Si chinò su di lei, le prese il viso tra le mani, premendo con delicatezza.
— Mary — disse. — Mary, cosa c’è?
Lei non gli diede ascolto.
La schiaffeggiò con una mano, poi con l’altra. I muscoli della faccia si decontrassero e tremarono. Mary si accasciò, tenendogli le braccia… non a lui, pensò Lansing, ma a qualunque cosa, per aggrapparsi.
La strinse a sé, cullandola. Mary tremava irrefrenabilmente. Incominciò a singhiozzare: singulti sommessi, soffocati.
— Preparo il tè — disse Jurgens. — E riattizzo il fuoco. Ha bisogno di scaldarsi.
— Dove sono? — mormorò lei.
— Qui con noi. Al sicuro.
— Edward?
— Sì, Edward. E Jurgens. Ti sta preparando il tè.
— Mi sono svegliata, e loro erano chini su di me, mi guardavano.
— Taci — disse lui. — Taci. Riposa. Calmati. Non agitarti. Potrai dircelo più tardi. È tutto a posto.
— Sì — disse Mary.
Per un po’ non parlò più. Lansing, che la teneva stretta, sentì che la tensione si andava attenuando.
Finalmente Mary si scosse, si scostò da lui. Si sollevò a sedere e lo guardò.
— Era spaventoso — disse, in tono calmo. — Non ho mai avuto tanta paura.
— Ormai è passato. Cos’è stato… un brutto sogno?
— Qualcosa di più di un sogno. Loro erano là, librati nel cielo, affacciati dal cielo. Lasciami uscire dal sacco a pelo, vorrei avvicinarmi al fuoco. Hai detto che Jurgens sta preparando il tè?
— È pronto — disse Jurgens. — Gliel’ho già versato. Se ricordo bene, ci mette sempre due cucchiaini di zucchero.
— Infatti — disse lei. — Due cucchiaini.
— Ne prende una tazza anche lei? — chiese Jurgens a Lansing.
— Sì, grazie — disse Lansing.
Sedettero insieme accanto al fuoco. Jurgens stava acquattato da una parte. La legna che aveva aggiunto stava prendendo fuoco, e le fiamme balzavano alte. Bevvero il tè, in silenzio.
Poi Mary disse — Non sono una donnicciola isterica. Lo sai.
Lansing annuì. — Sì, lo so. Sei un tipo energico e pratico.
— Mi sono svegliata — disse lei. — È stato un risveglio facile, piacevole. Non brusco e improvviso. Ero sdraiata sul dorso, e quando ho aperto gli occhi ho visto direttamente il cielo.
Bevve un altro sorso di tè e attese, come se cercasse di farsi forza per continuare il racconto.
Posò a terra la tazza e si voltò verso Lansing. — Erano tre — disse. — O almeno, credo che fossero tre. Forse quattro. Tre facce. Senza corpo. Soltanto le facce. Molto grandi. Più grandi di quelle umane, anche se sono sicura che erano umane. Sembravano umane. Tre grandi facce nel cielo. Riempivano metà del cielo, e mi guardavano. E io ho pensato che era assurdo, credere che le vedevo. Ho battuto le palpebre, pensando che fosse uno scherzo dell’immaginazione, che sarebbero sparite. Ma non sono sparite. Dopo che ho sbattuto gli occhi, le ho viste ancora più chiaramente.
— Calma — disse Lansing. — Parla con calma.
— Sto parlando con calma, accidenti. Tu pensi che si sia trattato di un’allucinazione, vero?
— No — disse lui. — Se dici di averle viste, le hai viste. Sei un tipo energico e pratico, ricordi? Non una donnicciola isterica.
Jurgens si tese verso di loro e riempì di nuovo le tazze.
— Grazie, Jurgens — disse Mary. — Il tuo tè è delizioso.
