— È una mascalzonata — disse Mary. — Avete lasciato che portasse uno zaino carico, soprattutto di viveri… viveri per voi, non per lui, dato che non ne ha bisogno. Avete lasciato che sbrigasse tutti i lavori. L’avete mandato a riempire d’acqua le borracce, quando lui non beve. L’avete accettato, forse non come uno di noi ma come un servitore, e adesso che è danneggiato proponete di abbandonarlo.
— Non è altro che un robot — disse il reverendo. — Non è un umano, ma soltanto una macchina.
— Eppure è stato considerato degno di partecipare a questa avventura — disse Mary. — Qualunque possa essere. E non c’è bisogno che sia io a ricordarvi che è stato prescelto, come siamo stati prescelti noi, da qualcuno che pensava che dovesse stare con noi.
— E lei, Lansing? — chiese il generale di brigata. — Finora non ha aperto bocca. Il suo parere?
— Io resto con Jurgens — disse Lansing. — Mi rifiuto di abbandonarlo. Se fossi io l’invalido, quello che non è in grado di starvi dietro, Jurgens resterebbe con me. Ne sono certo.
— Anch’io — disse Mary. — Resto con il robot. Voi vi siete lasciati vincere dal panico, a meno che siate stupidi. In un territorio come questo non dovremmo dividere le nostre forze. Perché avete tanta fretta di raggiungere la città?
— Perché qui non c’è niente — disse il generale di brigata. — E in città potremo trovare qualcosa.
— E allora andate, andate pure a cercarla — disse Mary. — Io ed Edward resteremo con Jurgens.
Jurgens disse: — Mia bella signora, non voglio diventare la causa di una controversia…
— Tu stai zitto — disse Lansing. — La decisione spetta a noi. Tu non hai voce in capitolo.
— Allora penso che non ci sia altro da aggiungere — disse il generale di brigata. — Noi tre proseguiremo e voi due ci seguite più lentamente con il robot.
— Come, Sandra? — chiese Mary. — Sei d’accordo con questi due?
— Non mi sembra che ci siano ragioni per rimanere con voi — disse Sandra. — Come dicono loro, qui non c’è niente. Soltanto la bellezza del cubo e…
— Non possiamo esserne sicuri — disse il reverendo. — Ne abbiamo discusso. E adesso che tutto è sistemato, dovremmo distribuire i viveri che portava il robot.
Si avvicinò d’un passo allo zaino di Jurgens, ma Lansing gli si parò davanti.
— Un momento — disse. — Lo zaino appartiene a Jurgens, e quindi resta con noi.
— Ma va diviso in parti eguali!
Lansing scrollò la testa. — Se ci abbandonate, arrangiatevi con i viveri che avete. Niente di più.
Il generale di brigata si fece avanti con un ringhio. — Che cosa spera di guadagnarci? — chiese.
— La certezza che ci aspetterete in città. Che non scapperete via. Se vorrete mangiare, ci aspetterete.
— Sa bene che possiamo prenderlo con la forza.
— Non ne sono del tutto sicuro — disse Lansing. — Non ho mai picchiato un uomo in vita mia; ma se mi costringerete, farò a pugni con tutti e due.
Jurgens si avvicinò zoppicando e si piazzò a fianco di Lansing. — Anch’io non ho mai picchiato un umano — disse. — Ma se aggredite il mio amico, lo difenderò.
Mary si rivolse al generale di brigata. — Credo che farebbe meglio a ripiegare. Immagino che un robot sia un cliente difficile.
Il generale di brigata sembrò sul punto di dire qualcosa, poi evidentemente cambiò idea. Si avvicinò al suo zaino e se lo issò su una spalla, infilò le braccia nelle cinghie e se l’assestò sul dorso.
— Venite — disse agli altri due. — Dobbiamo metterci in cammino.
Gli altri tre rimasero a seguirli con lo sguardo fino a quando la strada superò un dosso e li nascose alla loro vista.
