«Sarò senz’altro lieto di farle questo favore, signor Thomas» rispose Winters, recitando la parte alla perfezione. «Tanto più» — qualche piccola pacca alla ragazza — «che lei, la festa, se la merita proprio, dopo tutto il lavoro che ha fatto.» Una pausa, quindi: «Ma avrei un paio di domande, prima. Ci sarà sicuramente champagne, e la festa durerà probabilmente fino a tardissimo. Tiffani, ha un’ora di coprifuoco? E a proposito dello…».
«Faccia a suo giudizio, comandante» tagliò corto il signor Thomas. «Mae e io ci fidiamo ciecamente di lei.» Strettagli la mano con un «Grazie mille, allora» aggiunse, mentre si girava per avviarsi: «Ah, dimenticavo: è stato formidabile — anche se mi ha un po’ preoccupato, sa? — quando si è messo a pomiciare con mia figlia. Certo che la checca che ha scritto ’sto dramma doveva essere un tipo strambo mica male…».
La matrigna di Tiffani farfugliò un grazie tra una masticata e l’altra della sua gomma, e Tiffani disse «Arrivederci a domani» mentre se ne andava coi genitori. Winters infilò la mano in tasca alla ricerca di un’altra sigaretta.
Quando arrivò a casa verso le undici, Betty e Hap dormivano entrambi, come lui si aspettava. Superata con un passo leggero la porta del figlio, si fermò davanti a quella di Betty. Nella sua fondamentale delicatezza, pesò per qualche secondo il sonno della moglie contro la propria necessità di chiarimento, e decise di entrare a svegliarla. Quando sedette, al buio, sulle sponde del letto di lei, ebbe la sorpresa di scoprirsi nervoso.
Betty dormiva sulla schiena, col lenzuolo e una leggerissima coperta ordinatamente allineati e tirati fino a cinque centimetri dalle spalle. La scosse piano. «Betty, cara, sono io. Vorrei parlarti.» Lei si agitò nel sonno, e lui tornò a scuoterla. «Sono Vernon» disse piano.
Betty si tirò su a sedere e accese la lampada sul comodino. La luce illuminò un quadretto col volto di Gesù: un volto molto più saggio della trentina d’anni che dimostrava, barbuto, dall’espressione seria, su una testa soffusa di una sorte di alone. «Oh, santo cielo,» disse Betty, accigliandosi e stropicciandosi gli occhi «che c’è? È successo qualcosa?» Già non particolarmente bella di per sé, negli ultimi dieci anni aveva cessato di curare il proprio aspetto, e messo su una decina di chili di troppo.
«No,» rispose lui «avevo solo voglia di parlare. Di sapere perché tu e Hap ve ne siete andati subito dopo l’intervallo.»
Betty lo guardò dritto negli occhi, da donna senza malizia, anzi senza capacità di cogliere le sfumature. La vita, per lei, era semplice e chiara: se si credeva sinceramente in Dio e in Gesù Cristo, non si avevano dubbi. Su niente. «Sai, Vernon,» cominciò «mi sono spesso chiesta perché scegli di recitare in drammi tanto inconsueti. Ma non me ne sono mai lamentata, anche perché sembrano l’unica cosa che sappia emozionarti in senso positivo dopo la Libia e quel terribile incidente sulla spiaggia.»
Si accigliò, e per un istante sembrò come rannuvolarsi. Poi continuò nel suo solito tono prosaico: «Soltanto, Hap non è più un bambino, ma sta diventando un giovanotto: e ascoltare suo padre, pur se in teatro, tacciare Dio di “vecchio petulante” e “delinquente senile” non contribuisce certo a rafforzare la sua fede». Poi, stornando lo sguardo: «Secondo, e altrettanto grave motivo di turbamento per lui, ho trovato che fosse il vederti palpeggiare quella ragazzina. Insomma,» concluse, tornando a fissarlo «ho ritenuto che il dramma non avesse valori, morale, o altro, che giustificassero una nostra ulteriore presenza in sala».
Winters sentì montare la collera, ma, come sempre, lottò per dominarla. Come invidiava a Betty la fede incrollabile, la capacità di vedere chiaramente Dio in ogni attività quotidiana! Lui, invece, si sentiva disgiunto dal Dio dell’infanzia, né le sue infruttuose ricerche personali erano fino a quel punto approdate a una più chiara percezione di Lui. Un paio di cose sapeva per certo: che il suo Dio avrebbe riso coi personaggi di Tennessee Williams e avuto compassione di loro. E che i bombardamenti di bambini non gli avrebbero fatto piacere.
