— È un atteggiamento in armonia con il suo carattere — disse il reverendo. — E non alzerò un dito per dissuaderla. Ma ritengo mio sacro dovere avvertirla che è meglio non stuzzicare le forze del male.
— Ecco che ricomincia a parlare di forze del male. Che cos’è il male, se posso chiederlo? Come definirebbe il male?
— Se sente il bisogno di domandarlo — ribatté il reverendo, — sarebbe fiato sprecato cercare di dirglielo.
— Qualcuno ha visto esattamente cos’è successo quando è accaduto l’incidente a Jurgens? — chiese Mary. — Lui non ha visto niente. Dice che è stato colpito, che qualcosa gli ha sferrato un colpo. Ma io non l’ho visto.
— Neppure io ho visto niente — disse il reverendo, — anche se ero nella posizione migliore. Il fatto che non abbia visto nulla mi conferma che era una forza maligna.
— Io ho visto qualcosa — disse Lansing. — Almeno mi è parso. Non ne ho parlato perché non ero sicuro. Per quanto possa sembrare strano, ho visto un movimento. Un guizzo. Un guizzo che è sparito rapidamente, e non ho avuto la certezza di averlo veduto. Non ne sono sicuro neppure adesso.
— Non capisco tutti questi discorsi sulle forze del male — disse Sandra. — Il cubo è così bello. Mi stringe la gola. Non percepisco nulla di malefico, in quella costruzione.
— Eppure ha attaccato Jurgens — disse Mary.
— Sì, lo so. Ma pur sapendolo, continuo a vedere la sua bellezza: per me non può racchiudere nulla di male.
— Ben detto — commentò il generale di brigata. — Come ha detto la nostra poetessa… cosa ha detto di essere, una poetessa riconosciuta?
— Sì, infatti — disse Sandra, a voce bassa. — Non può immaginare ciò che significa per me. Solo nel mio mondo si può capire l’onore, quasi la gloria, di essere riconosciuta poetessa. Vi sono molti poeti, moltissimi, e tutti esperti nella professione, ma pochissimi sono riconosciuti come tali.
— Non riesco a immaginare un mondo di quel genere — disse il reverendo. — Dev’essere un posto da favola. Molte belle parole, forse, ma niente buone azioni.
— Ha ragione, non può immaginarlo — disse Sandra. — Là si sentirebbe completamente fuori posto.
— E questo — disse il generale di brigata al reverendo, — dovrebbe metterla a tacere per un po’.
Per qualche tempo rimasero tutti in silenzio, poi Sandra disse: — Ecco! Di nuovo! C’è qualcosa che gira intorno al bivacco. Lo sento fiutare ancora.
— Non sento niente — disse il generale di brigata. — Ma mia cara, è uno scherzo della sua immaginazione. Là fuori non c’è niente.
Un altro silenzio. Finalmente il reverendo disse: — Che cosa faremo, domattina?
— Esamineremo il cubo — disse il generale di brigata. — L’esamineremo ben bene, con estrema prudenza. Poi, se non avremo trovato nulla che getti un po’ di luce sulla situazione, proseguiremo. Più avanti, se quel miserabile locandiere ci ha detto la verità, c’è una città, e sono convinto che in una città troveremo cose più interessanti di quelle che ci sono qui. Se lo vorremmo e se sembrerà ragionevole, avremo sempre la possibilità di tornare al cubo e di ritentare.
Il reverendo indicò Jurgens e si rivolse a Lansing. — Sarà in grado di viaggiare?
Lansing mostrò la gruccia che stava preparando. — Impiegherà un po’ di tempo per abituarsi a questa. Non è molto efficiente. Avrei voluto fare di meglio, ma non ho altro materiale a disposizione. Riuscirà a camminare, ma lentamente. Dovremo adattare la nostra andatura alla sua. Secondo me, comunque, non c’è fretta.
— Potrebbe esserci — disse il generale di brigata. — Non sappiamo nulla dei parametri della nostra spedizione. Può darsi che vi siano limiti di tempo che non conosciamo.
— Prima che possiamo incominciare a operare con efficienza — disse Mary, — dobbiamo farci un’idea della ragione per cui siamo qui. Non dovremmo trascurare nulla che possa fornirci un indizio. Credo che faremmo bene a dedicare un po’ di tempo al cubo, fino a che ci saremo convinti che non ha nulla da offrirci.
— Ho la sensazione — disse il generale di brigata, — che in una città potremmo trovare molte più informazioni di quante sia possibile raccoglierne in questo territorio deserto. In una città troveremo qualcuno con cui parlare.
— Se riusciremo a intenderci — disse Mary. — Se parleranno con noi. Se non ci cacceranno via o non ci butteranno in prigione.
