E allora il colonnello era passato alle maniere brusche. Con voce dura, tono militaresco e sguardo gelido, aveva detto che loro avevano già abbastanza rogne e non sentivano il bisogno di avere tra i piedi un cretino di fotografo in cerca di sensazioni. E se lui non avesse fatto subito dietrofront, lo avrebbe fatto scortare fuori dalla zona. Mentre il colonnello parlava, Price gli aveva scattato una foto, il che aveva — se possibile — peggiorato la situazione. Bentley, con la sua acuta sensibilità, se n’era subito reso conto e aveva dignitosamente battuto in ritirata. Quando aveva di nuovo incontrato i due soldati che avevano invano cercato di fermarlo, quelli si erano messi a ridere e gli avevano fatto marameo. Bentley aveva rallentato, incerto se scendere per cercare di farli ragionare, ma poi ci aveva ripensato. Non ne valeva la pena.
E, adesso, il cane.
La bestiola era schizzata fuori all’improvviso dai cespugli misti a canne che fiancheggiavano la strada. Aveva le orecchie basse, la coda fra le gambe e uggiolava in preda a un panico cieco. Gli si era parato davanti alla macchina a pochi metri, e lui stava andando troppo veloce. D’istinto, Bentley sterzò, la macchina uscì di strada finendo in un cespuglio. Bentley frenò e i pneumatici stridettero. Il muso della vettura sbatté violentemente contro il tronco di un vecchio noce e si fermò dopo un violento scossone. La portiera sinistra si spalancò, e Bentley, che si era sempre rifiutato di adoperare la cintura di sicurezza, venne lanciato fuori. La macchina fotografica che portava appesa al collo con una cinghia descrisse un arco e andò a sbattergli sull’orecchio sinistro con un colpo che gli fece rintronare la testa. Atterrò sulla schiena, rotolò su se stesso, e si mise carponi. Quando riuscì faticosamente ad alzarsi, vide che era finito sul bordo della strada.
E in mezzo alla strada c’era un mostro.
Bentley sapeva che era un mostro, perché il giorno prima ne aveva visti due. Questo era più piccolo, grande circa come un pony. Ma, nonostante le dimensioni ridotte, incuteva ugualmente un indicibile orrore.
Bentley Price, però, era fatto di una pasta diversa della maggioranza degli uomini. Non deglutì a vuoto, non gli si rivoltarono le budella. Le sue mani afferrarono con fermezza e precisione la macchina fotografica e la sollevarano fino agli occhi. Il mostro era inquadrato nel mirino, e lui scattò, ma, contemporaneamente allo scatto, il mostro sparì.
Bentley abbassò la macchina e la lasciò ciondolare sul petto. Aveva ancora la testa rintronata, gli abiti sporchi e strappati e da un sette sui calzoni sporgeva un ginocchio gonfio. Cadendo, aveva strisciato con la destra sulla ghiaia, e ora la mano era tutta un graffio. La macchina, alle sue spalle, mandava a tratti qualche cigolio quando il metallo contorto si assestava. Dal radiatore sfondato usciva l’acqua che sfrigolava a contatto col metallo surriscaldato.
In lontananza, si vedeva ancora il cane che correva con la coda fra le gambe. Uno scoiattolo, su un albero vicino, chiacchierava squittendo veloce come una mitragliatrice. La strada era deserta. Pure, fino a un istante prima c’era stato un mostro. Bentley ne poteva scorgere le impronte nella polvere. Ma era scomparso.
Bentley Price si avviò zoppicando. Arrivato al centro della carreggiata, si guardò intorno. Non c’era nessuno.
“Eppure c’era” disse tra sé Bentley, sicuro del fatto suo. “Quando ho scattato la foto, c’era. Poi è sparito di colpo. Ma c’era o no, quando ho scattato?” si domandò, preso da un improvviso dubbio. L’unico modo per accertarsene era sviluppare la foto.
Si avviò faticosamente, cercando di camminare in fretta nonostante il ginocchio dolorante. Doveva trovare un telefono, doveva procurarsi una macchina e tornare al più presto a Washington.
