Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— Vorrei saperlo leggere un po’ meglio — disse Mary. — Ho una conoscenza del russo piuttosto limitata. Quanto basta per arrangiarmi a leggere una relazione tecnica, non di più. Moltissimi ingegneri, come me, leggono un po’ il russo; è virtualmente obbligatorio. I russi hanno una tecnologia degna di tutto il rispetto. Val la pena di sforzarsi un po’ per star dietro a quello che fanno. Certo, c’è un libero scambio di idee, ma…

— Un libero scambio di idee? Con la Russia?

— Sì, certo. Perché no? È così anche con tutte le altre nazioni tecnicamente evolute.

— Immagino — disse Lansing, — che non ci siano ragioni perché non debba essere cosi.

Sollevò l’insegna e, servendosi del coltello, batté sul paletto per piantarlo nel terreno.

— Resterà qui finché il vento non lo rovescerà o fino a che non cadrà di nuovo — disse. — Per quel che può servire.

Ritornarono al campo, lentamente, perché Jurgens potesse reggere la loro andatura. Il sole era disceso a metà del cielo, a occidente; erano rimasti a studiare il cubo più a lungo di quanto avessero creduto.

Il fuoco s’era ridotto a uno strato di cenere grigia, ma c’era ancora qualche brace quando Lansing lo smosse. Aggiunse bracciate di ramoscelli secchi fino a quando le fiamme salirono e poi, con pazienza, alimentò il fuoco. Mary rimase a guardarlo, senza dir nulla, mentre lavorava. Anche se lei sapeva benissimo, pensò Lansing, che era inutile restare ancora lì, che avevano fatto tutto ciò che potevano e che tanto valeva proseguire per la città… se, come aveva detto Mary, la città esisteva veramente.

Ma ormai, senza dubbio, al college dovevano essersi accorti della sua scomparsa, si disse; forse avevano trovato la sua macchina abbandonata. Si chiese se quella sparizione avrebbe fatto chiasso… sì, forse per qualche giorno, qualche titolo sul giornale, e poi l’avrebbero dimenticato e il suo caso sarebbe stato archiviato con tutte le altre sparizioni irrisolte e inspiegate che avvenivano ogni anno. Tese le mani verso il fuoco, per scaldarle. Era una giornata tiepida, ma gli sembrava di sentire un soffio di gelo.

Lui e gli altri, lui e i molti altri che erano spariti… C’erano stati altri che erano venuti lì? si chiese.

— Poco fa, quando eravamo vicino al cubo — disse Mary, — mi è sembrato sorpreso all’idea che ci fosse una collaborazione nelle ricerche, con la Russia. Perché? Ne dubitava?

— Nel mio tempo — rispose Lansing, — gli Stati Uniti e varie altre nazioni non sono in buon accordo con la Russia. Ci fu una rivoluzione durante la Prima guerra mondiale e la Russia diventò uno stato comunista.

— La Prima guerra?

— Sì, la Prima guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale. La bomba nucleare.

— Edward, nel mio mondo non ci sono state guerre mondiali, non c’è… come l’ha chiamata? Bomba nucleare?

Lansing si accosciò, scostandosi un po’ dal fuoco. — Dunque quello è stato il punto critico fra il suo mondo e il mio. Voi non avete avuto la Prima guerra mondiale e noi sì. Mi dica… e l’Impero Britannico?

— È ancora ben saldo. Il sole non vi tramonta mai. Ma lei ha detto un’altra cosa. Gli Stati, mi pare. Gli Stati Uniti di che cosa?

— Gli Stati Uniti d’America.

— Ma l’America settentrionale fa parte dell’Impero Britannico, e quella meridionale fa parte della Spagna… eccettuato il Brasile, cioè.

Lansing la guardò a bocca aperta.

— È la verità — disse Mary. — Le cose stanno proprio così.

— Ma le colonie americane si ribellarono.

— Certo, nel secolo decimottavo. La ribellione non durò a lungo.

— Dunque il punto critico è molto anteriore alla Prima guerra mondiale.

