A dire il vero, Nick non era ancora pronto per il gioco. Anche dopo che Troy ebbe inserito tre CD, ci furono altri preliminari prima che il gioco potesse cominciare. In risposta a domande che apparvero sullo schermo gigante, Nick dovette battere nome, razza, età e sesso ciò che lo indusse a guardare l’amico con aria interrogativa. «Niente domande a questo punto» fece Troy. «Ti sarà tutto chiaro fra poco.»
Lo schermo si riempì di un bel pianeta ad anelli, che sembrava l’immagine di un Saturno visto da un artista con predilezione per il color porpora. La prospettiva era vista dal polo del pianeta, per cui gli anelli risultavano disposti come i cerchi concentrici di un bersaglio da freccette. Gli anelli emettevano a intermittenza dei piccoli lampeggi, simboleggianti la prossimità del sole, di una stella o di una qualche sorgente luminosa, all’osservatore. L’immagine era davvero bella. Per tre o quattro secondi, mentre nella stanza si diffondeva un dolce sottofondo di musica classica, al pianeta ad anelli si sovrappose il titolo del gioco, in lettere maiuscole: Avventura aliena , di Troy Jefferson. Nick trattenne l’impulso di ridere, quando uno degli altoparlanti diffuse la voce di Troy, chiaramente seria e compresa di sé.
La voce registrata di Troy spiegò le regole iniziali del gioco. Il protagonista dell’avventura si trovava in una stazione spaziale in orbita polare attorno a Gunna, sommo pianeta di un altro sistema solare il cui corpo centrale era la stella di tipo-G da noi chiamata Tau Ceti, distante solo una decina di anni luce dalla Terra. «Tau Ceti ha otto corpi primari nel proprio sistema:» disse la voce di Troy «sei pianeti e due lune.
«Il commissariato della stazione può fornire carte del sistema,» continuò la voce di Troy «ma per alcune zone esistono solo carte approssimative. La tua avventura comincia con te addormentato nella tua cabina a bordo della stazione, sul tuo ricevitore personale suona un allarme…»
La voce svanì per lasciar posto allo squillo d’allarme. L’inquadratura dello schermo gigante rappresentava l’interno di una cabina spaziale, quasi certamente preso da uno dei tanti film fantascientifici di successo. Nell’angolo superiore destro dello schermo, un orologio digitale scattava di una unità ogni quattro secondi circa. Nick rivolse a Troy lo sguardo di chi non sa che fare, e Troy gli suggerì di battere la L. Nel giro di secondi, Nick apprese così di poter usare i tasti direzionali per guardare questo o quell’oggetto della cabina. A ogni battuta di tasto direzionale, l’immagine sullo schermo cambiava in modo da corrispondere al punto d’osservazione. Nick notò un’immagine confusa sul piccolo televisore della cabina, e Troy gli suggerì di stare ad osservarla finché non fosse divenuta netta.
Quando l’immagine del televisore fu finalmente a fuoco, Nick poté vedere una giovane donna vestita di una lunghissima veste rosso-vivo che arrivava fin quasi al pavimento. La donna stava, un po’ incongruamente, in una stanzetta disadorna munita di letto singolo, tavolino e sedia. Da una finestra solitaria, vicina al soffitto e dietro il tavolino, filtrava un po’ di luce. Nel vetro della finestra erano infisse grosse sbarre verticali.
La telecamera zumò sul suo viso. Nick si sporse in avanti sulla sedia. «Ma… ma è Julianne!» fece sbalordito, nell’istante in cui la donna cominciava a parlare.
«Capitano Nick Williams,» disse, con sua grande sorpresa, Julianne «tu e io non ci conosciamo, ma la tua fama di uomo valoroso e giusto non ha eguali nella Federazione. Io sono la principessa Heather di Othen. Andando al gran ballo inaugurale del viceré Toom, sono stata rapita da certi villeni e portata nella loro fortezza del pianeta Accutar. Costoro hanno fatto sapere a mio padre, re Merson, che verrò rilasciata solo se egli cederà loro tutti gli asteroidi ricchi di minerali della regione di Endelva.