— Siamo venuti a contatto tre volte coi mostri, ma senza risultati — disse Sandburg. — Nessuno ha fatto in tempo a colpirli. Appena si sono trovati sotto tiro, sono scomparsi e nessuno li ha più visti.
— Sono scappati? — domandò Thornton Williams.
— No, non è esatto — spiegò il Segretario alla Difesa. — Sono spariti, non erano più lì. Gli uomini che li hanno visti giurano che non si sono mossi. Un momento c’erano e un momento dopo non c’erano più. Hanno detto tutti la stessa cosa, indipendentemente l’uno dall’altro e ignorando quello che avevano riferito gli altri. Uno può anche sbagliare, anche due, forse, ma è impossibile che tre osservatori indipendenti commettano lo stesso sbaglio.
— Avete qualche idea che spieghi l’accaduto?
— No — rispose Sandburg. — Probabilmente si tratta di un sistema di autodifesa naturale sviluppatosi a causa delle circostanze. È ovvio che i mostri stanno sulla difensiva. Devono fare di tutto per riuscire a sopravvivere, evitando di correre rischi. Messi con le spalle al muro, credo che passerebbero al contrattacco, ma solo se non avessero altro modo di cavarsela. È evidente che hanno escogitato un nuovo sistema per mettersi in salvo. Abbiamo parlato col dottor Isaac Wolfe, il biologo profugo che deve essere il massimo esperto in materia, ma anche lui non aveva mai sentito parlare di queste sparizioni improvvise. Ha tuttavia detto, in via d’ipotesi, che può trattarsi di una caratteristica dei mostri cuccioli. Una specie di meccanismo di difesa. Può darsi che nel futuro lo ignorassero perché avevano sempre avuto a che fare con mostri adulti.
— Quanti uomini sono già impegnati nella caccia? — domandò il Presidente.
— Non dispongo dei dati esatti — rispose Sandburg — ma ne abbiamo già moltissimi nella zona. Nei campi dei profughi sono stati già istituiti dei comitati di sorveglianza formati dai profughi stessi, così non ce ne dobbiamo più occupare noi. Inoltre, Agricoltura e Benessere ci hanno sostituito per la raccolta e il trasporto di viveri e altri generi necessari nei campi, e infine stasera aspettiamo l’arrivo dei primi contingenti richiamati dall’estero. Gli uomini, quindi, non ci mancano.
— Stamattina è venuto qui Morozov per offrire da parte del suo governo l’invio di uomini. Ha insistito molto. Naturalmente abbiamo rifiutato. Ma mi sorge un dubbio: dovremmo chiedere aiuto al Canada, al Messico, alla Francia, alla Germania, all’Inghilterra e agli altri nostri amici?
— Qualche rinforzo non sarebbe inutile — rispose Sandburg. — Ne parlerò coi Capi di Stato Maggiore per sentire come la pensano. Ci occorrono aiuti massicci a nord e a sud, nella parte alta dello Stato di New York e in Georgia, per essere sicuri di evitare che i mostri dilaghino, cosa di cui finora non siamo sicuri. Se riusciremo a contenerli, avremo partita vinta.
— Bene, e ora passiamo ad altro — disse il Presidente.
— Reilly, avete qualcosa da dire?
— Niente di preciso, per ora — rispose Reilly Douglas. — Si tratta di una cosa che bisogna ancora vagliare e discutere, specialmente dal punto di vista della validità legale. Ieri sera è venuto da me Clinton Chapman. Lo conoscete, vero?
Tutti i presenti annuirono.
— È venuto — riprese Douglas — e in seguito mi ha telefonato tre o quattro volte, e stamattina abbiamo fatto colazione insieme. Forse saprete anche che eravamo compagni di stanza a Harvard, e in seguito siamo rimasti sempre amici. Per questo credo che abbia scelto me per i primi approcci. Si è offerto di costruire i tunnel finanziando il costo senza l’aiuto di fondi statali. In cambio, dopo che la popolazione del futuro sarà stata trasferita nel Miocene, chiede il monopolio per poter continuare a farli funzionare.
— Non capisco perché uno possa volere una cosa simile — osservò Williams. — Cosa se ne farà? Le forze temporali, o come diavolo si chiamano, possono funzionare solo in una direzione, e cioè verso il passato.
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