Poi continuò: — Le facce non avevano niente che non andava. Niente di mostruoso. Erano molto normali, ora che ci penso. Una aveva la barba. Il giovane. Gli altri due erano vecchi. Non avevano niente di anormale, ho detto… all’inizio. Poi ho cominciato a sentirlo. Mi stavano guardando attentamente. Con interesse. L’interesse che proverebbe uno di noi due se si imbattesse in un insetto orrendo, una creatura abominevole, un essere vivente d’una specie nuova. Come se io non fossi una creatura: come se fossi una cosa. All’inizio c’era, mi sembrava, una sorta di compassione per me; ma poi ho compreso che non era così, era piuttosto un miscuglio di disprezzo e di pietà, ed era la pietà, quella che mi feriva di più. Riuscivo quasi a leggere i loro pensieri. Mio Dio, pensavano, guardala! E poi… e poi…
Lansing non disse nulla; intuiva che era meglio non dire nulla.
— E poi hanno distolto le teste. Non sono scomparsi. Hanno distolto le teste, disinteressandosi di me. Come se fossi indegna della loro attenzione, del loro disprezzo e della loro pietà. Come se non fossi niente… e per estensione non fosse niente neppure la razza umana. Ci condannavano al nulla, anche se forse non è esatto parlare di condanna. Non eravamo degni neppure di quello. Eravamo una forma inferiore, alla quale non volevano più pensare.
Lansing esalò un lungo respiro. — Per amor di Dio — disse. — Non mi meraviglio che…
— Appunto. Non c’è da meravigliarsi. È stato un colpo terribile. Edward, forse la mia reazione…
— Non parliamo di reazioni. La mia, probabilmente, sarebbe stata anche peggio.
— Che cosa pensi che fossero? Non chi… che cosa?
— Non saprei. In questo momento non cercherei neppure di indovinarlo.
— Non è stata la mia immaginazione.
— Tu non hai immaginazione — disse Lansing. — Sei un ingegnere. Pensi in termini di dadi e bulloni. Molto realista. Per te, due e due fanno quattro, non tre o cinque.
— Grazie — disse Mary.
— Più tardi — disse lui, — passeremo ore a chiederci chi erano. Ma adesso no. È trascorso troppo poco tempo. Più tardi.
— Un’altra persona — continuò Mary, — forse ti avrebbe detto che erano dei. Sandra avrebbe detto così. Un primitivo ti avrebbe detto così. Il reverendo avrebbe sostenuto che erano diavoli, smaniosi di catturare la sua anima. Io posso dirti soltanto questo… avevano l’arroganza, l’indifferenza, la sicurezza degli dei, ma non erano dei.
— Un tempo, noi robot credevamo che gli umani fossero dei — disse Jurgens. — Dopotutto, in un certo senso lo erano, forse. Potete capire perché pensavamo così: ci avete creati. Ma poi non lo credemmo più. Dopo qualche tempo ci accorgemmo che erano soltanto esseri di un tipo diverso.
— Non è necessario che mi conforti — disse Mary. — So che non erano dei. Non sono sicura che gli dei esistano. Credo che non esistano, anzi.
Lansing e Mary non tornarono a infilarsi nei sacchi a pelo. Non sarebbero riusciti a dormire, e l’alba non era lontana. Rimasero seduti accanto al fuoco a parlare. Adesso parlavano senza difficoltà. Dopo un po’, Jurgens incominciò a preparare la colazione.
— Frittelle e prosciutto — disse. — Va bene?
— Per me va benissimo — disse Lansing.
— Faremo colazione presto — disse il robot. — E partiremo presto. Forse oggi raggiungeremo la città.
Non raggiunsero la città quel giorno, ma nel tardo pomeriggio del giorno seguente.
La scorsero quando arrivarono sulla cresta di un’alta collina, che la strada saliva in tornanti tortuosi.
Mary trattenne il respiro. — Eccola — disse. — Ma la gente dov’è?
— Forse non c’è — disse Lansing. — È un ammasso di rovine, non una città.
Si estendeva sulla piana, ai piedi della collina… una piana color terra e una città color terra. Copriva una buona parte della piana tra le colline. Era inerte, senza vita. Non c’era nulla che si muovesse.
— Non ho mai visto niente di tanto deprimente in tutta la mia vita disse Mary. — E il generale era così ansioso di raggiungerla. Diceva che ci sarebbe stata gente.
— Si potrebbe guadagnare parecchio, scommettendo sempre contro quello che dice il generale — commentò Lansing.
— Non c’è traccia degli altri — disse Mary. — Neppure l’ombra. Credevo che stessero di vedetta, ad aspettarci, che tenessero d’occhio la pista.
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