— Anch’io ho una preparazione tecnica — disse Jurgens. — Ma non conosco nessuna metodologia che…
— Perché lo chiede a lui? — urlò il reverendo. — Lo chiama robot, ed è una parola che esce facilmente dalle labbra, ma quando si arriva al dunque non è altro che una macchina, un congegno meccanico.
— Adesso esagera — disse il generale di brigata. — Si dà il caso che io viva in un mondo dove i congegni meccanici combattono una guerra da anni, e la combattono bene e con intelligenza, con un’immaginazione, anzi, che a volte supera quella degli umani.
— È orribile — disse la poetessa.
— Intende dire, suppongo — disse il generale di brigata, — che la guerra è orribile.
— Non lo è, forse?
— La guerra è una funzione umana naturale — rispose il generale di brigata. — Nella nostra specie c’è un istinto aggressivo, competitivo che reagisce al conflitto. Se non fosse così, non ci sarebbero state tante guerre.
— Ma le sofferenze umane? Le angosce? Le speranze annientate?
— Nei miei tempi è diventata un gioco — disse il generale di brigata. — Come lo era per molte tribù umane primitive. Gli indiani del Continente Occidentale la consideravano un gioco. Un giovane non diventava uomo fino a che non aveva conseguito la sua prima vittoria. Tutto ciò che esiste di nobile e di virile nasce dalla guerra. In passato, senza dubbio, vi furono tempi in cui l’eccesso di zelo portò alcune delle conseguenze che lei ha citato. Ma oggi viene versato pochissimo sangue. La guerra è diventata una specie di partita a scacchi, per noi.
— E usate i robot — disse Jurgens.
— Non li chiamiamo robot.
— Forse no. Mezzi meccanici. Mezzi meccanici che hanno un’identità personale e la capacità di pensare.
— Appunto. Ben costruiti e magnificamente addestrati. Ci aiutano a preparare i piani, oltre a combattere. Nel mio stato maggiore c’erano parecchi mezzi meccanici. Sotto molti punti di vista, a volte hanno una comprensione di una situazione militare superiore alla mia.
— E il campo di battaglia è sparso di mezzi meccanici?
— Sì, naturalmente. Noi recuperiamo tutti quelli che possiamo.
— E li riparate e poi li mandate di nuovo a combattere?
— Ma certo — rispose il generale di brigata. — In guerra bisogna conservare gelosamente le risorse di cui si dispone.
— Generale — disse Jurgens, — non credo che mi piacerebbe vivere in un mondo come il suo.
— E il tuo, com’è? Se non vorresti vivere in un mondo come il mio, spiegami com’è quello dove vivi tu.
— È un mondo pacifico. Un mondo gentile. Noi abbiamo compassione per i nostri umani.
— Mi sembra allucinante — disse il generale di brigata. — Avete compassione per i vostri umani. I vostri umani?
— Nel nostro mondo ce ne sono rimasti pochi. Noi ci prendiamo cura di loro.
— Tutto questo mi sconvolge — disse il reverendo. — Sto arrivando alla conclusione che Edward Lansing, forse, ha colpito nel segno. Ascoltandovi mentre parlate, appare evidente che tutti noi veniamo da mondi diversi. Un mondo cinico che considera la guerra un semplice gioco…
— Non è semplice — disse il generale di brigata. — A volte è molto complesso.
— Un mondo cinico — ripeté il reverendo, — che considera la guerra un gioco complesso. Un mondo di poetesse e di poeti, di musiche e di accademie. Un mondo dove i robot si prendono premurosamente cura degli umani. E nel suo mondo, signora mia, una società dove una donna può diventare ingegnere.
— Che cosa c’è di male? — chiese Mary.
— C’è il fatto che le donne non devono diventare ingegneri. Devono essere mogli fedeli, casalinghe efficienti, buone allevatrici di figli. Queste sono le attività naturali delle donne.
— Nel mio mondo le donne non sono soltanto ingegneri — disse Mary. — Sono dottori, fisici, chimici, filosofi, paleontologi, geologi, membri dei consigli d’amministrazione di grandi aziende, presidenti di società prestigiose, avvocati e giuristi, dirigenti di organismi esecutivi. L’elenco potrebbe continuare per un pezzo.
