Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— Forse lo stanno facendo. Forse fra poco compariranno.

— Se sono ancora là.

— Io credo che ci siano — disse Lansing. — Ci accamperemo quassù. Terremo acceso il fuoco tutta la notte. Lo vedranno.

— Vuoi dire che non scenderemo subito?

— Non subito. Sta per calare la notte, e mi sentirei più sicuro quassù che in città.

— Meno male — disse Mary. — Potrei sopportarla in pieno giorno. Ma adesso no.

— C’era un ruscello, un chilometro e mezzo più indietro — disse Jurgens. — Andrò a prendere l’acqua.

— No — disse Lansing. — Resta qui e raccogli la legna. Tutta la legna che puoi. L’acqua vado a prenderla io.

— Sono contenta che siamo qui — disse Mary. — Anche se la città mi fa paura, sono contenta che ce l’abbiamo fatta.

— Anch’io — disse Lansing.

Dopo aver mangiato, sedettero sulla cresta della collina e guardarono la città. Non c’era nessun movimento. Non c’era un barlume di luce. Si aspettavano, da un istante all’altro, di vedere uno dei tre che li avevano preceduti uscire dalla città e agitare le braccia in segno di benvenuto. Invece niente.

Alla fine, quando fu scesa la notte, Mary disse: — Tanto vale che cerchiamo di dormire, se ci riusciremo.

— Dormirete — disse Jurgens. — Sono stati giorni faticosi, per voi.

— Lo spero — disse Mary.

Jurgens li svegliò alle prime luci.

— Gli altri sono laggiù ad aspettarci — disse. — Devono aver visto il nostro fuoco.

Lansing uscì dal sacco a pelo. Nella luce pallida dell’alba scorse tre figure ferme appena oltre il muro devastato della città. Una, la più piccola, era indubbiamente Sandra, ma non riusciva a distinguere le altre due. Alzò le braccia e le agitò. Tutti e tre risposero al suo gesto.

XIV

Il generale di brigata venne loro incontro a grandi passi.

— Gli agnellini smarriti — disse. — Siamo felici di rivedervi.

Sandra corse ad abbracciare Mary. — Vi stavamo aspettando — disse. — Questa notte abbiamo visto il vostro fuoco. O almeno, ho pensato che foste voi. Il reverendo non ne era sicuro.

Il reverendo abbassò gli angoli della bocca. — In questo territorio barbaro — disse, — non si può essere sicuri di niente. È un posto pieno di trappole.

— La città sembra deserta — disse Lansing. — Avremmo potuto scendere ieri sera, ma aveva un aspetto temibile. Abbiamo deciso di attendere fino a stamattina.

— Non è soltanto deserta — disse il reverendo. — È morta. Morta da moltissimo tempo. Gli edifici si stanno sgretolando per la vecchiaia.

— Comunque abbiamo trovato un paio di cose — disse il generale di brigata. — Quello che doveva essere un palazzo dell’amministrazione, su una piazza. Abbiamo insediato là la nostra base operativa. E dentro abbiamo trovato quello che chiamiamo uno schermo grafico. È molto rovinato, certo, ma un angolo…

— In un’altra stanza — disse Sandra, — c’è un gruppo statuario. L’unica opera d’arte che abbiamo visto qui. Scolpito nella pietra più candida. E che lavorazione squisita! Sembrano statue di anime.

Il reverendo borbottò: — Ma non abbiamo trovato nulla che getti luce sulla ragione della nostra presenza qui. Lei — disse al generale di brigata, — era certo che l’avremmo trovato. Era certo che avremmo trovato gente…

— Le situazioni vanno affrontate così come sono — disse il generale di brigata. — È inutile strapparsi i capelli o piangere o buttarsi per terra a tirar calci, quando una situazione non è di nostro gradimento.

— Avete fatto colazione? — chiese Sandra.

— No — disse Mary. — Quando vi abbiamo visti, siamo scesi immediatamente.

— Neppure noi abbiamo fatto colazione — disse Sandra. — Torniamo alla nostra base e mangiamo tutti insieme.

Il generale di brigata s’incamminò e Lansing gli si mise al fianco.

