Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— È qualcosa di nuovo? — chiese Lansing. — L’avevate già visto?

— L’abbiamo visto una volta — disse il reverendo. — Se non era proprio questo, era un altro molto simile.

— E correva?

— Correva — disse il reverendo.

Lansing si rivolse al generale di brigata. — Mi ha parlato di esseri. Ha detto che aveva visto esseri , al plurale. Sono più d’uno, evidentemente.

— C’è una specie di ragno — disse il generale di brigata, — che vive nell’ammasso dei macigni. Probabilmente non è un vero ragno, ma è l’analogia più calzante che mi viene in mente. Un ragno ho otto zampe, e questo ne ha di più, anche se è difficile dirlo… sono sempre cosi aggrovigliate che è impossibile contarle. Di solito lo si vede sbirciare, ma in questo momento è nascosto. È d’un bianco puro, e non è facile vederlo, nello scintillio dei diamanti. Ogni tanto c’è un uovo con tre zampe che attraversa lo schermo. Il corpo è ovoidale, e ci sono fessure su tutta la parte superiore. Organi dei sensi, presumo. Le tre gambe terminano in zoccoli e non hanno snodi al ginocchio. Si muove slanciando in avanti una gamba alla volta, tenendola rigida. Tranquillo, noncurante, come se non avesse paura di niente. Eppure, a quanto si può vedere, non ha difese.

— È un luogo pieno d’orrori — disse il reverendo. — Nessun uomo timorato di Dio dovrebbe permettersi di guardarlo.

XV

Sedettero intorno al fuoco, oziando un po’ dopo la colazione.

— Abbiamo esplorato questo piano e i quattro piani superiori — disse il generale di brigata. — E non abbiamo trovato altro che lo schermo grafico e il gruppo statuario. Tutte le stanze sono completamente spoglie. Non c’è neppure un mobile. Non è rimasto niente di niente. Cos’è successo? Fu una ritirata in buon ordine? Gli abitanti si trasferirono altrove portandosi via tutto ciò che possedevano? Oppure la città fu saccheggiata, oggetto per oggetto? Se è così, chi fu a saccheggiarla? Gruppi come il nostro hanno sfasciato i mobili per usarli come legna da ardere? È possibile, perché probabilmente gruppi come il nostro sono passati di qui per molto tempo, forse per millenni. Avrebbero potuto bruciare i mobili, certo, ma il resto… le pentole e i tegami, i piatti, le ceramiche, gli indumenti, i libri, i quadri, i tappeti, tutta la roba che doveva esserci? Forse li hanno portati via come ricordo, ma ne dubito. Non soltanto qui, in questo palazzo dell’amministrazione, ma dovunque abbiamo guardato. Persino quelle che sembrano residenze private sono completamente spogliate.

— La città fu un fallimento — disse il reverendo. — Era una città atea, e quindi fu un fallimento.

— Io credo che lo fosse — disse Sandra, — perché non aveva cuore. Non c’è traccia d’arte, escluso il piccolo gruppo statuario che abbiamo trovato. Un popolo insensibile, senza cuore, che non concedeva spazio all’arte.

— Quando se ne andarono — disse il generale di brigata, — forse si portarono via le loro opere d’arte. Oppure le presero altri, venuti qui più tardi.

— Forse la città non fu creata come abitato permanente — disse Mary. — Forse non era niente altro che una specie d’accampamento. Un luogo dove sostare mentre attendevano che accadesse qualcosa, un avvenimento che doveva compiersi…

— Se è così — disse il generale di brigata, — hanno costruito molto bene. Non ho mai sentito parlare di un accampamento edificato in pietra e tanto solido. E un’altra cosa che mi sconcerta è il fatto che non aveva difese di nessun genere. In un posto come questo, costruito tanto tempo fa, dovrebbe esserci un sistema difensivo di mura. C’è qualche muro basso qua e là, che delinea il perimetro della città; ma non sono continui, e non avrebbero avuto utilità per la difesa.

— Ci stiamo abbandonando alle allucinazioni — disse il reverendo. — Finora non abbiamo trovato nulla che getti luce sulla ragione della nostra presenza qui. Non abbiamo trovato niente intorno al cubo e non abbiamo trovato niente nella città.

