Clifford Simak - La strada dell'eternità

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La strada dell'eternità: краткое содержание, описание и аннотация

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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— Probabilmente si sarà fermato per qualche suo motivo — disse Corcoran. — Domattina sarà qui, e tutto ritornerà a posto.

Piegò la giacca per usarla come cuscino e si coprì la faccia con la coperta. Qualche istante più tardi, dormiva.

Quando si svegliò, era steso sulla schiena. In alto, il cielo era rischiarato dalla prima luce dell'alba, e David non l'aveva chiamato alla fine del suo turno di guardia.

Accidenti a lui, pensò Corcoran. Non doveva comportarsi n modo così infantile. Non doveva dimostrare a nessuno di riuscire a fare la guardia per tutta la notte, o di essere migliore degli altri.

— David! — gridò. — Maledizione, cosa volete combinare?

Sulla collinetta, gli uccelli cantavano per annunciare l'alba, salutando la prima luce che rischiarava la parte orientale del cielo. A parte quel canto, non c'era alcun suono, e il tremolio delle ultime fiamme del falò era l'unico movimento visibile. Sul pianoro, le ossa bianche del bisonte erano rischiarate dalla luce dell'aurora; poco più a destra si scorgevano i rottami del mostro assassino.

Corcoran scostò la coperta e si alzò in piedi. Si diresse verso il fuoco, prese un pezzo di legno per riunire le braci e si inginocchiò accanto a esse. Fu in quel momento che udì un suono che lo fece rabbrividire per il terrore. Una sorta di risucchio che non aveva mai udito in precedenza e che non avrebbe saputo definire, ma che conteneva una minaccia. Il suono si ripeté, e questa volta Corcoran riuscì a girare la testa per vederne l'origine.

Per un momento, l'unica cosa che riuscì a vedere fu una macchia chiara, curva sopra una macchia scura distesa sul terreno. Cercò di vedere meglio, ma non riuscì a scorgere altro finché la macchia pallida non sollevò la testa e non lo fissò. Allora la riconobbe: muso felino e piatto, orecchi sormontati da ciuffi di peli, luccichio di zanne lunghe come il palmo di un uomo. Era una tigre dai denti a sciabola, curva sulla preda, intenta a divorarla con quel terribile risucchio che indicava quanto giudicasse gustoso il pasto.

E Corcoran conosceva la preda di quella tigre. Laggiù sotto le zanne e gli artigli della belva, c'era David!

Stringendo in mano un bastone raccolto in mezzo al mucchio di legna da ardere, Corcoran si alzò lentamente in piedi. Impugnò meglio la sua arma. Era un'arma ridicola, ma non aveva altro. Anche la tigre si sollevò sulle zampe. Era molto più grossa di quanto gli fosse sembrato. Era spaventosa. Posò la zampa sulla macchia scura che era David e fece qualche passo in avanti. Poi si fermò e ringhiò, e le lunghe zanne scintillarono nella luce fioca. Le zampe anteriori del felino erano più lunghe di quelle posteriori: l'animale aveva la schiena inclinata e sembrava seduto anche quando era ritto. Ormai la luce era sufficiente, e Corcoran riuscì a scorgere la sua pelliccia maculata: cerchietti color marrone scuro sullo sfondo del mantello fulvo.

Corcoran non si mosse. Dopo i primi passi anche la tigre rimase ferma. Poi, lentamente, come se non fosse ancora sicura delle proprie azioni, la bestia girò su se stessa. Ritornò alla sua preda, abbassò la testa, afferrò con i denti la macchia scura distesa sul terreno e mosse un poco la mandibola per afferrarla più saldamente. I denti affondarono nella preda, la testa del felino si sollevò: poi la tigre si allontanò lentamente dall'uomo accanto al fuoco, portando la sua preda con sé.

Corcoran dovette limitarsi ad assistere, senza riuscire a muovere neppure un muscolo. La tigre si allontanò trotterellando. Teneva la testa sollevata, per evitare che la sua preda toccasse il terreno. Ma una delle gambe scivolò a terra, e per due o tre volte la tigre inciampò. Poi arrivò alla base della collinetta, sparì dietro una parete di roccia… e non ricomparve più.

