Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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Lansing continuò a girare lentamente intorno al cubo. Adesso che il sole s’era alzato, era una bellissima giornata. La rugiada era evaporata, e il cielo era alto e azzurro, senza un ricciolo di nuvole che ne deturpasse la profondità. Il generale di brigata e il reverendo avanzarono verso la strada. Ognuno di loro brandiva una lunga pertica, un arboscello sfrondato. Attraversarono la strada e gli si avvicinarono.

— Ha fatto il giro? — chiese il generale di brigata. — Tutto intorno?

— Sì — rispose Lansing. — Ed è così dappertutto. Non c’è nulla. Nulla, assolutamente.

— Forse, avvicinandosi — disse il reverendo, — è possibile vedere qualcosa che da qui non si scorge. È sempre megliio vedere le cose da vicino.

Lansing annuì. — Questo è vero, — disse.

— Perché non va a tagliarsi una pertica? — chiese il generale di brigata. — Lavorando in tre, l’esplorazione procederà più rapidamente.

— Non credo che lo farò — disse Lansing. — Secondo me, è tutto tempo sprecato.

I due lo fissarono per un momento, poi distolsero gli sguardi. Il generale di brigata disse al reverendo: — Organizziamoci così. Incominciamo a tre metri e mezzo di distanza l’uno dall’altro e battiamo il terreno tutto intorno a noi, sondando con le pertiche in modo che, se c’è qualcosa, attacchi i pali e non noi.

Il reverendo annuì con aria saputa. — L’avevo in mente anch’io.

Si mossero. Il generale di brigata disse: — Procederemo verso il muro e, quando ci saremo avvicinati, ci separeremo. Lei andrà a sinistra e io a destra. Continueremo con prudenza, fino a incontrarci di nuovo.

Il reverendo non rispose. Proseguirono, avanzando lentamente verso il muro e sondando con le pertiche.

E se, pensò Lansing, la cosa o le cose nascoste entro il cerchio di sabbia erano programmate o adddestrate per aggredire un essere vivente che invadeva il loro dominio, e niente altro? Ma non disse nulla, e si avviò lungo la strada, in cerca di Mary e Sandra. Le scorse poco più avanti: stavano girando intorno al cubo tenendosi a distanza di sicurezza dal cerchio di sabbia.

Un grido, alle sue spalle, lo fece voltare di scatto. Il generale di brigata stava correndo al galoppo attraverso la sabbia, in direzione della strada. La pertica che stringeva in mano era tranciata a metà. Era stata spezzata nettamente, e l’altro pezzo giaceva sulla sabbia alla base del muro. Il reverendo era immobile, come pietrificato, contro il muro, e girava la testa per guardare il generale in fuga. A destra del generale qualcosa guizzò emergendo dalla sabbia, così rapido che era impossibile vedere che cosa fosse, e l’altra metà della mezza pertica che il generale stringeva in mano volò nell’aria, stroncata di colpo. Il generale di brigata lanciò un urlo di terrore e gettò via l’ultimo troncone di pertica. Con un lungo balzo, superò gli ultimi metri di sabbia e piombò sulla superficie erbosa, tra la sabbia e la strada.

Mary e Sandra accorsero per raggiungerlo, mentre il reverendo, paralizzato, restava rigido accanto al muro.

Il generale di brigata si rimise in piedi e si spolverò la tunica. Poi, come se avesse dimenticato l’accaduto, assunse quella solita aria di impettita solennità militare, attenuata da una regale noncuranza, che era il suo atteggiamento abituale.

— Mie care — disse alle due donne mentre si fermavano davanti a lui, — posso dire che là c’è una forza in agguato.

Si voltò e chiamò il reverendo, a gran voce, con un tuono da parata militare.

— Torni indietro — gridò. — Si volti e torni indietro lentamente, continuando a sondare. E stia attento a seguire lo stesso percorso che ha fatto all’andata.

— Ho notato — disse Lansing — che non è stato altrettanto meticoloso nel seguire il suo percorso precedente. Per così dire, si è lanciato su un terreno nuovo.

Il generale di brigata l’ignorò.