— Sono un po’ confusa — disse lei, — ma evidentemente è così. Lei ci ha parlato delle ipotesi del suo amico circa i punti critici e i mondi alternativi. Quando gliene ha parlato, lei non gli ha creduto. Ha pensato che fossero soltanto fantasie, e forse lo pensava anche lui. Stava solo cercando di dimostrare una tesi. Quando ce l’ha raccontato, alla locanda, mi è sembrato che fosse un concetto interessante e fantasioso. Ma a giudicare da quello che mi ha appena detto, dev’essere qualcosa più d’un concetto.

— Lei doveva vivere in un bel mondo, Mary. Molto migliore del mio.

— È solido e sereno — disse lei. — Non ci sono state quasi guerre… soltanto alcune di poco conto. Le grandi potenze si sono insidiate saldamente nei rispettivi territori e sembrano contente di quello che hanno. Certo, c’è chi grida all’imperialismo, ma nessuno gli dà ascolto.

— L’India, naturalmente è alla fame.

Mary alzò le spalle. — L’India è sempre alla fame. È troppo sovvrappopolata.

— E l’Africa viene sfruttata?

— Edward, è con me o contro di me? Che cosa pensa dell’Impero Britannico?

— Oh, non troppo male. Molte volte ho pensato che abbiamo perduto qualcosa di grande e rassicurante, quando è andato a pezzi subito dopo la Seconda guerra mondiale.

— È andato a pezzi?

— Completamente.

Per un momento Lansing notò l’espressione sconvolta di Mary, poi lei si rasserenò.

— Mi dispiace — Le disse.

— Preparerò qualcosa per cena — disse Mary. — Procuri un po’ di legna per il fuoco. Ha fame, vero?

— Una fame da lupo. Abbiamo fatto colazione prestissimo e abbiamo saltato il pranzo.

— L’aiuterò io a prendere la legna — disse Jurgens. — Anche ridotto come sono, qualcosa posso fare.

— Sicuro — disse Lansing. — Vieni pure.

Dopo la cena riattizzarono il fuoco e gli sedettero intorno.

— Così, stiamo scoprendo lentamente da dove siamo venuti — osservò Mary. — Ma ancora non sappiamo dove stiamo andando. Io vengo da una continuazione dei grandi imperi, l’affermazione logica della concezione imperiale, e lei da un mondo in cui gli imperi sono scomparsi. Oppure è scomparso soltanto quello britannico?

— No, non soltanto quello britannico. Tutte le nazioni hanno perduto almeno la maggior parte dei possedimenti coloniali. In un certo senso ci sono tutt’ora alcuni imperi, ma non è la stessa cosa. La Russia e gli Stati Uniti. Non li chiamano più imperi… li chiamano superpotenze.

— Il mondo di Sandra è più difficile da capire — disse Mary. — Mi sembra il paese delle favole. Come una combinazione dell’antica etica greca e di Rinascimenti che ricorrono di continuo. Non aveva detto così… il Terzo Rinascimento? Comunque, sembra un mondo irreale. Uno splendido mondo nebuloso.

— Non sappiamo molto di quelli del reverendo e del generale — disse Lansing. — A parte quello che il generale ha detto a proposito dei loro giochi di guerra.

— Credo che avesse l’impressione — disse Mary, — che noi disapprovassimo il suo mondo. Ha cercato di presentarcelo come un mondo di tornei cavaliereschi medioevali, ma credo che non sia esattamente così.

— Il reverendo è quello che ha parlato meno — disse Lansing. — Quella faccenda della Gloria divina nel campo di rape… ma non ci ha detto niente altro. Dopo è stato zitto.

— Ho la sensazione che il suo mondo sia molto tetro — disse Mary. — Tetro e santimonioso. Spesso sono due caratteristiche inseparabili. Ma abbiamo dimenticato Jurgens.

— Scusatemi, prego — disse Jurgens.

— Oh, per me va bene — disse Mary. — Stavamo semplicemente spettegolando.

— Quello che non riesco assolutamente a capire — disse Lansing, — è che cosa possiamo avere in comune. L’unica ragione possibile perché ci abbiano scaraventati qui insieme è che tutti e sei siamo della stessa categoria. Ma a pensarci appare evidente che tra noi ci sono poche rassomiglianze.

— Un professore di college — disse Mary, — un militare, un reverendo, una poetessa e… tu come ti descriveresti, Jurgens?

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