Catturato, si disse Timothy. Rapito da Spike e da quell'orrendo pilota, che lo stavano portando in un posto dove non aveva avuto alcuna intenzione di andare. Provava un po' di timore, ma non molto. Soprattutto, era offeso per il modo.
Si rialzò in piedi, e tenendosi alla ringhiera, guardò fuori. Scorse la parete del canyon illuminata dal sole, le sue rocce rosse.
La famiglia si era dispersa e adesso si era dispersa ancora di più. Si domandò vagamente se fosse mai destinata a ricostituirsi, e temette di no. I suoi familiari venivano spostati in giro come pedine di una scacchiera. Qualcuno o qualcosa si stava servendo di loro.
Gli ritornò in mente Hopkins Acre, e ripensò a quanto gli piaceva quel luogo: l'antico edificio nobiliare, il suo studio con le pareti tappezzate di libri, la scrivania coperta dai suoi scritti, l'ampio prato, gli alberi, il ruscello. Era stata una vita piacevole, e laggiù lui aveva svolto il suo lavoro; ma, ripensandoci, si domandò quale fosse il suo lavoro. A quell'epoca gli era parso importante, ma lo era stato davvero? Tutto sommato, che risultati aveva ottenuto?
Il canyon era scomparso dietro l'orizzonte, e adesso volavano a bassa quota sopra l'interminabile deserto dell'altopiano. Sotto lo sguardo di Timothy, comunque, parte del colore marrone scomparve gradualmente, e ricomparve il colore giallo della prateria, inframmezzato da ruscelli e boschi. L'aridità del deserto si era allontanata alle loro spalle.
Davanti al velivolo s'innalzavano le montagne, molto più alte di quanto gli erano parse in precedenza: picchi che trafiggevano il cielo, facce di roccia nuda che fissavano la pianura. Per un attimo ebbe l'impressione che l'apparecchio andasse a schiantarsi contro la parete della montagna, ma all'ultimo momento si aprì davanti a loro uno spazio, con alte pareti di roccia ai lati. Per qualche istante l'aereo volò tra pareti rocciose; poi la roccia si aprì bruscamente e lasciò il posto a una valle verde e ampia, chiusa tra gli alti monti. Nel fondo della valle correva un'alta catena rocciosa, e sui fianchi di questa catena, a metà altezza, sorgeva una parete bianca che sembrava fatta di madreperla. In cima c'era un gruppo di palazzi bianchi e altissimi, oltre ad alberi e ad altri edifici che sembravano abitazioni. Alcuni avevano la forma di capannoni, altri sembravano bungalow, altri ancora semplici baracche, e infine ce n'erano molti che non assomigliavano ad alcun edificio a lui noto.
L'aereo volò sulla catena interna e raggiunse la sua parte più alta: qui si diresse verso un prato verde, accanto al quale sorgeva una casa. Toccò terra, e la calotta trasparente si sollevò. Il pilota disse qualcosa, e Spike scese a terra. Un po' confuso, Timothy lo seguì e si fermò a poca distanza dall'apparecchio. Poi osservò la casa… e rimase senza fiato per la sorpresa. A parte poche differenze, era la casa di Hopkins Acre.
Una creatura deambulante che aveva corpo sottile, gambe arcuate, braccia ciondolanti, era intanto uscita dalla casa e si dirigeva verso di loro. Si fermò davanti a Timothy e gli disse nella sua lingua: — Sono il vostro interprete e accompagnatore, e spero di essere in futuro anche vostro amico. Potete chiamarmi Hugo; naturalmente, non è il mio nome, ma credo possiate pronunciarlo senza difficoltà.
Timothy trangugiò a vuoto. Quando fu nuovamente in grado di parlare, domandò: — Potete spiegarmi cosa succede?
— Tutto a tempo debito — disse Hugo. E aggiunse. — Prima, permettetemi di accompagnarvi alla vostra abitazione. È stato preparato un pasto per voi.
Si avviò verso la casa, seguito da Timothy e da Spike che correva qui e là al loro fianco. Alle loro spalle, il velivolo si alzò nuovamente in volo.
C'era qualche piccola differenza, ma l'edificio sembrava sotto tutti gli aspetti una buona copia di Hopkins Acre. L'erba era tagliata, gli alberi erano al posto giusto, il profilo del terreno era molto simile. C'era una sola differenza: dovunque si posassero gli occhi si scorgeva una parete di montagne, mentre a Hopkins Acre la montagna più vicina distava centinaia di chilometri.