Ancora una volta girarono intorno al cubo, tenendosi vicini l’uno all’altro; perché, adesso che gli altri se n’erano andati, si sentivano molto soli. Scrutarono attentamente i muri, cercando qualche linea di colore diverso, qualche configurazione sottile che potesse rivelare qualcosa. Certe linee non erano altro che ombre, e cambiavano o scomparivano con il mutare della luce, senza lasciare tracce. Trovarono tre lastre di pietra che prima nessuno aveva notato, situate al bordo esterno del cerchio di sabbia, piatte e così ben coperte che erano sfuggite all’attenzione. Le scoprirono per puro caso. Erano larghe un metro e venti, e si estendevano nel cerchio per poco meno di due metri. Quando rimossero la sabbia dalle superfici, videro che erano semplici lastre di pietra levigatissima. Non c’era traccia di lavorazione; sembrava che si fossero scisse lungo le linee di una frattura geologica naturale. Era impossibile capire fino a che profondità penetrassero nel suolo. Per quanto unissero i loro sforzi, i due umani e il robot non riuscirono a smuoverle. Discussero la possibilità di usare un badile per scavare lungo l’estremità esterna d’una pietra per cercare di scoprire quanto fosse alta, ma poi decisero di non farlo… il cerchio era protetto da qualcosa che colpiva con forza fulminea, e il pericolo era probabilmente più grande del valore di ciò che avrebbero potuto scoprire. Le tre pietre erano collocate a distanze approssimativamente eguali l’una dall’altra, e dividevano il cerchio in tre parti.
— Non è un caso se stanno dove stanno — disse Mary. — Indicano una conoscenza tecnologica. La loro posizione deve avere uno scopo o un significato.
— Forse è soltanto uno scopo estetico — suggerì Lansing. — Una certa simmetria.
— Può darsi, ma ne dubito.
— Una magia — disse Jurgens. — Può darsi che reagiscano a un certo rituale, a certi canti o a certe parole.
— Se è così — disse Mary, — non abbiamo nessuna possibilità di scoprirlo.
Vicino alla strada ritrovarono la pertica che il reverendo aveva gettato via non appena era arrivato al sicuro. Lansing la raccolse.
— Non vorrà tentare di avvicinarsi? — chiese Mary. — Se fossi in lei, non mi ci proverei neppure.
— No, non intendo compiere un tentativo così stupido — disse lui. — Ma ho ricordato una cosa. Quando ho cercato di correre nel cerchio per raggiungere Jurgens, sono inciampato e caduto. Sono sicuro che qualcosa mi ha urtato il piede mentre correvo. Voglio vedere se riusciamo a trovarlo.
— Forse è inciampato, semplicemente.
— Può darsi, ma mi sembra di ricordare che ho urtato il piede contro qualcosa.
Le tracce erano visibili sulla sabbia… quelle che aveva lasciato Jurgens, coperte da quelle del reverendo e dall’impronta di Lansing nel punto dov’era caduto. Sporgendosi dal bordo del cerchio di sabbia, Lansing protese la pertica e sondò. Dopo parecchi secondi, il pezzo di legno urtò qualcosa. Cautamente, Lansing fece leva per estrarre a forza l’oggetto sotto il quale s’era incastrata l’estremità. Dalla sabbia affiorò l’angolo di un’asse di legno, e dopo altri numerosi tentativi Lansing riuscì a liberarla e a rastrellarla verso il bordo del cerchio. Era un’asse, non più di un quinto di metro quadrato, con una stretta striscia di legno (un paletto?) fissata da un lato.
Mary si tese e l’afferrò, l’estrasse dal cerchio e la girò. C’era una scritta, a lettere rozze.
Lansing si chinò a esaminarla. — Mi sembra cirillico — disse. — Può essere russo?
— È russo — disse Mary. — La prima riga, con le lettere più grosse, è un segnale di pericolo. Almeno credo. Sì, è un segnale di pericolo.
— Come fa a saperlo? Sa leggere il russo?
— Un po’. Ma questo non è esattamente il russo che conosco io. Certi caratteri sembrano sbagliati. Quelli più grossi segnalano il pericolo: di questo sono sicura. Ma non riconosco la scritta più piccola, quella che sta sotto.
— Il cartello era stato piantato qui fuori, di fronte alla strada — disse Lansing. — In modo che ogni passante lo vedesse. Ma il vento deve averlo rovesciato, oppure qualcuno l’ha urtato, e la sabbia l’ha coperto. Io non l’avrei mai trovato, se non fossi andato a inciamparci.
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