Più avanti, sulla strada, Jurgens s’era girato e stava tornando indietro. Si destreggiava un po’ meglio con la gruccia: aveva imparato a muovere la gamba irrigidita, ma camminava ancora lentamente.

Il generale di brigata chiese a Lansing: — Ha visto quel maledetto coso, quando ha attaccato la seconda volta?

— No, non l’ho visto — rispose Lansing. — È stato fulmineo. Troppo veloce per poterlo vedere.

Il reverendo era ritornato indietro lungo il muro e si stava avviando lungo il percorso che aveva compiuto nell’avvicinarsi: usava con impegno la pertica per sondare ogni spanna del terreno.

— Un uomo in gamba — disse il generale di brigata in tono d’approvazione. — Esegue bene gli ordini.

Rimasero a guardare il reverendo che procedeva lentamente.

Jurgens li raggiunse e si fermò accanto a loro. Il reverendo arrivò alla strada. Senza cercare di nascondere il sollievo, gettò via la pertica e si accostò.

— E adesso che abbiamo finito — disse il generale di brigata, — dovremmo tornare all’accampamento e riorganizzarci meglio che possiamo.

— Non si tratta di riorganizzarci — disse il reverendo. — Si tratta di andarcene. Questo posto è pericoloso. Ben difeso, come lei ha scoperto a sue spese — disse, lanciando un’occhiata al generale di brigata. — Penso che dobbiamo andar via. Non ho nessuna intenzione di fermarmi. Propongo di proseguire immediatamente verso la città, e vedere che cosa ci troveremo. Un’accoglienza migliore, mi auguro, di quella che abbiamo ricevuto qui.

— La penso più o meno come lei — disse il generale di brigata. — Non vedo cosa potremmo ricavare restando qui.

— Ma il fatto che sia così ben difeso — disse Mary, — dimostra che c’è qualcosa di prezioso. Non sono sicura che dovremmo andarcene.

— Magari, più tardi — disse il generale di brigata, — potremo tornare, se sarà necessario. Prima dovremo vedere la città.

Il generale e il reverendo s’incamminarono verso l’accampamento. Sandra li seguì.

Mary si accostò a Lansing. — Io credo che sbaglino — disse. — Credo che qui ci sia qualcosa… forse ciò che dovremmo trovare.

— Il guaio — disse Lansing, — è che non sappiamo cosa c’è da trovare, e non sappiamo neppure se dobbiamo cercare qualcosa. Devo ammettere che la faccenda mi preoccupa.

— In quanto a questo, sono preoccupata anch’io.

Jurgens li raggiunse, zoppicando.

— Come va? — chiese Lansing.

— Abbastanza bene — rispose il robot. — Ma sono ancora lento. Non so se, con questa gruccia, potrò ritrovare la velocità e la destrezza di una volta.

— Io non ho la stessa fiducia nella città che ha il generale — disse Mary. — Ammettendo che la città esista.

— Non si può mai sapere — disse Jurgens. — Dobbiamo aspettare e vedere come vanno le cose.

— Torniamo al campo — disse Lansing, — e prepariamo il caffè. Possiamo parlarne. Per quel che mi riguarda, credo che il cubo sia piuttosto promettente. Se riflettiamo bene, potremo scoprire un indizio che al momento è invisibile, o che nessuno di noi ha notato. Così come lo vediamo ora, non ha un significato. È fuori posto. Non è il tipo di struttura che ci si potrebbe aspettare di trovare qui, così isolata. Tuttavia, deve avere una ragione. Come lei, Mary, mi sentirei meglio se riuscissimo a farci un’idea dello scopo della sua esistenza.

— È vero — disse Mary. — Detesto le situazioni che non hanno un significato.

— Allora torniamo al campo e parliamone con gli altri — disse Lansing.

Quando arrivarono all’accampamento, scoprirono che gli altri avevano già deciso.

— Ci siamo consultati — disse il generale di brigata. — Noi tre. Abbiamo stabilito di proseguire verso la città con la massima rapidità possibile. Il robot ci farebbe rallentare, quindi riteniamo che sia meglio abbandonarlo e lasciare che prosegua come può. A suo tempo finirà per raggiungerlo.

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