Clifford Simak - Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— È ridicolo! — esclamò sdegnato il generale di brigata. — Chi ha mai sentito parlare di una spedizione che si mette in moto senza una difesa adeguata?

L’Oste cercò di tranquillizzarlo. — Non ci sono pericoli lungo la strada. Non c’è nulla da temere.

— E come fa a saperlo? — rimbeccò il generale. — Quando le abbiamo chiesto altre cose, stranamente, non sapeva nulla. Se non sa nulla, come può essere sicuro che non ci sia pericolo?

Al momento di pagare gli acquisti, Lansing dovette mercanteggiare. Il locandiere sembrava deciso a spuntare un prezzo elevato per compensare lo sconto che era stato costretto a fare per vitto e alloggio. Lansing ebbe l’appoggio veemente del reverendo, il quale era convinto che tutti cercassero di spennarlo.

Finalmente l’accordo fu concluso, in modo insoddisfacente per tutti; e partirono.

Il generale di brigata si avviò per primo, seguito dal reverendo. Poi venivano Mary e Sandra, mentre Jurgens e Lansing procedevano alla retroguardia. Jurgens portava un grosso zaino stracolmo di viveri. Era l’unico della compagnia che non aveva avuto bisogno di fare acquisti: né cibo né sacco a pelo, perché non mangiava e non dormiva. Non aveva bisogno neppure d’indumenti, ma aveva scelto un’accetta e un coltello, e adesso li portava appesi a una cintura.

— Sono incuriosito dalle prime parole che mi hai rivolto — disse Lansing al robot mentre procedevano fianco a fianco. — Mi hai chiesto se sono un eccentrico, e hai detto che fai collezione di eccentrici. Ma più tardi hai affermato che nel tuo mondo sono rimasti pochi umani. Se è così…

— Il mio è stato uno scherzo non troppo spiritoso — rispose il robot. — Ora me ne dispiace. Per la verità, non faccio collezione di umani. La faccio semplicemente degli umani eccentrici che incontro nella letteratura.

— Tieni un elenco dei personaggi strambi?

— Oh, molto di più. Costruisco le loro miniature. Miniature dei tipi di umani che avrebbero potuto essere, secondo me, nella vita reale.

— Allora sei un collezionista di pupazzi?

— Non è una collezione di pupazzi, Mr. Lansing. Si muovono e parlano, recitano piccole scene. È molto divertente. Mi ci diverto per ore e ore. Inoltre, credo di acquisire una maggiore comprensione della condizione umana, dalle loro interrelazioni.

— Pupazzi meccanici?

— Penso che si potrebbe chiamarli così. Sono fondamentalmente meccanici. Tuttavia, in alcuni loro aspetti sono biologici.

— È sorprendente — disse Lansing, un po’ frastornato. — Dunque crei esseri viventi.

— Sì, sono vivi, in molti modi diversi.

Lansing non disse altro. Preferiva non continuare a discutere quell’argomento.

La strada era poco più d’una pista. Ogni tanto si scorgeva il doppio solco lasciato da veicoli a ruote, ma quasi sempre quelle tracce erano cancellate dall’erosione, e sopra vi crescevano erbe e piante striscianti.

Per diverso tempo la strada continuò a salire attraverso un territorio forestato che, dopo un paio d’ore di cammino, incominciò a schiudersi e lasciò gradualmente il posto a una campagna ondulata ed erbosa, chiazzata qua e là da piccoli gruppi d’alberi. La giornata, che al mattino era stata d’un tepore gradevole, divenne sempre più calda all’avvicinarsi del meriggio.

Il generale di brigata, che era ancora in testa, si fermò in un boschetto, sedette per terra e si appoggiò contro un albero.

Quando gli altri lo raggiunsero, spiegò la ragione della sosta. — Ho pensato che sarebbe meglio fermarci, per riguardo verso le signore. Il sole è molto forte.

Estrasse un grande fazzoletto candido da una tasca della tunica e si asciugò la faccia sudata. Poi prese la borraccia, la stappò e ingollò lunghe sorsate d’acqua.

— Possiamo riposare un po’ — disse Lansing. — Se vogliamo approfittarne, tanto vale che mangiamo qualcosa.

