Oscar arretrò con gesto teatrale e posò ambo le mani sulla spalla di lei: «In qualche punto di questa spalla c’è il proverbiale truciolo del risentimento… Ne sono certo… C’è sempre… Ah, ecco: trovato!». E, guardandola con aria d’intesa: «Non sta mica bene, sai. Una giornalista di successo come te, e anche celebre, diciamolo, che continua a soffrire di ciò che può descriversi solo come insicurezza terminale! Be’, allora: di che si tratta? Di una bella litigata fra te e il tuo capo, stamane?».
«No» rispose Carol mentre attraversavano la sala verso un altro settore dell’acquario. «Cioè, una specie, direi. Sai lui com’è: accentra sempre tutto su di sé. Io sto lavorando a questo grosso servizio, giù a Key West. Dale viene a prendermi all’aeroporto, mi porta a colazione, e mi sciorina per filo e per segno quello che devo fare per una copertura che regga. Ora, non è che io non ne apprezzi i consigli, che sono quasi sempre validi, o l’aiuto nelle faccende tecniche: è il modo con cui mi parla che non mi va giù. Insomma, mi fa sentire come una stupida o press’a poco.»
Oscar la fissò con sguardo assorto. «Carol, mia cara, lui parla così a tutti, me compreso, ma senza il minimo intento offensivo. È semplicemente convinto della sua assoluta superiorità, anche perché nella sua vita non è mai accaduto nulla che potesse fargli cambiare idea. In fin dei conti è diventato milionario coi suoi brevetti prima ancora della laurea al MIT.»
«Ma tutto questo lo so, lo so Oscar» disse Carol, spazientita e delusa. «E tu continui a proteggerlo. Dale e io siamo amanti da quasi un anno. Be’, lui va dicendo a tutti che è tanto fiero di me, che è felice dello stimolo intellettuale che gli offro, e poi, quando siamo insieme, mi tratta da scema. Guarda stamattina, per esempio: ha trovato a ridire perfino su quello che avevo scelto per colazione! Cristo santo: sono candidata al premio Pulitzer, e il tizio che mi vuol sposare ritiene che non sìa capace di ordinarmi da me la colazione!»
Erano davanti a una grande vasca dall’acqua cristallina. In essa nuotava una mezza dozzina di piccole balene, che affioravano ogni tanto per rifornirsi d’aria. «Mia giovane amica,» disse piano Oscar «quando, all’inizio, sei venuta a chiedere il mio parere, io ti ho detto che, a mio avviso, avevate anime incompatibili. E tu, ricordi cosa m’hai risposto?»
«Sì» disse lei con un mezzo sorriso. «Che il primo scienziato dell’IOM, cosa poteva saperne, di anime? E mi rincresce oggi Oscar, come m’è rincresciuto allora. Ma ero così cocciuta… Dale sembrava grande sulla carta e volevo la tua approvazione…»
«Lascia perdere,» la interruppe lui «sai cosa provo per te. Ma non sottovalutare mai uno scienziato. Ce n’è» continuò astrusamente «che vogliono conoscere fatti e concetti per poter giungere alla comprensione della natura ultima e globale delle cose. Anima putativa inclusa…
«Ora, prendi queste balene» continuò, accelerando il ritmo e cambiando abilmente argomento. «Noi ne studiamo il cervello da quasi un decennio, ormai: abbiamo isolato i vari tipi di funzione individuandone le sedi specifiche, e tentato di correlare la struttura a quella del cervello umano — tutto ciò, con un certo successo. È stata separata la funzione del linguaggio, ossia quella che governa il loro verso, e identificata la sede dei comandi fisici per tutte le parti del corpo: di fatto, insomma, abbiamo trovato nel cervello della balena una zona con funzione equivalente a quella che, nel cervello umano, governa le attività principali. Ma resta un problema, o, se preferisci, un mistero.»
