In altre circostanze, Nick avrebbe quasi certamente declinato l’invito per rimanere a casa a leggersi Madame Bovary. Ma la mattina era stata così colma di emozioni, che sentiva di aver bisogno di un po’ di spensieratezza. Sorrise fra sé. Troy era un uomo assai divertente, e un pomeriggio di alcol e spassi suonava allettante. Inoltre, in quattro mesi che l’aveva come dipendente, non avevano ancora trovato il tempo di socializzare. Perché era vero che avevano passato molte ore a lavorare insieme sulla barca, però lui, Nick, nel suo appartamento non era ancora mai stato. «D’accordo,» si udì rispondere «accettato. Io porto il cibo e tu metti la birra. Sarò lì fra una mezz’ora circa.»
Troy arrivò a sua volta proprio mentre lui fermava la macchina davanti alla villetta bifamiliare dalle strutture in legno. La villetta sorgeva in uno dei quartieri più vecchi di Key West. Troy doveva essere andato a piedi a un negozio dei paraggi, perché aveva in mano un grosso sacchetto di carta marrone contenente tre confezioni da sei birre ciascuna. «Questo dovrebbe bastarci per il pomeriggio» disse con una strizzatina d’occhio, salutando Nick e guidandolo su per la scala alla propria porta. Su di essa, attaccato col nastro adesivo, c’era un foglio che diceva: PROF — TORNO SUBITO — TROY. Staccatolo, allungò la mano su una piccola mensola sovrastante la porta a cercare la chiave.
Nick non si era mai domandato che aspetto potesse avere l’appartamento di Troy, ma di sicuro non avrebbe immaginato di vedervi un soggiorno del genere. Il soggiorno era ordinato con precisione geometrica, e ammobiliato in uno stile che poteva solo definirsi “del tempo che fu”. La variopinta serie di vecchi divani e poltrone provenienti da garage e soffitte dei dintorni (nessuno in tinta, perché il colore non aveva importanza per Troy, che concepiva mobili e arredi come unità funzionali, non come elementi decorativi) era disposta a rettangolo, con al centro un lungo tavolo da caffè, in legno, sul quale stavano, in bell’ordine, pile di riviste di elettronica e audiovisivi. Dominava il soggiorno un sistema stereo d’avanguardia, con quattro alte casse negli angoli che dirigevano il suono al centro della stanza. Non appena furono entrati, Troy andò al lettore CD in cima al complesso stereo e lo accese. Il soggiorno si riempì di una voce femminile nera meravigliosamente corposa, su uno sfondo di piano e chitarra.
«È il nuovo album di Angie» disse Troy, porgendo a Nick una birra aperta (era andato in cucina e al frigorifero, mentre lui rimaneva a osservare la stanza). «Secondo il suo agente, sarà oro. Love Letters non è andato alle stelle, ma lei, comunque, ci ha fatto più di un quarto di milione — senza contare i soldi del giro di concerti.»
«Ricordo che mi hai detto di conoscerla» disse Nick, bevendo un lungo sorso. Intanto, era andato a fermarsi davanti a una scatola accanto al complesso stereo, nella quale stavano ben ordinati sessanta o settanta dischi. In cima alla pila, sulla copertina di un album aperto, spiccava l’immagine di una bella giovane nera su uno sfondo di luce soffusa. La donna portava un lungo vestito scuro da ricevimento. Memories of Enchanting Nights era il titolo dell’album. «C’è forse qualcosa di più, nella storia della signorina Leatherwood; qualcosa che ancora non mi hai detto?» chiese Nick alzando gli occhi a guardare Troy. «Donna spettacolosa, se vuoi il mio parere.»
Troy lo raggiunse e programmò il lettore per il pezzo 8. «Credevo non me l’avresti chiesto mai» sogghignò espansivamente. «Ma la risposta migliore te la darà probabilmente la canzone.» Nick sedette su una delle inconsuete poltrone e ascoltò una dolce ballata, dal ritmo facile e piacevole, intitolata Let Me Take Care of You, Baby. Raccontava la storia di un amante di talento che sapeva far ridere la cantante a casa o a letto. I due erano compatibili, amici, ma lui non poteva impegnarsi perché non era ancora arrivato. Così, nell’ultima strofa della canzone, la donna lo invitava a inghiottire il suo orgoglio e a lasciar fare a lei.