«Questo, Nick, mio padre non deve assolutamente farlo,» continuò gravemente la principessa, mentre la telecamera zumava sul suo volto «perché priverebbe il nostro popolo della sua unica sorgente di hanna, che è la chiave della nostra immortalità. Le mie fonti mi dicono che mio padre va già consumandosi sotto il peso del tragico dilemma in cui si trova. Mia sorella Samantha è fuggita da Othen con una divisione-chiave dei nostri migliori soldati e un’enorme scorta di hanna, ma non è chiaro se intenda venire a liberare me o ribellarsi contro la signorìa di mio padre nel caso in cui decida di cedere gli asteroidi di Endelva in cambio della mia vita. Da sempre, infatti, Samantha è una creatura del tutto imprevedibile.
«Ieri, i villeni hanno inviato un ultimatum a mio padre: ha tempo un mese per decidere, dopodiché verrò decapitata. Capitano Williams, ti prego: aiutami. Non voglio morire. Se vieni a salvarmi, dividerò con te il trono di Othen e il segreto della nostra immortalità, e vivremo in eterno come re e regina.»
La trasmissione s’interruppe bruscamente e l’immagine svanì per lasciare di nuovo il posto all’interno della cabina spaziale. Nick resistette all’impulso di applaudire, rimanendo immobile a sedere. Troy era riuscito, chissà come, a fare di Julianne una principessa Heather assai credibile. Ma come avrà fatto a ficcarci il mio nome? , si domandò. Avrebbe voluto porre delle domande, ma lo schermo gigante lampeggiò un avvertimento; il tempo passava e il protagonista dell’avventura non agiva ancora. Nick trovò la X e l’orologio digitale sullo schermo si fermò. «E adesso, cosa faccio?» chiese a Troy.
Con l’aiuto occasionale di questo, si equipaggiò per un viaggio, trovò la strada del porto spaziale, e s’imbarcò su una piccola navetta. Troy lo avvertì che, se non dedicava un po’ di tempo a esaminare le altre attrezzature della stazione spaziale, avrebbe avuto scarse possibilità di sopravvivenza, nello “spazio aperto”; ma lui non se ne diede per inteso e partì in tromba. Il gioco era davvero appassionante. I comandi della tastiera regolavano velocità e direzione, e poiché l’immagine sullo schermo vi corrispondeva perfettamente, lui aveva l’impressione di stare veramente alla guida di un veicolo in volo nello spazio. Nel dirigere verso l’obiettivo, un pianeta di nome Gunna, vide sul monitor molti altri veicoli, nessuno dei quali, però, in avvicinamento al suo. Ma, appena al di qua della sfera d’influenza di Gunna, gli arrivò rapidamente incontro un velivolo dal muso aghiforme, che, senza preavviso, gli sparò addosso una raffica di missili, ai quali lui non poté sottrarsi. Lo schermo si riempì di fuoco: la navetta era esplosa. Il monitor s’annerì, e al suo centro rimase solo la scritta FINE PARTITA.
«Un’altra birra?» chiese Nick, sorpreso di scoprirsi dispiaciuto per la morte del proprio personaggio.
«E come no, capitano!» rispose Troy.
Passarono insieme in cucina. Troy aprì il frigorifero e ne tolse altre due birre, porgendone una a Nick, che continuava a pensare al gioco. «Se ricordo bene,» disse Nick ad alta voce «la pianta della stazione spaziale indicava quattro settori, e io ne ho visitati solamente due. Ti spiacerebbe dirmi cos’erano gli altri due?»
«Mensa e biblioteca» rispose Troy, felice di quel perdurare d’interesse. «La mensa non è troppo importante,» aggiunse ridendo «anche se, non t’ho mai visto andare da qualche parte senza prima aver mangiato… La biblioteca, invece…»
«Non dirmelo» lo interruppe Nick. «Voglio arrivarci da solo! In biblioteca avrei potuto documentarmi sui villeni e gli othenariani, o come accidenti si chiamano, che possono vivere in eterno, e apprendere cosa fosse, precisamente, un viceré di Toom.» Scuotendo la testa, continuò: «Ah… Troy, devo proprio confessare che sono sbalordito. E davvero non riesco a capire come tu abbia fatto a creare una cosa così — della quale, per giunta, immagino che avrò visto finora solo la superficie».
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