Anziché discutere con Betty, le diede un bacio fraterno sulla guancia e lei spense la luce. Per un momento, si chiese: Quand’è stata l’ultima volta: tre settimane fa? No, non riusciva a ricordare né la data, né se fosse stato piacevole o meno. Loro “folleggiavano”, come diceva Betty, quando lei, rendendosi conto del bisogno di lui, vinceva la sua generale mancanza d’interesse. Il che è probabilmente più o meno normale, per coppie della nostra età , pensò lui, come a difendersi, nello spogliarsi in camera sua.
Ma il sonno non voleva venire. Mentre giaceva quieto nel buio sotto il lenzuolo, continuava ad avvertire quel senso di eccitazione intensa che l’aveva preso, prima durante la recita, poi, di nuovo, nel vicolo.
Un’eccitazione accompagnata da immagini. Chiudendo gli occhi, rivide le morbide, civettuole labbra di Tiffani soffiare l’ultimo fumo rimasto nei polmoni. E la sua bocca conservava il sapore dei baci appassionati di lei impostigli durante la scena in camera da letto. E l’occhiata particolare del padre quando gli aveva chiesto di badare a lei alla festa, se l’era solo immaginata?
Cambiò più volte di posizione, nel tentativo di scacciare le immagini dalla mente insieme col nervosismo che lo teneva sveglio, ma invano. Alla fine, mentre giaceva sulla schiena, si rese conto che, volendo, un modo per sciogliere quel genere di tensione c’era. Lì per lì provò un senso di colpa, anzi d’imbarazzo, ma le immagini di Tiffani non gli davano requia.
Si toccò. Le immagini della giornata si acuirono e cominciarono a espandersi in fantasie. Lei gli stava sopra nel letto, proprio come nel dramma, e lui rispondeva ai suoi baci. Per un breve secondo, ebbe paura e si frenò. Ma un disperato empito di desiderio travolse la sua ultima inibizione, e tornò adolescente, solo con la sua fertile fantasia.
La scena cambiò. Ora giaceva nudo su un letto enorme, in una lussuosa stanza dall’alto soffitto. Tiffani usciva dal bagno illuminato, nuda anch’essa, i lunghi capelli ramati sciolti sulle spalle e sopra i capezzoli. Tirava languidamente un’ultima boccata e posava la sigaretta nel portacenere accanto al letto, gli occhi fissi nei suoi, mentre lentamente, quasi amorosamente espelleva dalla bocca l’ultimo fumo. Poi saliva sul letto accanto a lui, facendogli sentire la morbidezza della propria pelle e sollecitandogli collo e torace coi lunghi capelli.
Ora lei lo baciava dolcemente ma con passione, tenendogli le mani dietro la nuca e giocando seducente con la lingua fra le sue labbra. Poi gli scivolava in posizione accanto e gli premeva il bacino contro il suo. Lui si sentì erigere. Lei gli prese in mano il pene e premette leggermente, facendolo ergere del tutto. Dopo aver premuto di nuovo, sollevò con grazia il corpo e lo infilò profondamente in sé. Lui sentì un magico calore umido ed esplose quasi subito.
La potenza e l’intensità di tale fantasia lo sconvolsero. Una voce, dentro di lui, gli gridò di stare attento, minacciando tremende conseguenze se avesse consentito alla sua fantasia di divenire troppo reale. Ma, mentre giaceva svuotato e solo nella sua casa suburbana, spinse da parte senso di colpa e paure e si concesse il piacere senz’uguali del sonno post-orgasmico.
Lo Sloppy Joe era un’istituzione, a Key West. Il bar prediletto di Hemingway e della sua variopinta compagnia aveva saputo adattarsi in fretta alla sfaccettata evoluzione della città di cui era divenuto il simbolo. Molti abitanti della città vecchia avevano quasi avuto un colpo, quando il bar aveva rinunciato alla storica sede centrale per trasferirsi nel vasto complesso commerciale intorno al nuovo porto turistico. Anch’essi, però, dopo la riapertura del locale in un grande salone ben ventilato e munito di pedana d’orchestra e di ottima acustica, erano stati loro malgrado costretti ad ammettere che le lampade di Tiffany, i lunghi banconi in legno del bar, gli specchi stretti dal pavimento al soffitto e i memorabilia di cent’anni di Key West erano stati disposti con gusto, e in maniera tale da conservare lo spirito del bar di una volta.
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