altre nazioni. Dice che, se non accetteremo, verremo accusati di negligenza.
— La solita farsa — commentò Wilson.
— Non è tutto. Se non accetteremo l’aiuto straniero e non riusciremo a tenere i mostri sotto controllo, verrà richiesto all’ONU che tutta la zona sia sottoposta a bombardamento atomico. Il mondo non può correre il rischio.
— Aspetta un momento — lo interruppe Wilson. — Non vorrai trasmettere quello che mi hai detto?
— No, almeno per adesso. Anzi, spero di non doverlo fare mai. Ti ho telefonato proprio per questo. Se le voci sono arrivate fino a Hale, è molto probabile — anzi certo — che anche altri vengano a saperle e le pubblichino.
— Sono sicuro che sono tutte invenzioni — ribatté Wilson. — Perdio, siamo tutti sulla stessa barca. Almeno in questo momento si potrebbero lasciare in disparte le schermaglie politiche. Tom, mi rifiuto di crederci.
— Non ne sai proprio niente? Sul serio?
— Te l’ho già detto.
— Sai — disse Manning — non vorrei essere al tuo posto neanche per un milione di dollari, Steve.
— Adesso riattacca, Tom, e aspetta a trasmettere. Dacci il tempo di controllare.
— Sta’ tranquillo. Aspetto; a meno che non succeda qualcosa che mi ci costringa, aspetto. Comunque ti terrò informato.
— Grazie, Tom. Un giorno…
— Un giorno, quando tutto questo sarà finito — disse Manning — andremo in un bar a prenderci una sbronza colossale.
— Prenota i posti — disse Wilson.
Dopo aver riappeso, chiamò la segretaria del Presidente. — Kim, sei ancora lì? Ho bisogno di vedere subito il Presidente. Cerca di farmi passare appena possibile. È una cosa urgente.
— Ci vorrà un po’ di tempo, Steve — rispose Kim. — È in corso una riunione.
In attesa della chiamata, Wilson si lasciò andare sulla sedia e chiuse gli occhi. Voleva concentrarsi, pensare, ma aveva troppo sonno. Si drizzò, aprendo gli occhi. Non era il momento di dormire, ma giurò a se stesso che quella notte sarebbe andato a casa a fare una bella dormita.
Il sergente Gordon Fairfield Clark disse al colonnello Eugene Dawson: — L’avevo sul mirino, e poi, zac, è sparito. Scomparso di punto in bianco. Sono pronto a giurare che non si è mosso. L’avevo già visto muoversi. I mostri sono velocissimi, è vero, ma sono riuscito a vederlo. Era come uno di quei fumetti dove il disegnatore, per indicare qualcosa che va in fretta, fa delle spirali. Ma quando stavo per sparargli, ed è scomparso, non ho visto nessun movimento indistinto. È scomparso, tutto qui.
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