Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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Winters la osservò affascinato aspirare il fumo nei polmoni. Ne studiò la bocca, il biancore del collo, il torace sollevato in quel suo accarezzare il fumo, e, con la medesima rapita attenzione, il riabbassarsi del diaframma e il fuoriuscire del fumo dalle labbra a boccuccia.

Rimasero là a fumare in silenzio. Sull’oceano balenò un’altra vampata di lampi, seguita da un altro brontolìo di tuono. Ogni volta che Tiffani portava la sigaretta alle labbra, Winters ne seguiva, ipnotizzato, ogni movimento. Lei inalava a fondo, con decisione, aspirando forte dalla sigaretta per dare al proprio corpo la tanto desiderata nicotina, e lui avvertiva vagamente dentro di sé un caos di pensieri.

È bella: tanto, tanto bella. Giovane e fresca e piena di vita. E quei capelli: oh, potermene avvolgere il collo… Ma non è una bambina: è una giovane donna. Dunque, deve sentire quello che provo, il fascino che esercita su di me… Fuma come me, con concentrazione totale. Accarezzando…

«Amo le notti di temporale» disse Tiffani rompendo il silenzio, mentre un nuovo lampo illuminava, in lontananza, il cielo. Gli venne più vicina, poi inclinò la testa per osservare, oltre un gruppo d’alberi che le ostruiva la vista, la formazione nuvolosa entro la quale saettavano i lampi. Lo sfiorò appena, ma questo bastò a elettrizzarlo.

Si sentì la bocca secca, il corpo soffuso di desiderio — di un desiderio che stentava a riconoscere e che gli impediva di rispondere al suo commento. Rimase così a fissare l’addensarsi del temporale, e tirò l’ultima boccata di sigaretta.

La tirò anche lei dalla sua, che gettò a terra. Poi si volse a guardarlo, e i loro occhi s’incontrarono, mentre dalle labbra di lei uscivano le ultime bave di fumo. Lei gli lanciò un breve, seducente soffio con la bocca, che gli scatenò una vampa di desiderio. Lui si dominò, comunque, e rientrò con lei, senza parlare, in teatro.

L’applauso continuava. Il capitano Winters guidò all’inchino finale le interpreti di Maxine e Hannah, una a ciascun fianco, secondo quanto era stato deciso prima dell’inizio dello spettacolo. L’applauso crebbe d’intensità. Winters fissò di nuovo i posti vuoti, dove avevano seduto, prima dell’intervallo, Betty e Hap. «Charlotte Goodall!» gridò una voce in sala, e lui improvvisò. Ricondotte le due interpreti alla fila schierata degli attori, la risalì fino a Tiffani. Lì per lì, lei non comprese; poi, il viso aperto in un raggiante sorriso, gli diede la mano.

Le mani avvinte, lui la ricondusse al proscenio per quello che doveva essere il suo momento. All’udir montare di nuovo l’applauso, Tiffani si sentì salire le lacrime agli occhi; e, mentre lui si faceva da parte, lei s’inchinò graziosamente al pubblico. Al termine dell’inchino, gli riprese la mano in una stretta deliziosa, e indietreggiò fino a reinserirsi nella fila dei compagni.

Melvin, Marc e Amanda vennero tutti dietro le quinte mentre gli attori si cambiavano e furono complimenti entusiastici per tutti. Melvin sembrava addirittura in estasi: durante le prove aveva nutrito dei dubbi — confessò —, ma ora… ora tutti erano stati bravissimi, e, riguardo alla scena in camera da letto con Tiffani — confidò a Winters, uscendo letteralmente a passo di danza dal camerino —, essa era stata «superba — come meglio non si sarebbe potuto.»

Winters si sentiva sopraffatto da una miriade di emozioni. Da un lato, era contento della sua prova e dell’accoglienza del pubblico, dall’altro oppresso da sentimenti più personali. Cos’era accaduto a Betty e Hap, perché se ne andassero nell’intervallo? Dentro di sé immaginò Betty che assisteva alla sua scena d’amore con Tiffani, e, per un istante, si convinse, con spavento, che lei si fosse accorta, dalla platea, che lui non stava affatto recitando, bensì vivendo nel proprio corpo l’eccitazione sessuale del personaggio.