Nick guardò Troy strabuzzando gli occhi e scuotendo la testa. «Jefferson, sei troppo forte» disse. «Non so mai quando dici la verità e quando spandi stronzate a piene mani!»
Troy si alzò ridendo dal divano. «Ma, professore, è proprio questo il lato interessante!» Poi, prendendogli la lattina vuota, continuò con un sorriso, fissandolo negli occhi: «Per te è difficile credere che il tuo buffo primo ufficiale nero abbia magari qualche dimensione nascosta, eh?».
Giratosi, andò in cucina, e Nick lo udì aprire altre lattine e versare patatine in una ciotola. «Be’, sto sempre aspettando» gli diede la voce. «Me la dài o no questa notizia da prima pagina?»
«Angie e io ci conosciamo da cinque anni» rispose Troy dalla cucina. «Abbiamo cominciato a uscire insieme che lei aveva solo diciannove anni, e non sapeva niente della vita. Una sera che siamo stati qui, poco dopo che ci sono venuto ad abitare, ci siamo messi ad ascoltare un album di Whitney Houston, e Angie ha cominciato a cantare.»
Tornò in soggiorno e posò la ciotola di patatine assortite sul tavolinetto da caffè in legno, sedendosi quindi nella poltrona accanto alla sua. «Il resto, come dicono a Hollywood, è storia.» Agitando le braccia, continuò: «L’ho presentata al proprietario di un locale notturno di qui. Nel giro di un anno, lei aveva un contratto, io un problema. Era la mia donna, ma non potevo tollerare di esserle inferiore finanziariamente». Cosa per lui inconsueta, rimase quindi calmo e silenzioso per qualche secondo. «È proprio una merda quando ai sentimenti per l’unica donna che si sia veramente amata viene a frapporsi l’orgoglio.»
Sorpreso a scoprirsi commosso da questa confessione intima, Nick si sporse dalla poltrona e gli posò leggermente la mano sulla spalla, in segno di comprensione. Troy cambiò subito argomento. «E che mi dici di te, professore? Quanti cuori infranti tieni appesi nell’armadio? Ho visto, sai, il modo con cui ti guardano Julianne e Corinne e anche Greta. Com’è che non ti sei mai sposato?»
Nick rise e tracannò la sua birra. «Cristo, questo dev’essere proprio il mio giorno fortunato. Ma lo sai che sei la seconda persona, oggi, che mi chiede della mia vita amorosa? E la prima è stata una settantenne.»
Un’altra sorsata, e continuò: «A proposito di Greta, mi sono imbattuto in lei proprio stamattina — e non per caso: lei era là ad aspettarmi mentre ero da Amanda. Sapeva che ieri abbiamo trovato qualcosa e voleva parlare di un patto di collaborazione. Tu, ne sai niente?».
«Eccome se lo so» rispose Troy con naturalezza.
«Dev’essere stata incaricata da Homer di spiarci, perché ieri sera, quando ho finito con la barca, lei si è presentata sul molo per farmi cantare. Ti ha visto andartene con la sacca sportiva e deve aver immaginato, o saputo, che avevamo trovato qualcosa. Io, però, non le ho detto nulla, ma neanche ho negato, perché, come ricorderai, Carol e io eravamo stati visti alla capitaneria, con tutto quel fiorfiore di attrezzature, da Ellen.»
«Già, lo so,» disse Nick «né, del resto, mi aspettavo io stesso di poter tenere la faccenda nascosta in eterno. Soltanto, vorrei che potessimo trovare qualche altro pezzo di tesoro, se ne esiste uno, prima che quei ficcanaso comincino a tallonarci…»
Per un po’, continuarono a bere in silenzio. Poi Troy disse, con un sorriso malizioso: «Tu, però, hai schivato la domanda sulle donne. Com’è che uno come te, bello, istruito, apparentemente non omosessuale, non ha una donna fissa?».
Nick rifletté un momento, studiando la faccia amichevole, schietta, di Troy, poi decise di lanciarsi. «Con precisione, non saprei nemmeno io, Troy,» rispose serio «ma penso sia perché forse sono io stesso a respingerle tutte quante. Trovo sempre qualcosa di storto in modo da avere una scusa…» Qui, gli balenò un’idea. «Forse è un modo di mettermi in pari. Tu parlavi di cuori infranti nel mio armadio: ebbene, il più infranto di tutti è il mio. Me l’ha mandato in mille pezzi, quand’ero ragazzo, una donna che, probabilmente, di me non sì ricorda nemmeno più.»
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