Giunti alla casa salirono gli scalini di pietra fino alla porta massiccia. Spike li aveva lasciati e ruzzolava allegramente sul prato.
Hugo aprì una delle porte e lo fece entrare. C'erano senza dubbio delle differenze, ma occorreva un po' di tempo per notarle. Davanti a lui c'era il soggiorno, ancora buio, con sagome scure che erano mobili, e subito dopo la sala da pranzo con la tavola apparecchiata.
— C'è un arrosto di abbacchio — disse Hugo. — A quanto sappiamo è uno dei vostri piatti favoriti. Non ce n'è molto, ma siamo soltanto in due a mangiare.
— Abbacchio… qui!
— Quando facciamo una cosa quaggiù — disse Hugo — la facciamo nel modo migliore possibile. Abbiamo un grande rispetto per le varie culture che risiedono in questa comunità.
Timothy entrò in camera da pranzo. La tavola era apparecchiata per due, e dalla cucina giungeva rumore di stoviglie.
— Naturalmente — disse Hugo — non troverete i fucili di Horace nella stanza delle armi, anche se la stanza delle armi c'è. C'è anche il vostro studio, ma, ahimè, è vuoto. Non abbiamo potuto duplicare i vostri libri e i vostri appunti, e la cosa ci spiace, ma c'erano delle limitazioni che non siamo riusciti a superare. Sono certo comunque che potremo fornirvi del materiale adatto a sostituire i vostri libri.
— Ma… aspettate un attimo — disse Timothy. — Come potete sapere di Horace e dei fucili, del mio studio e dei miei libri, e dell'abbacchio? Come lo sapete?
— Riflettete un attimo — gli disse Hugo — e poi cercate di indovinare…
— Spike! Per tutti questi anni ci siamo allevati la serpe in seno!
— Non una serpe. Un osservatore molto diligente. Se non fosse stato per lui, non sareste qui.
— E gli altri, Horace ed Emma? Voi mi avete rapito. Non potete andare a prendere anche gli altri?
— Penso che la cosa si potrebbe fare. Ma per ora non è nei nostri programmi. La persona che ci interessa siete voi.
— Io? Perché vi servo proprio io?
— Lo saprete a tempo debito. Comunque, vi assicuro che non correte alcun pericolo.
— Anche gli altri due sono umani. Se vi occorrono umani…
— Non solo umani. Un certo tipo di umani. Riflettete bene e ditemi la verità. Vi piace Horace? Ammirate il suo modo di pensare?
— Be' no. Ma Emma…
— Non sarebbe felice senza Horace. È diventata molto simile a lui.
Era vero, fu costretto ad ammettere Timothy. Emma amava Horace, ed era arrivata a pensarla come lui. Ma, anche così, non era giusto lasciare quei due nell'arido deserto mentre, a quanto pareva, lui era destinato a vivere laggiù.
— Vi prego, accomodatevi — gli disse Hugo. — Il vostro posto è a capotavola, poiché siete il signore della tenuta, e da signore dovete condurvi. Io siederò alla vostra destra, poiché sono il vostro braccio destro. Forse vi sarete accorto che sono un umanoide; il mio sistema organico funziona pressappoco come il vostro e anch'io ingerisco il cibo, pur se ammetto di avere incontrato qualche difficoltà ad abituarmi al vostro tipo di cibo. Ma ora sono giunto ad apprezzare molti dei vostri piatti. L'abbacchio è il mio preferito.
— Ma noi mangiamo anche altre cose — disse Timothy, un po' seccato.
— Oh, lo so. Spike, vi devo dire, non ha trascurato nessun particolare. Ma ora sedete; avvertirò in cucina che siamo arrivati e che abbiamo fame.
Timothy si sedette a capotavola. Notò che la tovaglia era pulita, bianca come la neve, e che i tovaglioli erano piegati nella maniera giusta. Chissà perché, la cosa lo tranquillizzò. Hugo suonò il campanello e si sedette alla destra di Timothy. — Qui — disse — abbiamo del porto eccellente. Volete assaggiarlo?
Timothy annuì. Tre altri umanoidi, copie quasi esatte di Hugo, uscirono dalla cucina. Uno di loro portava il piatto con l'arrosto. Vide che parte della carne era stata tagliata a fette, e quella, pensò con soddisfazione, era una dimenticanza di Spike. Arrosti e volatili non si devono tagliare a fette in cucina; il taglio della carne è un rito da consumare sulla tavola. Un altro umanoide portò una zuppiera di minestra e la servì, versandola nei piatti fondi. Il terzo posò sulla tavola un grande piatto di verdura cotta.
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