Carol riattaccò con un sospiro. Era il caso di dedicare un paio di minuti a riflettere sulle prospettive della storia fra Dale e lei? O sulla loro mancanza, magari — a seconda… Pensando a tutte le cose che doveva fare, chiuse il taccuino e si alzò. No, non è il momento. Adesso non ho tempo di pensare a Dale. Appena questa mia vita da matta mi darà una pausa di respiro…
Al suo rientro nella capitaneria, Carol fremeva decisamente di collera. Avvicinatasi al banco informazioni col fuoco negli occhi, aggredì Julianne senza tanti complimenti: «Signorina: un quarto d’ora fa le ho detto che avevo un appuntamento qui, per le quattro, con Nick Williams e Troy Jefferson. Come può constatare, sono le quattro e mezzo passate».
E puntò il dito verso l’orologio digitale, tendendo il braccio con tale imperiosa energia, da obbligare Julianne alla verifica. «E ora che abbiamo stabilito, ciascuna per proprio conto, che il signor Williams non è a casa,» continuò «vuol darmi il numero di telefono del signor Jefferson, o devo fare una scenata?»
Julianne, alla quale Carol era già antipatica di per sé, dinnanzi a questo atteggiamento di superiorità non cedette di un palmo. «Come le ho già detto, signorina Dawson.» rispose in tono cortese, ma con una punta di sarcasmo «il regolamento ci vieta di dare il numero di telefono dei proprietari indipendenti di barche o dei loro equipaggi. È una questione di riservatezza. Ora, se lei avesse preso un nolo attraverso la capitaneria, sarebbe certo nostro compito venirle in aiuto» continuò, assaporando il suo momento di gloria. «Ma siccome, come ho detto prima, a noi non risulta che…»
«Maledizione, questo lo so!» replicò furente Carol, sbattendole davanti sul bancone la busta di fotografie che aveva con sé. «Non sono mica scema! Gliel’ho detto una volta e glielo ripeto: dovevo incontrarli qui alle quattro. Ora, se lei non mi vuole aiutare, esigo di parlare col suo superiore, il vicedirettore o chi per esso.»
«Benissimo» disse Julianne, scoccandole un’occhiata sprezzante. «Se vuole accomodarsi laggiù, vedrò se riesco a rintracciare…»
«Io non voglio accomodarmi in nessun posto, ma vedere il suo superiore e subito!» urlò esasperata Carol. «Adesso prenda quel telefono e…»
«Qualcosa non va? Posso essere d’aiuto?» Carol si girò di scatto, e si vide alle spalle Homer Ashford. Sulla destra, verso la porta che dava sui moli, Greta e un donnone intente a parlare a bassa voce. ( È Ellen: ora ricordo , pensò Carol.) Ellen le sorrise: Greta la passò da parte a parte con lo sguardo.
«Oh, salve, capitano Homer» disse Julianne tutta zuccherosa. «Gentile da parte sua, ma penso che non serva. La signorina Dawson, qui, ha affermato di non accettare la mia spiegazione circa il regolamento del porto, e così aspetterà che…»
«Può servire sì, invece» interruppe Carol in tono di sfida. «Avevo un appuntamento qui, per le quattro, con Nick Williams e Troy Jefferson. Non si sono visti. Non è che lei conosca il numero di telefono di Troy, per caso?»
Il capitano Homer la guardò con aria diffidente e, dopo un’occhiata a Ellen e Greta, rispose: «Be’, rivederla qui è davvero una sorpresa, signorina Dawson. Parlavamo di lei proprio stamane, sa?, e ci auguravamo che il suo giorno di vacanza a Key West fosse stato piacevole». Poi, dopo una pausa effetto: «Ma il rivederla qui il giorno appresso mi induce a chiedermene il perché. Se ho sentito bene, ha bisogno di vedere Williams e Jefferson per una questione di estrema urgenza. Non è che c’entri qualcosa tutto quell’equipaggiamento da lei portato qui ieri? O magari quella borsa grigia che Williams costudisce da ieri sera?»
Ah, hah , pensò Carol, vedendosi venire ai lati Greta ed Ellen. Eccomi circondata. Il capitano Homer fece per prendere la busta sigillata sul bancone di Julianne, ma lei lo fermò.