— Sì, sono possibilità che non dobbiamo trascurare — ammise il generale di brigata.
— Penso che sia ora di dormire — disse il reverendo. — È stata una giornata lunga e faticosa, e abbiamo bisogno di riposare, per poterne affrontare un’altra.
— Io farò il primo turno di guardia — propose il generale di brigata. — Poi lei dividerà con Lansing il tempo che rimane. Accordatevi come preferite.
— Non è necessario che nessuno faccia i turni di guardia — disse Jurgens. — È un compito per me. Io non dormo mai. Non ho bisogno di dormire. Prometto che starò attento. Potete fidarvi di me.
Dopo colazione attraversarono la strada per osservare il cubo. L’erba era ancora rorida di rugiada. Jurgens li aveva svegliati alla prima luce dell’alba e aveva preparato la crema d’avena e il caffè.
Nella luce obliqua del mattino il cubo non era celeste com’era apparso nel pieno chiarore del giorno. Aveva un aspetto opalescente, delicato e fragile.
— Ora sembra di porcellana — disse Sandra. — Certe volte lo sembrava, quando l’abbiamo visto la prima volta, ma adesso è impossibile sbagliare. Dev’essere porcellana.
Il reverendo raccattò un sasso grosso come un pugno e lo scagliò contro il cubo. Il sasso rimbalzò.
— Non è porcellana — disse il reverendo.
— Che razza di sistema per scoprirlo — disse Lansing. — Il cubo potrebbe ricordare che ha tirato il sasso.
— Parla come se fosse vivo — disse Mary.
— Non giurerei che non lo è.
— Stiamo perdendo tempo, restando qui a parlare — disse il reverendo. — Sono una creazione del male, ma tutti voi siete decisi a indagare, allora indaghiamo. Prima la finiremo, e prima potremo occuparci di qualcosa d’altro.
— È giusto — disse il generale di brigata. — Torniamo al boschetto e tagliamo qualche ramo. Li useremo per sondare l’area, prima di avanzare.
Lansing non andò con il generale e il reverendo. Rimase con Jurgens, che stava provando la gruccia. Il robot era molto impacciato; ma dopo un po’ di tempo, si disse Lansing, avrebbe imparato a destreggiarsi. Cadde due volte e Lansing l’aiutò a rialzarsi.
— Mi lasci stare — gli disse alla fine Jurgens. — Mi mette in agitazione, standomi intorno così, pronto a darmi una mano. Le sono grato per la sollecitudine, ma devo arrangiarmi a modo mio. Se cado, ce la farò ad alzarmi da solo.
— D’accordo, amico — disse Lansing. — Molto probabilmente hai ragione.
Lasciò Jurgens e incominciò a girare intorno al cubo, lentamente, costeggiando la fascia di sabbia. Studiò con attenzione i muri, sperando di scorgere nella superficie qualche commessura, qualche discontinuità significativa. Ma non vide nulla. I muri si ergevano levigati, senza la minima frattura. Sembrava che il materiale fosse tutto d’un pezzo.
Ogni tanto lanciava un’occhiata furtiva a Jurgens. Il robot non se la cavava troppo bene, ma ci metteva molto impegno. Una volta cadde, si servì della gruccia per rialzarsi, e continuò a camminare. Gli altri non si vedevano. Il generale di brigata e il reverendo erano accanto al fuoco a tagliare le pertiche; a volte Lansing sentiva il suono delle lame sul legno. Mary e Sandra, probabilmente, erano dall’altra parte del cubo.
Si fermò a guardarlo, con mille interrogativi che gli turbinavano nella mente. Poteva essere uno spazio per vivere, una casa abitata da una famiglia d’esseri sconosciuti? E adesso erano là dentro, a farsi gli affari loro, e a volte guardavano dalle finestre (le finestre?) per osservare gli strani bipedi frastornati che giravano intorno alla loro dimora? Oppure era un magazzino di conoscenza, una biblioteca, un tesoro di nozioni e di pensieri completamente alieni alla mente umana, anche se forse non alieni in se stessi, le nozioni e i pensieri di un altro ramo della razza umana, di molti millenni più avanzata del mondo che lui aveva conosciuto. Era possibile, si disse. La sera prima lui e Jurgens ne avevano parlato, avevano parlato del divario di tempo che poteva esistere nei mondi alternativi. Da quel che gli aveva detto Jurgens, appariva evidente che il tempo del robot era situato molti millenni più avanti, nel futuro, rispetto alla Terra di Lansing. O forse il cubo era una struttura al di fuori del tempo, intravvista vagamente attraverso il velo nebuloso di un altro tempo e di un altro spazio? Era un’idea che non sembrava molto sensata, poiché il cubo era visibile chiaramente. Era lì, solido e concreto per quanto era possibile desiderare.
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