Il generale di brigata accettò prontamente. — Un’idea magnifica — commentò.

Jurgens aveva già aperto lo zaino e stava tagliando fette di carne fredda e di formaggio. Tirò fuori una latta di gallette e tolse il coperchio.

— Devo preparare il tè? — chiese.

— Non c’è tempo — disse il reverendo. — Dovremmo proseguire.

— Andrò in cerca di un po’ di legna — disse Lansing. — Così potremo accendere il fuoco. Ho visto un albero morto, un po’ più indietro. Il tè ci farebbe bene.

— Non è necessario — disse il reverendo. — Non abbiamo bisogno del tè. Possiamo mangiare formaggio e gallette mentre camminiamo.

— Si sieda — disse il generale di brigata. — Si sieda e si riposi. Una marcia non va affrontata precipitosamente come abbiamo fatto finora. Bisogna farci l’abitudine a poco a poco, e all’inizio andarci con calma.

— Non sono stanco — scattò il reverendo. — E non ho bisogno di farci l’abitudine.

— Ma le signore, reverendo!

— Le signore se la cavano benissimo — disse il reverendo. — È lei, quello che non ce la fa più.

Stavano ancora bisticciando quando Lansing tornò indietro lungo la strada per rintracciare l’albero morto che aveva adocchiato poco prima. Non era lontano come aveva pensato, e si mise subito all’opera, tranciando i rami secchi in pezzi abbastanza corti per trasportali. Non occorreva molto combustibile, per un fuoco da accendere nella sosta di mezzogiorno. Una bracciata sarebbe stata sufficiente.

Un fuscello secco scricchiolò dietro di lui, facendolo voltare di scatto. Mary era lì, a pochi passi.

— Spero di non darle fastidio — disse.

— Anzi. Lieto della compagnia.

— Non resistevo più… quei due non hanno ancora smesso di litigare. Ci sarà qualche guaio serio, con loro, prima del termine del viaggio.

— Sono due uomini ossessionati.

— E molto simili.

Lansing rise. — Se glielo dicesse, l’ammazzerebbero. Ognuno dei due è convinto di disprezzare l’altro.

— Forse è vero. Forse si disprezzano, dato che si somigliano tanto. Forse ognuno vede se stesso nell’altro. Forse è l’odio che provano per se stessi.

— Non lo so — disse Lansing. — Non capisco nulla di psicologia.

— E di che cosa s’intende? Voglio dire, che cosa insegna?

— Letteratura inglese. Al college ero la massima autorità locale su Shakespeare e la sua opera.

— Sa una cosa? — disse Mary. — Ha anche l’aspetto adatto. Ha l’aria dello studioso.

— Mi pare che così basti — disse lui, inginocchiandosi per raccogliere la legna.

— Posso aiutarla? — chiese lei.

— No. Non ne occorre molta, per preparare il tè.

— Edward, lei cosa pensa che troveremo? Che cosa stiamo cercando?

— Non lo so, Mary, e non credo che lo sappia nessuno. Sembra che non ci sia una ragione per la nostra presenza qui. Nessuno, credo, ci vuole veramente. Eppure eccoci qua, noi sei.

— Io ci ho pensato molto — disse lei. — Questa notte quasi non ho dormito, per pensarci. Qualcuno ci vuole qui. Qualcuno ci ha mandati qui. Non abbiamo chiesto noi, di venire.

Lansing si rialzò, stringendo il mucchio di legna che reggeva con il braccio. — Non preoccupiamoci troppo. Per il momento. Fra un giorno o due, forse, ne sapremo di più.

Risalirono la strada. Jurgens stava salendo il pendio a grandi passi, con quattro borracce appese alla spalla.

— Ho trovato una sorgente — disse. — Avreste dovuto lasciarmi le borracce. Ve le avrei riempite.

— La mia è quasi piena — disse Mary. — Ho bevuto appena un sorso.

Lansing si mise all’opera per accendere il fuoco mentre Jurgens versava l’acqua in un bricco e piantava per terra un ramo forcuto per sospenderlo sopra le fiamme.

— Lei sapeva — chiese il reverendo, fermandosi accanto a Lansing, — che questo robot ha portato una borraccia anche per sé?

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