Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— Ma qualche umano era rimasto. Erano pochi, hai detto.

— Sì, alcuni umani erano rimasti… i buoni a nulla, gli incapaci, gli inetti, gli idioti. Quelli che non valevano lo spazio che avrebbero occupato sulle navi. Ed erano rimasti anche i robot… quelli antiquati e superati e che in un modo o nell’altro erano sfuggiti alla demolizione. Gli incapaci erano rimasti, sia gli umani che i robot, mentre gli altri, gli umani intelligenti e normali, i robot sofisticati, avevano lasciato la Terra in cerca di una nuova vita. Noi, i reietti di millenni d’evoluzione, venimmo abbandonati perché ci arrangiassimo come potevamo. E noi robot abbandonati, abbiamo cercato per secoli di fare il nostro meglio per quei pochi umani rimasti. Non ci siamo riusciti… per secoli, non ci siamo riusciti. I discendenti di quei disgraziati che furono lasciati sulla Terra non sono migliorati dal punto di vista mentale o morale, nel corso degli anni. A volte c’era qualche scintilla di speranza, due o tre che, in una generazione, rappresentavano una certa promessa; ma la promessa si perdeva sempre nella palude del pool genetico. Alla fine avevo dovuto ammettere che gli umani stavano declinando, anziché migliorarsi, e che per loro non c’era speranza. Ad ogni generazione diventavano sempre più immondi, sempre più crudeli, più indegni.

— E voi eravate prigionieri — disse Lansing. — Prigionieri della vostra devozione agli umani.

— Ha detto bene — disse Jurgens. — Vedo che lei capisce. Eravamo prigionieri, davvero. Sentivamo di dover restare, perché dovevamo a quegli esseri degenerati il meglio che potevamo dar loro, e che non bastava mai.

— E adesso che sei uscito da quella situazione, ti senti libero.

— Sì, libero. Più libero di quanto mi sia mai sentito nella mia esistenza. Finalmente sono padrone di me stesso. È sbagliato?

— Non credo che sia sbagliato. Hai terminato un compito sgradevole.

— Ecco, qui, come dice lei — continuò Jurgens, — non sappiamo dove siamo e che cosa dobbiamo fare. Ma almeno abbiamo voltato pagina, possiamo ricominciare daccapo.

— E tu sei fra gente che è contenta di averti come compagnia.

— Di questo non sono tanto sicuro. Il reverendo non ha molta simpatia per me.

— Al diavolo il reverendo — disse Lansing. — Io sono contento che tu sia con noi. Con la possibile eccezione del reverendo, siamo tutti lieti di averti qui. Devi ricordare che è stato il reverendo che è venuto a raccoglierti e a portarti via quando ti sei ferito. Resta comunque il fatto che è un bigotto.

— Darò buona prova di me — disse Jurgens. — Anche il reverendo finirà per accettarmi.

— È questo che stavi cercando di fare quando sei corso verso il muro? Volevi dar buona prova di te?

— Al momento non ci pensavo. Pensavo che era necessario fare qualcosa, e mi sono mosso per farlo. Ma sì, credo che forse stavo cercando di dimostrare…

— Jurgens, è stato un gesto stupido. Promettimi che non farai altre stupidaggini.

— Farò il possibile. Me lo dica lei, quando mi comporto da stupido.

— La prossima volta — disse Lansing, — ti darò una botta in testa con la prima cosa che mi capita sottomano.

Il generale di brigata chiamò Lansing. — Venga! La cena è pronta.

Lansing si alzò. — Non vuoi venire con me a raggiungere gli altri? Su, appoggiati. Ti aiuterò.

— Non credo — disse Jurgens. — Adesso devo riflettere.

X

Lansing stava finendo di preparare l’alberello forcuto che aveva tagliato perché servisse da gruccia a Jurgens.

Il reverendo, che era seduto, si alzò e aggiunse al fuoco qualche altro pezzo di legno.

— Dov’è il generale? — chiese.

— È andato ad aiutare Jurgens a venire qui — disse Mary.

— E perché? Perché non lo lascia dov’è?

— Perché non è giusto — disse Mary. — Jurgens dovrebbe essere qui con tutti noi.