«Se non le spiace, capitano Ashford,» disse decisa, togliendogli la mano dalla busta delle foto e infilandosela sotto il braccio «gradirei parlarle in privato.» Concluse, abbassando la voce. Poi, dopo un cenno del capo alle due donne: «Possiamo andare nel parcheggio e scambiare quattro chiacchiere?».
Homer la fissò un istante coi suoi occhietti bramosi, poi, aprendosi nel medesimo ghigno ripugnante e lascivo che lei gli aveva visto sull’ Ambrosia , rispose: «Ma certo, mia cara».
E, avvicinandosi con lei alla porta, gridò a Greta e ad Ellen: «Aspettate qui. Questione di un minuto».
Salirono i gradini verso il parcheggio. Giunti in cima, Carol gli si rivolse con aria cospiratoria: «Ho capito che lei ha intuito perché sono qui. Avrei preferito di no, perché pensavo che il servizio sarebbe venuto meglio se tutti fossero rimasti all’oscuro; chiaramente, lei è più furbo di me». Homer sogghignò fatuamente. «Vorrei però chiederle di tenersi la cosa il più possibile per sé. Ne parli pure a sua moglie e a Greta, ma, per favore, a nessun altro. L’ Herald vuole che sia una sorpresa.»
Homer parve sconcertato. Carol si chinò a sussurrargli nell’orecchio: «L’intero, dico: l’ intero inserto domenicale della quarta settimana di aprile; non è incredibile? Titolo provvisorio “Sogni di ricchezza”. Storie di persone come lei, come Mel Fisher, come i quattro floridani che hanno vinto oltre un milione di dollari ciascuno alla lotteria. Dei cambiamenti subiti dalla vita all’arrivo inaspettato e improvviso della ricchezza. Io faccio tutta la serie, cominciando dal ritrovamento di tesori perché è quello di maggior interesse generale».
Il capitano Homer vacillava dall’emozione, e Carol capì che aveva abbassato la guardia. «Ieri ho voluto semplicemente dare una prima occhiata alla sua barca, per vedere come viveva, quali angolature dare alle foto. M’è venuta un po’ di tremarella, a vedermi riconoscere così presto; ma, nella mia lista, al primo posto per l’uscita in barca c’era già Williams.» Poi, ridendo: «La mia attrezzatura cercatesori, che è dell’IOM, l’ha fregato in pieno, e adesso è convinto che io sia una vera cercatrice di tesori. Così, ieri, gli ho fatto l’intervista — tutta, praticamente, salvo che per un paio di cose che intendevo finire, appunto, oggi».
A quel “fregato in pieno”, riferito a Nick Williams, Homer Ashford si sentì squillare dentro un campanello d’allarme. Quella giornalista la raccontava un po’ troppo bene… Certo, la storia era plausibile, ma restava da chiarire un punto, un grosso punto… «E cos’è che Williams si porta dietro in quella sacca?» chiese.
«Oh, ma niente!» rise lei con leggerezza, avvertendo la sua diffidenza. «O quasi, almeno. Ieri pomeriggio abbiamo tirato su un vecchio coso senza valore tanto perché potessi fotografare il recupero per il servizio, e io gli ho detto di andare a farselo stimare. Lui pensa che io sia un tipo stravagante, e si tiene il coso nella borsa perché lo imbarazzerebbe di farsi vedere mentre lo porta in giro» concluse, con una leggera gomitata d’intesa alle costole del capitano.
Questi scosse la testa. Una parte di lui si rendeva conto che quella era una bugia raccontata. Ma reggeva, però, né si capiva dove potesse stare l’inganno… «Così, immagino che, quando avrà finito con gli altri due, vorrà parlare con noi…» disse quindi, aggrottando le sopracciglia.
Nello stesso momento, all’insaputa di Carol, Nick e Troy entravano nel parcheggio, sempre brilli e un po’ storditi. «Ossignore, ossignore» esclamò Troy avvistando Carol e Homer in conversazione. «La vista mi fa brutti scherzi: mi trasmette al cervello un’immagine della Bella e la Bestia ! La signorina Carol Dawson in compagnia del nostro amato Capitan Ciccione… Di che staranno parlando, secondo te?»
«Non lo so,» rispose Nick, adombrandosi di colpo «ma accidenti a me se non me lo faccio dire subito! Se ci sta pigliando per i fondelli facendo il doppiogioco…» Fermò di scatto e fece per saltar fuori, ma Troy allungò un braccio a trattenerlo.
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