Soltanto dopo avere visto allontanarsi la tigre, Corcoran riuscì finalmente a muoversi. Si inginocchiò accanto al fuoco e lo alimentò con altri pezzi di legno. Presto le fiamme si alzarono di nuovo. Si guardò attorno, e vide che il viaggiatore era sempre al suo posto. A una decina di metri dal fuoco c'era anche il fucile. Non lo aveva notato fino a quel momento, sia perché era buio, sia perché aveva avuto occhi soltanto per la tigre. Ma non si alzò per andare a prenderlo. Era ancora paralizzato dalla paura.

Lentamente, cominciò a capire l'assurdità di quanto era successo. Ucciso da una tigre! Ucciso e divorato da una tigre! Ucciso né per rabbia né per difesa, e neppure in un accesso di furia omicida, ma ucciso per il suo valore alimentare.

David era morto. David… e poi? Con sorpresa, Corcoran ricordò solo in quel momento che non conosceva il cognome di David. A Hopkins Acre, nessuno aveva mai pensato di dirlo, e lui non lo aveva mai chiesto. Li elencò mentalmente: David, Enid, Timothy, Emma e Horace. Anche se l'elenco non era esatto: il cognome di Horace era diverso.

Invece di chiamarlo, David l'aveva lasciato dormire. Se mi avesse chiamato, pensò Corcoran, la tigre avrebbe ucciso me al posto suo.

Cercò di immaginare l'accaduto. Forse David aveva udito un rumore, proveniente dall'oscurità al di là del cerchio rischiarato dal fuoco, ed era andato a vedere. Forse era stato preso di sorpresa, e forse aveva visto la tigre. Comunque, non aveva sparato.

Se ci fossi stato io, pensò Corcoran, avrei sparato. Se avessi visto una tigre avrei usato il fucile. Forse una doppietta a pallini non era l'arma più adatta contro una tigre, ma a bruciapelo, anche se non l'avesse ucciso, una scarica della doppietta avrebbe messo in fuga anche un animale così grosso. David non aveva usato il fucile forse perché non era abituato a usarlo, forse perché era troppo civile per farlo, anche se ne avesse avuto la possibilità. Per lui il fucile non era un'arma: era un bastone da passeggio.

Povero sciocco, si disse Corcoran. Che sfortuna.

Andò a prendere il fucile. In canna c'erano due cartucce. David non aveva sparato. Se lo infilò sotto il braccio e seguì le tracce della tigre. Sul terreno c'era uno stivale, e nello stivale c'era un piede. Le ossa erano spezzate, maciullate dai denti di un animale da preda. Poco più avanti incontrò una giacca lacerata. Là vicino c'erano alcune cartucce, e Corcoran le raccolse e se le infilò in tasca. Di David non restava altro. Ritornò dove c'era lo stivale e rimase per lungo tempo a fissarlo. Non si chinò a raccoglierlo. Si giustificò dicendosi che non voleva sporcarsi.

Ritornò accanto al fuoco e si sedette in terra. Doveva mangiare qualcosa, pensò, ma in quel momento non aveva voglia di cibo. In bocca si sentiva un sapore amaro.

Che cosa doveva fare, a quel punto?

Era sicuro di riuscire a manovrare il viaggiatore. Sapeva dove si trovava il libro di bordo di David. E aveva osservato David mentre programmava il pannello di controllo per il balzo nel tempo.

Ma dove andare? Ritornare nel suo ventesimo secolo, lavandosi le mani dell'intera faccenda? L'idea aveva i suoi lati positivi, ma lo attirava poco. A tornare nel suo secolo si sentiva un disertore. Boone era in qualche punto di quel folle segmento di tempo, e prima di andarsene Corcoran voleva aiutare l'amico.

Pensò alla tigre e alla solitudine di quel luogo abbandonato, e il pensiero gli piacque poco. Ma lui doveva rimanere laggiù, nel caso di un ritorno di Boone, e forse anche di Henry, anche se questi non aveva bisogno di un viaggiatore per muoversi nel tempo e nello spazio.

Pensò alla tigre, e giunse alla conclusione che non costituiva un grave problema. Forse la tigre non sarebbe ritornata, e se anche l'avesse fatto, lui era una persona armata e decisa a usare la sua arma. Con il fucile, si disse, lui non era vulnerabile come David. Di notte poteva dormire nel viaggiatore, chiudendo il portello per proteggersi dai carnivori. Aveva cibo per qualche tempo, e poteva prendere acqua alla pozza. Poteva fermarsi laggiù per tutto il tempo necessario.

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