Quello che era successo con Tiffani, non riusciva proprio a capirlo — né poteva anche solo pensarci, senza avvertire un senso di colpa. Nel reinfilarsi la divisa della Marina, si concesse di tornare a gustare i baci di lei sul letto e, di riprovare le tensione sessuale creatasi fra loro durante la fumata comune nel vicolo. Ma, oltre la consapevolezza della propria eccitazione, si rifiutò di andare. Il senso di colpa aveva un effetto depressivo e, in quella notte di prima riuscita, lui, di sentirsi depresso, non aveva proprio voglia.

Quando uscì dal camerino comune maschile, trovò Tiffani ad aspettarlo. I capelli di nuovo raccolti in treccine, il viso sgombro di trucco, era tornata a sembrare bambina. «Comandante» disse, quasi servile «vorrebbe concedermi un favore?» Al suo sorriso di assenso, lei gli fece segno di seguirla nel corridoio adiacente al retroscena.

Qui, Winters trovò un uomo dai capelli rossi, all’incirca della sua età, che fumava nervoso una sigaretta andando su e giù. L’uomo, che si sentiva chiaramente a disagio e fuori posto, aveva accanto una bruna vistosa sulla trentina, che gli sussurrava qualcosa masticando della gomma. Alla vista di Winters in uniforme, l’uomo si rasserenò visibilmente.

«Lieto di conoscerla, signor comandante» disse a Winters, quando Tiffani lo ebbe presentato come suo padre. «Io non m’intendo molto di questo mestiere dell’attore, ma certe volte mi preoccupo che possa nuocere a mia figlia.» Un ammicco alla moglie, la matrigna di Tiffani, poi, abbassando la voce: «Sa, comandante, con tutta questa fauna di spostati, checche e perdiballe in genere, uno non ci sta mai attento abbastanza. Ma poi Tiff mi ha detto che nel cast c’era un vero ufficiale di Marina, comandante autentico, e io, sulle prime, non ci ho creduto».

Tiffani e la moglie cercavano intanto, con piccoli segni, di far capire al signor Thomas che stava parlando troppo. «Ora, anch’io sono della Marina,» continuò lui, mentre Winters rimaneva in silenzio «e da quasi venticinque anni, ormai. Arruolato da ragazzo, diciott’anni appena. Due anni dopo, conoscevo la madre di Tiff…»

«Papà» lo interruppe Tiffani «mi avevi promesso che non mi avresti messa in imbarazzo. Lui ha altro da fare, probabilmente; perciò, ti prego, fa’ la tua richiesta e basta.»

Lui, Winters, tutto si sarebbe aspettato, meno che di incontrare il padre e la matrigna di Tiffani. A dir il vero, anzi, mai aveva pensato ai genitori di lei, sebbene ora, mentre ascoltava il signor Thomas, la cosa gli sembrasse normale, essendo Tiffani, in fin dei conti, solo una studentessa di scuola superiore. Ma certo , pensò, abita ancora con i genitori. Il signor Thomas aveva assunto un’aria molto seria, che, lì per lì, gli provocò un principio di panico. Ma no, ma no, che vado a pensare: è troppo presto perché lei abbia già detto loro qualcosa , rifletté rapidamente.

«Mia moglie e io giochiamo a bridge» stava dicendo il signor Thomas «in coppia, e partecipiamo a tornei. Ora, proprio questo fine settimana ce n’è uno, regionale, a Miami, sicché partiremo domattina per tornare solo domenica notte.»

Winters ascoltava confuso e disorientato: perché mai avrebbe dovuto interessargli il modo in cui i Thomas passavano il tempo libero? Finalmente, il signor Thomas venne al punto: «Così, abbiamo telefonato alla cugina di Mae a Marathon per chiederle se poteva venire a prendere mia figlia al termine dello spettacolo di domani sera. Ma siccome questo avrebbe costretto Tiff a rinunciare alla festa degli attori, abbiamo pensato, su proposta di mia figlia, che magari potesse accompagnarla a casa lei, dalla festa, e» aggiunse il signor Thomas con un sorriso «tenerla paternamente d’occhio durante la mia assenza».

Winters guardò istintivamente Tiffani. Per pochi millisecondi, le colse negli occhi uno sguardo esperto che lo trafisse come una palla di fuoco; poi lei tornò la bambina che supplica il padre di lasciarla andare a una festa.

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