— Dobbiamo procedere lentamente — disse Mary. — Così Jurgens potrà starci dietro.

Il generale di brigata si voltò. — Bene, d’accordo — disse. — Jurgens, come va?

— Non vado svelto — disse Jurgens. — Ma mi arrangio.

Il generale di brigata riprese a camminare, a passo un po’ più lento. — Se non è una cosa che ci fa rallentare — disse a Lansing, — è un’altra.

— Lei è l’unico che abbia fretta — disse Lansing.

— È difficile cambiare abitudini — disse il generale di brigata. — Ho sempre avuto fretta, in tutta la mia vita. Nel mio mondo bisognava stare molto attenti ad ogni istante, altrimenti qualcuno sarebbe arrivato di nascosto a darti una botta in testa.

— E a lei piaceva. Le piaceva così.

— Devo ammettere una cosa — disse il generale di brigata. — Ho dato più botte agli altri di quante gli altri ne abbiano date a me.

Si avviò lungo quella che un tempo era stata una via, ma che ormai era poco più di una pista. Molti dei grandi blocchi di pietra che costituivano la pavimentazione erano inclinati e spostati, e altri blocchi più grandi, caduti dagli edifici ai lati, accrescevano la confusione. Liane e arbusti crescevano nel suolo lasciato scoperto dalle pietre spostate. Nelle fenditure fra le lastre rimaste ai loro posti spuntavano erbacce d’ogni genere.

Gli edifici non erano molto alti… quasi tutti non superavano i quattro o cinque piani. Le porte e le finestre erano vuote. Le pietre che formavano le costruzioni erano rosse o brunicce.

— Ossidazione — disse il generale di brigata. — La pietra sta marcendo. Nessun danno… nessun danno provocato da violenza, voglio dire. Nessun segno d’incendi o di distruzione voluta. La devastazione che vede è il risultato delle intemperie e del tempo. Ma la città è stata saccheggiata. Forse a più riprese. Non c’è rimasto nulla, virtualmente. Una volta doveva viverci parecchia gente, ma ormai non c’è nessuno. Tutta la città è vuota.

— Ha detto che ha trovato qualcosa. Mi sembra che abbia parlato di uno schermo grafico. Che cos’è?

— Non so se lo sia o no. L’ho chiamato così, ma potrei sbagliarmi. Nel mio mondo ci sono gli schermi grafici. Si inseriscono i problemi…

— Problemi militari?

— Ecco, sì, soprattutto problemi militari. Una specie di gioco della guerra. Si comunicano i fattori e un calcolatore li elabora e mostra quello che succederebbe. Lo mostra per immagini. In modo che lo si capisca meglio. Quello che abbiamo trovato qui è rovinato, quasi completamente inservibile. Una piccola parte funziona ancora. È come guardare da una finestra aperta su un altro mondo. A volte, nelle immagini si vedono esseri.

— Forse gli esseri che un tempo vivevano qui.

— Non credo. La città fu costruita per gli umani, o per creature quasi umane. Le porte e le finestre hanno le dimensioni giuste. Le scale sono di un tipo che gli umani possono salire facilmente.

La città aveva un’atmosfera agghiacciante. Sebbene fosse vuota, qualcosa vi stava ancora in agguato, stava nascosto e spiava e attendeva. Lansing si sorprese a esaminare attentamente il guizzo sfuggente di qualcosa che si nascondeva dopo averli scrutati.

— Dunque ha la stessa impressione — disse il generale di brigata. — Per quanto la città sembri morta, qualcuno è rimasto.

— È soltanto una naturale prudenza da parte mia — disse Lansing. — Ho paura delle ombre.

— Forse la consolerà sapere che anche per me è lo stesso. Sono un vecchio militare, e sto in guardia contro il nemico nascosto. Non procedo mai alla cieca. Tutto sembra indicare che la città è deserta, eppure sto in guardia contro il nemico nascosto. Mi sentirei più tranquillo se fossimo armati. Può immaginare una spedizione come questa, senza neppure un’arma? Sono ancora convinto che quel briccone di locandiere mentisse spudoratamente quando ci ha detto che non ne aveva.

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