Trovò e riconobbe la scia di Emma, di Horace e di Timothy, oltre a quella di Spike. Inoltre trovò abbondanti tracce di molti altri esseri. Nel terreno c'erano le impronte di piedi simili a quelli umani, ma, esaminandole con attenzione, vide che non erano umane.
Scese in fondo alla valle e trovò una depressione rettangolare, dove, fino a poco tempo prima, si era innalzato un edificio. E nella zona aleggiava un odore che lui ricordava dal lontano passato: l'odore degli Infiniti.
La famiglia era scomparsa. Enid era sparita, David era morto, e adesso anche gli altri tre mancavano. Lui era rimasto solo in quel luogo del lontano futuro.
Se almeno avesse potuto tornare indietro lungo la linea del tempo, fino al momento in cui i suoi tre familiari erano arrivati laggiù… se fosse stato possibile farlo, tutto sarebbe stato più semplice. Ma era impossibile. Si poteva viaggiare liberamente nel tempo, ma non nelle aree dove si rischiava di interferire con qualche sequenza di avvenimenti.
Lui poteva capire ragionevolmente la necessità di queste limitazioni; ma quando cercava di comprendere la loro natura, non trovava alcun principio fisico che le giustificasse. Era possibile, si domandò, che l'universo fosse basato su principi morali?
Continuò a pensare a questo muovendosi nella valle senza una meta precisa. Era privo di amici e di familiari, e si trovava in un tempo che non conosceva e che non gli piaceva.
Poteva ritornare a Hopkins Acre, ma ormai quella casa era un posto solitario e abitato da visioni del passato, e là si sarebbe sentito perduto. Poteva cercare Corcoran, ma Corcoran non era un suo familiare. Era un estraneo capitato per caso a Hopkins Acre.
Il mio posto, si disse Henry, è lassù, con tutti quegli altri scintillanti punti di luce; bene o male che sia, dovrei essere uno di loro. Molto tempo prima, per orgoglio e per cocciutaggine, non era riuscito a diventare uno di loro; non aveva potuto raggiungerli. E forse stava meglio di loro. L'aveva già pensato una volta, e forse aveva ragione.
Riprese dunque la sua ricerca in tutte le direzioni, come un cane da caccia, nella debole speranza di ritrovare la scia. Ma era un compito disperato. La traccia terminava in quella valle chiusa tra le montagne.
Corcoran seguì il sentiero che partiva dal prato dove era atterrato il viaggiatore e che saliva alla cima della collina, e giunse alle mura della città dimenticata. Correva il rischio di non trovare niente, si disse. Quando era uscito dal viaggiatore aveva studiato a lungo il profilo delle rovine sullo sfondo del cielo, e non aveva visto alcun albero. Eppure era certo di non esserselo immaginato.
Probabilmente, per vederlo doveva mettersi in una posizione ben precisa. Quando aveva cercato il viaggiatore posto all'esterno dell'Hotel Everest, per vederlo si era dovuto mettere sotto un determinato angolo. Forse questo valeva anche per l'albero. Doveva raggiungere il punto da cui l'aveva visto la volta precedente.
Si passò il fucile sull'altra spalla e riprese la salita. Giunse alla porta, aspettandosi di rivedere lassù il vecchio, ma non vide nessuno. Forse il vecchio lupo dello spazio era sulle montagne, a parlare con le sue pietre e i suoi alberi.
Corcoran si fece strada tra le rovine della città, ripercorrendo il cammino della volta precedente. Ma non vide l'albero.
Giunto in cima alla collina, scorse finalmente un tremolio nel cielo, e dopo un passo vide l'albero: quell'incredibile, enorme albero che saliva alle stelle. Dopo un altro passo, l'albero divenne più nitido e Corcoran poté scorgere la scala che saliva attorno al tronco.
Ansimando per la fatica, corse verso la scala. Rimani lì, la pregò. Non andartene.
La scala rimase al suo posto, e divenne sempre più reale man mano che lui si avvicinava. Alla fine Corcoran si lasciò cadere ai suoi piedi, esausto. Allungò la mano e posò il palmo contro la corteccia, che era ruvida e robusta, uguale a quella di qualsiasi albero… a parte l'altezza e la dimensione.