— Forse nessuno di noi ha guardato come avrebbe dovuto — disse Jurgens.

— Dubito che ci sia qualcosa da trovare — disse il reverendo. — Credo che siamo qui per il capriccio irresponsabile di…

— Non posso crederlo — disse il generale di brigata. — Ogni azione deve avere una causa. Nell’universo non possono esserci azioni immotivate.

— Ne è sicuro? — chiese il reverendo.

— Mi sembra ragionevole che sia così. Lei si arrende con troppa facilità, reverendo. Ma io non sono disposto a farlo. Ho intenzione di passare la città al pettine fitto, prima di abbandonare la ricerca. C’è ancora il sotterraneo di questo edificio, e dovremo andare a vederlo. Se non ci troveremo niente, dovremo esplorare altri obiettivi selezionati.

— Come può essere certo che la soluzione sia qui? — chiese Lansing. — Debbono esserci altri posti, in questo mondo.

— Perché questa città è il posto più logico. Una città è sempre il centro di una civiltà, è il perno degli avvenimenti. La soluzione si può trovare dove c’è una concentrazione di gente e di installazioni.

— In questo caso — disse Jurgens, — dovremo muoverci e cercare.

— Hai ragione, Jurgens — disse il generale di brigata. — Scenderemo a fare una ricognizione nel sotterraneo; se non troveremo niente, e tra parentesi sono quasi sicuro che sarà così, allora prenderemo in esame la situazione e decideremo sul da farsi.

— È meglio che prendiamo tutti le torce elettriche — suggerì Sandra. — Sarà molto buio, là sotto. Il resto dell’edificio è già abbastanza buio; nelle cantine sarà anche peggio.

Il reverendo precedette gli altri giù per l’ampia scala. Quando arrivarono in fondo s’intrupparono istintivamente, guardando nella tenebra, e puntarono di qua e di là i raggi delle torce elettriche, rivelando corridoi e vani privi di porta.

— Dividiamoci — disse il generale di brigata, assumendo il comando. — E disperdiamoci. In questo modo esploreremo una zona più ampia. Se qualcuno trova qualcosa, chiamerà gli altri. Dividiamoci a due per due. Lansing, vada con Jurgens lungo il corridoio di sinistra. Mary e il reverendo esploreranno quello centrale; io e Sandra ci addentreremo in quello di destra. Ogni coppia userà una sola torcia elettrica, per economizzare le batterie. Ci ritroveremo qui.

Dal modo in cui l’aveva detto, il generale di brigata prevedeva che sarebbe tornato presto.

Nessuno fece obiezioni. Si erano abituati a sentirlo dare ordini. Si avviarono lungo i corridoi assegnati.

Jurgens e Lansing trovarono le mappe nella quarta stanza che visitarono. Sarebbe stato facile andarsene senza vederle. Il sotterraneo era molto deprimente. C’era polvere dappertutto. Mentre camminavano si sollevava a sbuffi sotto i loro piedi e restava in sospensione nell’aria. Aveva un odore secco, arido. Penetrava nelle narici di Lansing e lo faceva sternutire.

Avevano dato un’occhiata alla quarta stanza e, come tutte le altre, era vuota completamente. Mentre tornavano verso la porta, preparandosi a passare nella camera accanto, Jurgens girò un’ultima volta il fascio di luce sul pavimento.

— Ehi, un attimo — disse. — Non c’è qualcosa, là?

Lansing guardò. Nel cerchio di luce scorse qualcosa d’indistinto, di scuro.

— Probabilmente non è nulla — disse. Non vedeva l’ora di concludere l’esplorazione del sotterraneo. — È soltanto un’irregolarità del pavimento.

Jurgens si chinò in avanti, puntellandosi con la gruccia. — È meglio assicurarcene — disse.

Lansing restò a guardare mentre Jurgens si dirigeva verso l’oggetto. Tenendosi in equilibrio instabile, il robot tese la gruccia per muoverlo. L’oggetto si rovesciò. Dal grigiore della polvere emerse qualcosa di bianco.

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