Venne riaperta all’istante. Davanti a me c’era Marion, che sorrideva eccitata. Fece un passo avanti, e io schizzai via, scostando freneticamente gli abiti appesi. — Marion, per amor del cielo! È assurdo!
— Però divertente! Divertiamoci nell’armadio, Nick! Urrà!
Adesso ero nella zona di Jan del lungo armadio. Avanzavo alla cieca, scaraventando indietro sull’asticella chili di vestiti. Marion, che mi inseguiva, se li gettava alle spalle quasi con la mia stessa velocità. Era come se stessimo nuotando in un mare di abiti. — Nickie — strillò lei felice, con voce smorzata — non è eccitante?
In un modo piuttosto inquietante, lo era. Se solo lei mi avesse toccato con un dito, sapevo già cosa sarebbe accaduto, lì e subito. Usando entrambe le braccia in uno stile di nuoto non troppo ortodosso, mentre correvo verso l’estremità opposta dell’armadio, cominciai a scaraventare indietro quantità ancora maggiori di vestiti.
Mi fermai di colpo e restai immobile: davanti a me era apparsa una luce improvvisa. L’anta sul fondo dell’armadio si era aperta nel silenzio più totale. Mi misi in ascolto, ma non sentii niente. Stavo cercando di respirare nel modo più calmo possibile. Il silenzio continuò. Capii che lei era di fronte all’armadio, chissà dove, giuliva, ad aspettare che io decidessi per una direzione o per l’altra. Mi trovavo fra le due ante aperte, in una minuscola terra di nessuno sgombra d’abiti, a mezza strada fra la mia parte dell’armadio, che avevo di fronte, e la parte di Jan alle mie spalle. Mi protesi in silenzio. Le mie dita sfiorarono del nylon, e riconobbi la mia giacca da sci. Con molta lentezza, tastai sotto la giacca, toccai un materiale ancora più morbido, e lo strinsi nella mano.
Poi la sentii. Ci fu un tintinnio improvviso di appendiabiti: stava avanzando verso me dalla parte di Jan. Probabilmente sperava di catturarmi mentre procedevo in quella direzione. Sotto le mie camicie, vestiti e calzoni appesi c’era uno spazio vuoto alto un metro. Mi accoccolai sui talloni, poi corsi avanti a testa bassa, e nel silenzio più totale rientrai in camera da letto piegato in due a mo’ di oca. In una mano avevo i miei calzoni da sci azzurro cielo. Mi alzai, mi misi in equilibrio su un piede, e infilai sull’altra gamba i calzoni. Ma ero stato troppo precipitoso: persi l’equilibrio, e fui costretto a mettermi a saltellare. I tonfi del mio piede sul pavimento risuonarono forti come martellate.
La sentii cambiare immediatamente direzione nell’armadio, e poi lei apparve dall’anta sul fondo, dalla parte di Jan. Restò a guardarmi. Sollevò lentamente entrambe le mani all’altezza delle spalle, curvò le dita ad artiglio, e distorse il viso in una parodia cretina di lussuria. Le sue spalle chine in avanti tremavano in una risata muta. A passi lenti, si avviò verso me.
Quando ti inseguono, ti lasci prendere da una specie di panico illogico. Senza riflettere, mi buttai sul pavimento della stanza a quattro zampe, mi diedi una spinta robusta premendo i piedi contro l’armadio, e scivolando sul pavimento mi infilai sotto il letto.
Rotolando freneticamente sullo stomaco, mi girai verso la stanza; poi rimasi lì, sotto il letto, a guardare i suoi piedi nudi, l’orlo della camicia da notte. Marion si aggirava nella camera, boccheggiando per le continue crisi di riso. Avevo una gamba infilata nei calzoni da sci, e cercai di infilare anche l’altra nello spazio di pochi centimetri sotto il letto, ma non riuscivo a trovare l’apertura, non potevo muovermi o vedere alle mie spalle; sudavo come un maiale. Poi il mio piede trovò l’apertura dei calzoni, e, furibondo, infilai l’altra gamba con tutta la forza che avevo.
Lei era china a scrutarmi, coi capelli che quasi toccavano il pavimento. I suoi occhi capovolti, e molto eccitati, erano puntati nei miei. Per un momento, entrambi immobili, ci fissammo. Poi, sotto il suo viso rovesciato, apparve una mano. L’indice piegato a uncino mi invitò lascivamente a uscire, e io mi misi a bestemmiare.