Il reverendo non disse nulla e tornò a sedersi.

Sandra girò intorno al fuoco e si fermò accanto a Mary. — C’è qualcosa che sta curiosando qui intorno, al buio — disse. — Lo sento fiutare.

— Probabilmente è il generale. È andato a prendere Jurgens.

— Non è il generale. Cammina a quattro zampe. E il generale non fiuta così rumorosamente.

— Sarà qualche bestiola — disse Lansing, alzando gli occhi dal suo lavoro. — Quando si accende il fuoco in un bivacco, ce n’è sempre qualcuna che ronza intorno. Attratta dalla curiosità, per vedere che cosa succede, o dalla speranza di poter arraffare qualcosa da mangiare.

— M’innervosisce — disse Sandra.

— Abbiamo tutti i nervi un po’ tesi — disse Mary. — Il cubo…

— Non pensiamo più al cubo, per il momento — suggerì Lansing. — Domattina, quando farà chiaro, potremo vederlo meglio.

— Io non ci tengo affatto a vederlo meglio — disse il reverendo. — È una creazione del male.

Il generale di brigata comparve entro la cerchia della luce del fuoco, sorreggendo con un braccio il barcollante Jurgens.

— Cos’è questa storia? Cos’è la creazione del male? — chiese con voce roboante.

Il reverendo non rispose. Il generale di brigata aiutò Jurgens a sedersi a terra tra Mary e l’ecclesiastico.

— Ce la fa appena a camminare — disse il generale. — La gamba è quasi inservibile. Non c’è modo di ripararla un po’ meglio?

Mary scrollò la testa. — Nel ginocchio c’è una componente rotta, e manca il pezzo di ricambio. Parte dell’articolazione dell’anca è storta. Sono riuscita a restituire qualche funzione alla gamba, ma è tutto. La gruccia che gli ha preparato Edward l’aiuterà.

Il generale di brigata sedette accanto a Lansing.

— Potrei giurare — disse, — che mentre stavo tornando ho sentito qualcuno parlare d’una creazione del male.

— Lasci perdere — disse seccamente Lansing. — Lasci stare.

— Non è necessario, degno pedagogo — disse il reverendo, — che lei cerchi d’interporsi fra l’uomo di Dio e l’uomo d’armi. Tanto vale che ne veniamo a capo, una volta per tutte.

— D’accordo, se proprio insiste — disse Lansing. — Ma cercate di farlo da gentiluomini.

— Io sono sempre un gentiluomo — disse il generale di brigata. — Per me è istintivo. Ufficiale e gentiluomo. Un binomio inscindibile. Quel buffone del nostro amico…

Il reverendo l’interruppe. — Ho detto semplicemente che il cubo è una creazione del male. Sarà soltanto la mia opinione, tuttavia io sono abituato a notare certe cose, e il generale no.

— Come fa a capire che è una creazione del male? — chiese il generale di brigata.

— L’aspetto, tanto per incominciare. E la fascia ammonitrice di sabbia che lo circonda. La fascia di sabbia è stata messa lì da uomini di buona volontà, e noi avremmo dovuto rispettarla. Quello che non l’ha fatto, l’ha pagata a caro prezzo.

— Può essere una fascia ammonitrice — disse il generale di brigata, — piena di trappole, in una delle quali è incappato il nostro amico metallico. Ma se la mia interpretazione è esatta, gli uomini di buona volontà non c’entrano. Se fossero stati davvero benintenzionati come dice lei, avrebbero eretto una recinzione tutto intorno. Quello che sta cercando di fare, reverendo, è metterci paura. Se qualcosa rappresenta un pericolo, la definisce una creazione del male, e questo le offre il pretesto per voltarle le spalle e filarsela. La mia idea, invece, sarebbe invadere quella fascia, con molta prudenza, usando pertiche o altri mezzi per scoprire e disarmare le trappole. C’è qualcosa, in quel cubo, che qualcuno non vuole permetterci di scoprire, ne sono sicuro. Forse si tratta di un fatto di grande valore e, per quanto mi riguarda, non intendo voltargli le spalle.

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