— Sono un robot. Ecco tutto. Non sono neppure umano.
— Piantala — disse bruscamente Lansing. — Chi ci ha portati qui non ha fatto distinzioni tra un robot e gli umani. Quindi sei uno di noi.
— Più tardi — disse Mary, — il denominatore comune cui ha accennato potrebbe risultare chiaro. Al momento, però, non riesco a trovarlo.
— Non siamo gli unici — disse Lansing. — Altri sono venuti qui prima di noi e forse dopo di noi ne verranno altri. Tutto sembra indicare un programma, un progetto. Vorrei tanto che qualcuno ci spiegasse di quale progetto, di quale programma si tratta. Mi sentirei più tranquillo.
— Anch’io — disse Mary.
Jurgens si alzò, faticosamente e, tenendosi in equilibrio con la gruccia, gettò altra legna sul fuoco.
— Ha sentito? — chiese Mary.
— Non ho sentito niente — disse Lansing.
— C’è qualcosa là fuori, nel buio. L’ho sentito fiutare.
Rimasero tutti in ascolto. Non sentirono nulla. L’oscurità era silenziosa.
Poi Lansing lo sentì… qualcosa che fiutava. Alzò la mano per chiedere agli altri di non far rumore.
Il suono cessò, poi riprese, a poca distanza dal punto dove s’era interrotto. Come se un animale tenesse il naso a terra e fiutasse un’usta. S’interruppe ancora, riprese in un punto diverso; sembrava che l’animale stesse girando intorno al fuoco del bivacco.
Jurgens roteò su se stesso, brandendo la gruccia. Lansing scrollò la testa, e il robot si fermò di colpo.
Continuarono ad ascoltare. Per lunghi minuti non si sentì più fiutare. Si rilassarono.
— Avete sentito? — chiese Mary.
— Sì — disse Jurgens. — È incominciato proprio dietro di me.
— Allora c’era veramente qualcosa, là fuori?
— Adesso se n’è andato — disse Lansing. — Jurgens l’ha spaventato.
— Sandra l’aveva sentito, ieri notte — disse Mary. — È sempre rimasto qui.
— Non è insolito — disse Lansing. — Dovevamo aspettarcelo. Gli animali selvatici sono sempre attratti dal fuoco.
Impiegarono cinque giorni per raggiungere la città. Avrebbero potuto impiegarne due, se non fossero stati costretti ad adattarsi all’andatura di Jurgens.
— Dovevo tornare alla locanda — disse il robot. — Ce l’avrei fatta, ad arrivarci da solo. Sarei rimasto lì ad aspettarvi. Così non avrei rallentato la marcia.
— E che cosa faremmo — disse Lansing, — quando venisse il momento in cui avremmo bisogno di te, se tu non fossi con noi?
— Può darsi che quel giorno non venga mai. Forse non avrete mai bisogno di me.
Lansing gli diede dell’idiota e gli disse di continuare a camminare.
Via via che procedevano, l’aspetto del territorio cambiava. Il paesaggio era ancora ondulato, ma diventava sempre più arido. I boschetti erano più distanziati e più piccoli, sia nell’estensione che nelle dimensioni degli alberi, che cominciavano a ridursi ad arbusti. Il vento era caldo, non più fresco. I ruscelletti che davano loro l’acqua erano più distanti e più esili; spesso non erano altro che rigagnoli.
Ogni notte il misterioso Fiutatore si aggirava intorno al bivacco. Una volta, la seconda notte da quando avevano lasciato il cubo, Lansing e Jurgens, armati di torce elettriche, si avventurarono nell’oscurità per cercarlo. Non trovarono nulla, neppure un’orma. Il terreno intorno al fuoco era sabbioso e avrebbe dovuto mostrare qualche traccia: ma non c’era.
— Ci segue — disse Mary. — Ci sta sempre dietro. Anche quando non fiuta, so che è là fuori. È là fuori e ci spia.
— Non ci ha mai minacciati — disse Lansing, cercando di tranquillizzarla. — Non ha cattive intenzioni. Se le avesse, ormai avrebbe agito. Ha avuto le occasioni possibili.
Dopo i primi due giorni, spesso restavano in silenzio intorno al fuoco: avevano ormai parlato di tutto, e non avevano bisogno di continuare a parlare per mantenere vivi gli stretti legami che l’avventura aveva forgiato tra loro.