La scala, poté vedere, era di metallo spesso e aveva anche una ringhiera.
Si alzò e si diresse verso la scala, poi si fermò e tornò a sedere. No, disse, prima voglio riprendere fiato, prima voglio essere pronto. Posò a terra il fucile e si sfilò dalle spalle lo zaino. Lo aprì e controllò il contenuto: cibo, una borraccia, una giacca pesante, una coperta per riscaldarsi di notte e un rotolo di corda per legarsi alla scala, nel caso avesse dovuto passare la notte lassù.
Rifece lo zaino e si appoggiò all'albero. Soltanto quando sarò pronto, si disse. Sotto di lui si stendevano le rovine, e più in basso la valle dove lui e David avevano seguito un sentiero che portava a una piccola comunità.
Un quarto d'ora più tardi, si alzò, si mise in spalla lo zaino, raccolse il fucile e si avviò lungo la scala. La salita non era difficile, la distanza tra uno scalino e l'altro era quella a cui era abituato, la ringhiera era robusta e gli dava un senso di sicurezza.
Non si guardò alle spalle finché non fu costretto a fermarsi. Poi guardò in basso e rimase sorpreso nel vedere quanta strada avesse percorso: dovette sporgersi dalla ringhiera per vedere le rovine che giacevano alla base dell'albero. Da quella altezza sembravano soltanto un mucchio di pietre grigie. Le mura che le circondavano sembravano soltanto una sottile linea più volte interrotta. Dietro le rovine si stendeva una distesa verde di monti, rotta occasionalmente dal riflesso argenteo di qualche fiume. Sollevando lo sguardo verso la cima dell'albero il tronco sembrava non avere mai fine. Saliva dritto verso il cielo fino a scomparire in mezzo all'azzurro.
Continuò a salire. Quando si fermò la seconda volta, per riposare, non riuscì a distinguere le rovine. Le colline che si stendevano tutt'intorno alla base non davano alcun senso di profondità. Il diametro dell'albero sembrava essersi ridotto, anche se rimaneva assai più grande di quello di qualsiasi albero ordinario.
Pensò di essere giunto a un'altezza di almeno cinque chilometri, anche se la cosa sembrava impossibile: nessuno poteva salire a una simile altezza facendo soltanto due brevi tappe. E non aveva notato diminuzione della temperatura o variazioni della densità dell'aria. L'enormità dell'albero non era la sola cosa impossibile, contraria a tutte le regole a lui note.
Si domandò se dovesse continuare a salire, e si chiese che cosa volesse dimostrare con la sua ascesa e che cosa si aspettasse di trovare. Ma i misteriosi effetti fisici collegati alla presenza dell'albero lo spinsero a continuare. Lassù, si disse, doveva esserci la risposta ai misteri incontrati fino a quel momento. Dopo avere fatto tanta strada, non poteva fermarsi. Se non fosse giunto alla cima sarebbe sempre rimasto con la curiosità di sapere cosa ci fosse lassù…
Mancava solo un'ora al tramonto quando riprese a salire; sotto di lui la terra era completamente avvolta nel buio, a eccezione di un'unica altissima montagna. Qualche tempo più tardi, si accorse di avere dimenticato il fucile su uno scalino. Ma il fucile non gli serviva; e non aveva voglia di andare a riprenderlo. Continuò a salire, e adesso, senza il peso del fucile, la salita era più agevole. Salì ancora, e giunse il crepuscolo: un crepuscolo non azzurrino come quello che lui conosceva, ma grigio. Presto, si disse, avrebbe dovuto fermarsi, legarsi a uno scalino con la corda che si era portato, mangiare qualcosa, cercare di dormire. Ma sapeva che avrebbe dormito poco.
Mentre saliva, cercava di pensare ai misteri dell'albero: la scala, la forza misteriosa che gli impediva di stancarsi e che manteneva costante intorno a lui la pressione atmosferica. La ragione gli diceva che un albero come quello non poteva esistere, e neppure una scala come quella, che si avvolgeva a chiocciola intorno al tronco per infiniti chilometri, senza mai avere limite.
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