Una delle balene arrestò il suo moto circolare e si dispose come in osservazione dei due interlocutori. «Nel cervello delle balene c’è un’ampia fetta alla quale non siamo stati in grado di assegnare una funzione specifica. Anni fa, dopo aver ascoltato i versi delle balene in migrazione, uno scienziato geniale, correlandoli al resto del loro comportamento, ha postulato che quest’ampia e inspiegata fetta di cervello fosse una schiera multidimensionale di memoria. Secondo la sua ipotesi, insomma, le balene immagazzinerebbero in questa schiera interi episodi — includenti cose viste, suoni, e perfino sensazioni —, che poi rivivrebbero durante la migrazione così da alleviarne la noia. E i nostri esperimenti cominciano appunto a confermarlo.»
«Vuoi dire,» fece, incuriosita Carol «che potrebbero mettere in quella schiera la serie completa di impressioni sensorie generate da un evento importante — come il parto, per esempio, — e poi, in questo o quel momento particolarmente noioso della migrazione, tirarne fuori, in certo senso, una riproduzione completa e istantanea? Accidenti, ma è affascinante! Io ho una memoria che è una fonte d’irritazione perenne: sarebbe formidabile se potessi entrarci, di mia volontà, e tirarne fuori quello che voglio — sensazioni comprese!» Poi, ridendo: «D’estate, per esempio, a volte mi è successo di non riuscire a ricordare con precisione il grande piacere che si prova a sciare, e ho provato una sensazione quasi di panico al pensiero di non ritrovarlo magari più, l’inverno seguente».
Oscar fece dei cenni alla balena, che si allontanò. «Bada, però,» disse «già altri hanno pensato che sarebbe fantastico se le nostre memorie fossero complete come quelle di un elaboratore… Ora, supponiamo di avere una memoria completa, multidimensionale, come quella ipotizzata per la balena, e supponiamo pure di conservare la medesima mancanza di controllo d’immissione quale è caratteristica della memoria umana attuale — che, come sai, ci consente di comandare noi, il che cosa e il quando ricordare. Ebbene, in tal caso sorgerebbero dei problemi. Potremmo addirittura diventare non funzionali come specie. Una canzone, un quadro, un odore, il sapore di un dolce, magari, potrebbero costringerti, da un istante all’altro, a fronteggiare di nuovo l’intero arco di emozioni associate alla morte di una persona cara, a rivedere un litigio doloroso fra i nostri genitori, o addirittura a rivivere il trauma della nostra nascita.»
Dopo un momento di silenzio, Oscar proseguì: «No, l’evoluzione ci ha serviti bene. Non potendo sviluppare un meccanismo di controllo immissione per la nostra memoria, essa, per proteggerci, per impedirci di venir demoliti da errori o eventi passati, vi ha inserito un processo di dissolvimento naturale…».
«Carol Dawson, Carol Dawson,» echeggiò l’altoparlante, infrangendo la quiete dell’acquario dell’IOM «è pregata di presentarsi subito nella sala riunioni audiovisive accanto allo studio del direttore.»
Carol strinse Oscar in un abbraccio affettuoso. «È stato un gran piacere, Ozzie, come sempre,» disse, osservandone il sussulto all’impiego del vezzeggiativo «ma pare che abbiano terminato di sviluppare le foto. Tra parentesi, la storia della memoria delle balene mi pare proprio affascinante, perciò intendo tornare a farci sopra un servizio. Un giorno della prossima settimana, magari. Un abbraccio a tua figlia e a tuo nipote.»
La conversazione con Oscar l’aveva tanto appassionata, da farle dimenticare per un momento lo scopo del suo volo mattiniero a Miami. Ora, tornando in macchina dall’acquario all’edificio amministrativo principale dell’IOM, si sentì riprendere da un forte senso di eccitazione. A colazione, Dale si era detto fiducioso che l’elaborazione delle immagini infrarosse avrebbe rivelato qualcosa d’interessante. «Dopo tutto, l’allarme oggetto-estraneo è stato azionato ripetutamente e, dato che le immagini visive non hanno rivelato nulla, ne consegue che, o è stato azionato dalle osservazioni infrarosse, o c’è stato un cattivo funzionamento dell’algoritmo» aveva ragionato. «La seconda possibilità è però assai improbabile, perché il flusso-dati è stato disegnato da me personalmente e provato, dopo la codificazione, dai miei programmatori migliori.»
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