A volte, durante quei lunghi silenzi, Lansing si sorprendeva a ripensare alla sua esistenza d’un tempo; e scopriva, stupito, che il college dove aveva insegnato gli sembrava immensamente lontano, che gli amici che vi aveva avuto erano amici di tanto tempo prima. Non era trascorsa più di una settimana, si diceva, costringendosi a ricordarlo; eppure aveva la sensazione che vi fosse un abisso di molti anni tra quel luogo e la piccola città universitaria. La nostalgia lo pervadeva, e provava l’impulso quasi irresistibile di ritornare sui suoi passi, di allontanarsi dal bivacco e di ripercorrere a ritroso la pista. Ma non sarebbe stato tanto semplice, lo sapeva. Anche se fosse ritornato indietro, non sarebbe andato oltre la locanda o, forse, la valletta boscosa dove s’era trovato all’inizio. Non c’era una strada che riportasse al college, da Andy e da Alice, nel mondo che aveva conosciuto. Fra lui e la sua vita di un tempo stava qualcosa d’imponderabile, e non aveva idea di cosa fosse.
Non poteva tornare indietro. Doveva proseguire, perché soltanto così avrebbe trovato, forse, la strada di casa. Lì c’era qualcosa che doveva scoprire, e fino a quando non l’avesse scoperto, per lui la strada di casa non sarebbe esistita. E anche quando l’avesse scoperto, se mai ci fosse riuscito, non avrebbe avuto comunque la certezza che fosse possibile tornare nel suo mondo.
Forse era una sciocchezza comportarsi così, ma non aveva scelta. Doveva proseguire. Non poteva abbandonare, come avevano abbandonato i quattro giocatori di carte, alla locanda.
Cercava d’immaginare un meccanismo logico che aveva trasferito lui e gli altri in quel luogo. L’intera faccenda sapeva di magia, eppure non poteva essere magia. Ciò che l’aveva compiuta doveva aver sfruttato l’applicazione di certe leggi fisiche. La stessa magia, se esisteva, non doveva essere altro che l’applicazione di leggi fisiche sconosciute nel mondo dal quale proveniva.
Andy, quando gli aveva parlato al Club dei Docenti, aveva accennato alla fine della conoscenza, la fine delle leggi fisiche. Ma Andy non conosceva e non comprendeva i concetti che aveva discusso; s’era limitata a blaterare le sue concezioni filosofiche.
Era possibile che la soluzione fosse lì, si chiese Lansing, nel mondo in cui ora sedeva accanto a un fuoco? Era possibile che fosse ciò che doveva cercare… e se c’era, e se l’avesse trovato, l’avrebbe riconosciuto? Se anche avesse incontrato la fine della conoscenza, l’avrebbe capito?
Irritato con se stesso, cercò di scacciare dalla mente quei pensieri, ma non ci riuscì.
Trovarono il punto dove s’erano accampati gli altri tre: le ceneri fredde del fuoco, l’incarto d’una scatola di crackers, croste di formaggio, fondi di caffè.
Il tempo si manteneva al bello. Qualche volta le nubi salivano dall’orizzonte a occidente, ma presto si disperdevano. Non pioveva. Il sole era caldo e luminoso.
La terza notte, Lansing si svegliò all’improvviso da un sonno profondo. Si sollevò a sedere, faticosamente, lottando contro una forza che cercava di tenerlo inchiodato.
Nella luce guizzante del fuoco, vide Jurgens accanto a lui. Il robot gli stringeva la spalla e mormorava qualcosa.
— Cosa succede?
— È Miss Mary, signore. Sembra che stia male. Come se avesse le convulsioni.
Lansing girò la testa per guardare. Mary si era sollevata a sedere, dentro il sacco a pelo. Teneva la testa reclinata all’indietro e guardava il cielo.
Lansing uscì dal sacco a pelo e si alzò, barcollando.
— Le ho parlato — disse Jurgens. — Ma non mi ha sentito.
Le ho parlato più volte, per chiederle che cosa aveva, cosa potevo fare per lei.
Lansing raggiunse Mary. Sembrava una statua… rigida ed eretta, stretta in una morsa invisibile.
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