Marion si rialzò. Il letto cominciò a muoversi sulle rotelle, per mettermi a nudo. Io reagii prima di riflettere. Come un soldato che strisci sotto il fuoco nemico, avanzai su gomiti e ginocchia per tenere il passo col letto. Poi, finalmente, il mio cervello riprese a funzionare. Avevo sbattuto la testa contro le molle del letto; mi ero fatto male ai gomiti cadendo sul pavimento; ero accaldato, impolverato, rabbioso; in quel momento, ero in grado di resistere a qualunque donna. Smisi di muovermi e lasciai che il letto si spostasse sino a espormi.
Con una certa difficoltà, mi tirai su aggrappandomi alla testata del letto, che adesso era al centro della stanza, e mi eressi in tutta la mia statura. Somigliavo un po’ a un tritone, immagino, con le gambe incollate l’una all’altra; perché, scopersi, le avevo infilate tutte e due nella stessa gamba dei calzoni da sci. Marion non riusciva a parlare. A braccio teso, puntava l’indice sulle mie gambe fasciate dalla stoffa elastica che sembravano un’unica gamba, enorme e stranamente contorta, con due piedi che spuntavano da un solo risvolto teso fino all’incredibile. Lei era scossa dalle risate, aveva gli occhi sgranati di deliziato stupore. Che io sia dannato se mi metto a saltare , dissi, e restai lì, attaccato alla testata del letto; poi fui costretto a sorridere a mia volta. Marion crollò sul letto, scossa da risate frenetiche, ululando, e io la guardai, e per un po’ continuai a sorridere, poi scoppiai a ridere con lei.
Marion si calmò. Sdraiata sul letto, con le lacrime che le scendevano sulle guance, boccheggiava in cerca d’aria, scuoteva la testa per l’incredulità. Io la guardai, e lottai con me stesso. Lottai con foga maggiore. Lottai furiosamente. E persi. Non potevo camminare, così avanzai balzelloni, piroettai nell’aria, in una nube di stoffa bianca e azzurro cielo. Atterrai al suo fianco, e la abbrancai al primo tentativo.
Quando, più tardi, mi rizzai a sedere, lo feci molto lentamente. Afferrai la coperta, la tirai su, me la avvolsi attorno alle spalle, con un angolo che mi copriva la testa, e restai seduto sul letto, le braccia strette attorno alle ginocchia. — Oh, porca miseria — dissi. — Porcaccia, porcaccia, porcaccia miseria.
— A volte mi fai uscire dai gangheri. — Marion sprimacciò un cuscino, poi si coricò, si coprì col lenzuolo. — Però, che pigiama party! E tu lo sai bene! — Sorrise. — Com’è bello essere tornata! Amare ancora !
— Allora vai a possedere qualcun altro , per la miseria!
— Non posso entrare in una persona qualunque! Questa è casa mia, il mio posto, quindi devo possedere Jean, Jane, June, come diavolo si chiama. Non penserai che mi piaccia ? — Fece scendere su un occhio una ciocca di capelli. — Guarda questi capelli stitici. Che colore schifoso. — Lasciò cadere la ciocca. — E sopracciglia folte! Braccia scheletriche! — Una gamba spuntò da sotto il lenzuolo, si alzò in aria, molto aggraziata. — Le gambe non sono male, devo dire. Anche se le mie erano meglio. — Con un sorriso ironico, restò in quella posa finché io non distolsi lo sguardo; poi abbassò la gamba nella mia direzione, con le dita dei piedi tese in avanti per sottolineare l’armonia delle curve.
— Piantala.
Marion riportò la gamba sotto il lenzuolo e cominciò a emettere suoni schioccanti. — L’interno della sua bocca è strano. Non è abbastanza grande, o qualcosa del genere. Però per baciarsi va bene, eh, Nickie? — All’improvviso, tese le braccia, inarcò il corpo sotto il lenzuolo sino a farlo appoggiare soltanto su spalle e talloni. — Oh, è meraviglioso, Nick! Tutto è meraviglioso! È meraviglioso semplicemente potersi stiracchiare ! Me n’ero dimenticata! — Si rimise sdraiata, e vide il vassoio sul pavimento, dalla sua parte. — Ehi! È un sacco di tempo che non bevo champagne! — Si sporse dal letto, riempì due bicchieri, si girò e me ne passò uno. Io sorseggiai il mio di pessimo umore. Lei assaggiò, poi mandò giù d’un fiato. — Ragazzi! Se è buono! Dove la trovi roba del genere?
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