L’Oste arrivò correndo.
— Fate largo — disse. — Fate largo alla cena. Spero che sia di vostro gradimento.
La cena era terminata, ed era stata più che soddisfacente. Adesso il tavolo era stato spostato, e tutti si erano seduti davanti al fuoco scoppiettante. Dietro di loro, nell’altro angolo della sala, i giocatori di carte erano ancora chini sul loro tavolo.
Lansing alzò il pollice sopra la spalla, per indicarli. — E loro? Non hanno cenato con noi.
L’Oste fece un gesto sprezzante. — Non vogliono abbandonare il gioco. Gli abbiamo servito qualche panino, e hanno continuato a divertirsi. Non smetteranno fino alle prime ore del mattino, e poi si alzeranno dopo un sonno brevissimo. Quindi faranno una colazione di preghiera e ricominceranno a giocare a carte.
— Chi pregano? — chiese Mary. — Forse gli dei del caso.
L’Oste scrollò la testa. — Non lo so. Non ho mai origliato.
— Mi sembra che sia un tipo del tutto privo di curiosità — disse il reverendo. — Non ho mai incontrato un uomo che ne sapesse meno di lei, delle cose più normali. Non sa in che terra siamo. Non sa perché siamo qui, né che cosa dovremmo fare.
— Ho detto la verità — rispose l’Oste. — Non so niente di queste cose, e non ho mai fatto domande.
— Forse la verità è che non c’è nessuno al quale farle? Non c’è nessuno al quale noi possiamo farle?
— Credo che sia un’affermazione esatta — disse l’Oste.
— Dunque siamo stati scaricati qui — disse Mary, — senza sapere nulla e senza istruzioni. Qualcuno o qualcosa deve averci portati in questo posto per una ragione. Ha un’idea di…
— Non ho nessuna idea, signora. Posso dirle questo… gli altri gruppi che sono venuti qui hanno lasciato la locanda, avviandosi per un’antica strada alla ricerca di quello che c’è più oltre.
— Dunque ci sono stati altri gruppi?
— Oh, sì. Moltissimi. Ma a lunghi intervalli.
— E ritornano?
— Raramente. Solo qualcuno, ogni tanto.
— E cosa succede, quando qualcuno ritorna?
— Non lo so. Io chiudo, durante l’inverno.
— La strada antica di cui ha parlato — disse il generale di brigata. — Può dirci qualcosa di più preciso? Dove va? Che cosa si può trovare lungo il percorso?
— Soltanto dicerie. Si parla di una città e si parla di un cubo.
— Soltanto dicerie?
— Sì. Nient’altro.
— Un cubo? — chiese Lansing.
— È tutto quello che so, — rispose l’Oste. — Non so niente altro. E adesso c’è una cosa che esito a menzionare, ma tuttavia è necessario.
— Quale? — chiese il reverendo.
— La questione del pagamento. Devo essere pagato per l’alloggio e i pasti, e ho un piccolo spaccio dove forse vorrete acquistare viveri e altre cose, prima di mettervi in viaggio.
— Io non ho denaro — disse il generale di brigata. — Raramente lo porto con me. Se avessi saputo che venivo qui, mi sarei procurato un po’ di contanti.
— Io ho soltanto qualche biglietto di banca e un pugno di spiccioli — disse il reverendo all’Oste. — Come tutti gli ecclesiastici del mio paese, sono molto povero.
— Io posso farle un assegno — disse Mary.
— Mi dispiace, non posso accettare assegni. Il pagamento dev’essere in contanti.
Sandra Carver protestò: — Io non ci capisco niente. Contanti? Assegni?
— Sta parlando di denaro — spiegò il generale di brigata. — Saprà pure cos’è il denaro!
— Ma non lo so… La prego, me lo dica. Che cos’è il denaro?
Il generale di brigata rispose cortesemente: — È un simbolo, di carta o di metallo, con un certo valore fisso dichiarato. Viene utilizzato per pagare merci e servizi. Certamente l’userà anche lei per acquistare ciò che le occorre, gli alimenti e gli abiti.
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