Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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Con la decisione di riportare i’astronave morta alla civiltà, il Consiglio dei Capi fece sostanzialmente sì che l’inquietante questione della sua origine rimanesse in cima ai pensieri dei Coloni. E la sfrenata ricerca di ogni e qualsiasi informazione contribuì nuovamente alla destabilizzazione della cultura. La società ribollì di spiegazioni fantasiose agli irrisolti e inquietanti problemi posti dall’astronave. L’opinione dominante vedeva nel veicolo un prototipo della Colonia non entrato in produzione e quindi omesso dall’ Enciclopedia ufficiale dei veicoli spaziali ; opinione, questa, in linea con la tendenza generale dei Coloni a considerarsi innatamente superiori a ogni altra forma di vita.

Dubbi e timori relativi all’astronave sconosciuta sarebbero forse scemati fino all’estinzione, se il Consiglio dei Capi non avesse resuscitato le ansie collettive coll’annuncio, nel Proclama del Ciclo 434, che il maggiore dei nuovi progetti della Colonia sarebbe consistito nella creazione, e susseguente dislocazione nella Conchiglia Esterna, di una nuova generazione di schiere di ricevitori adibiti all’intercettazione e decodificazione di ogni radiomessaggio coerente in provenienza dall’Abisso. Con ciò, i Capi lasciavano chiaramente capire di ritenere che l’astronave inerte fosse d’origine extracoloniale.

Nei Cicli 435 e 436, la Colonia fu percorsa da ondate su ondate di informazioni inquietanti. Dapprima ci fu il prematuro annuncio della avvenuta decodificazione di molti messaggi extracoloniali; annuncio che venne a corroborare la diffusa voce circa l’esistenza nella galassia di molteplici Potenze, alcune delle quali assai più evolute della Colonia. Questa inquietante idea rimase in circolazione per mezzo ciclo, fin quando il Consiglio degli Astronomi, in risposta al proliferare della congerie di mezze verità, non annunciò che tutti i messaggi, meno pochissimi, andavano ascritti a una sola potenza, la Potenza # 2, il cui centro d’attività appariva distare dalla Colonia circa duecento millicicli-luce. A brevissima distanza dal primo, un secondo, sbalorditivo annuncio identificava quindi con nettezza le trasmissioni della Potenza # 2 come provenienti da fonti distanti fra loro centocinquanta millicicli-luce, ossia più di tre volte il diametro dell’intera giurisdizione della Colonia!

Fra il Ciclo 438 e la ricezione del Messaggio, si propose che la Colonia facesse un saggio uso delle proprie risorse nell’analisi dell’impatto avuto dalla scoperta dell’astronave sconosciuta, ma il Consiglio dei Capi non se ne diede per inteso. Furono, è vero, istituiti corsi accellerati di encrittazione avanzata, col fine primario di eliminare i timori di un possibile monitoraggio di tutte le nostre trasmissioni da parte della Potenza # 2; atto, questo, che venne ampiamente salutato come passo nella direzione giusta. Ma, contemporaneamente, venne anche intensificata l’esplorazione della Conchiglia Esterna, ciò che portò all’identificazione delle nuove forme di vita di Tipo E e alla susseguente quanto quasi aperta cattura delle specie in pericolo. Ogni suggerimento di limitazione e rallentamento del programma esplorativo venne ignorato: nel Ciclo 442, anzi, il Complesso Zoo creò diversi pianeti artificiali all’espresso scopo di condurre esperimenti sulle capacità genetiche delle specie di Tipo E.

Poi giunse il Messaggio della Potenza # 2. Semplice, diretto, terrificante, e codificato secondo il nostro più avanzato algoritmo di crittazione esso riconosceva la reciproca consapevolezza delle nostre due esistenze e suggeriva l’apertura di comunicazioni bilateriali. Nient’altro. Fine del Messaggio…

… Ciò che motiva la nostra obiezione al proseguimento dell’attività esplorativa nella Conchiglia Esterna non è il timore di ostilità da parte della Potenza # 2; come storici, anzi, riteniamo infondata la nascente preoccupazione circa la possibile aggressività della Potenza # 2. Studi su studi hanno infatti dimostrato l’esistenza di una correlazione abbastanza concreta fra coefficiente d’aggressività elevato e incapacità, in coloro che lo posseggono, di evolversi in una società con mire oltrepassanti un mondo con un singolo sistema solare. La probabilità che una società avanzata come la nostra abbia conservato, nella struttura psicologica generale, aggressività e territorialità come elementi costitutivi, è invero tanto piccola, da esser praticamente nulla.

Eventi capitali come il ricevimento del Messaggio della Potenza # 2 esigono nondimeno riflessione e sintesi, non attività esplorative aggiuntive. Le nostre risorse vanno pertanto usate per studiare e comprendere l’intera gamma di impatti che il Messaggio avrà sulla nostra società, non dissipate in audaci schemi di rimpatrio. È una questione di priorità: ed esaltando le informazioni nuove e lo sviluppo tecnologico sopra la stabilità sociale, i propugnatori del frontierismo si mostrano ancora una volta ciechi ai rischi comportati dai loro tentativi…

VENERDÌ

1

Nick Williams si svegliò alle cinque del mattino e non riuscì più a riprender sonno. Freneticamente attivo, il suo cervello passava in rassegna gli eventi del giorno prima e i loro possibili esiti nella giornata che s’annunciava. Era una cosa che gli era capitata spesso, sia quando frequentava il liceo in Virginia, sia, più di rado, ad Harvard; e, il più sovente, prima delle grandi gare di nuoto. Quando era troppo agitato, il cervello si rifiutava di spegnerglisi del minimo sufficiente e permettergli di dormire.

Rimase a letto quasi un’ora ancora, un po’ tentando di costringersi al sonno, un po’ fantasticando su quel ritrovamento che si augurava essere l’avvisaglia di un grande e prezioso tesoro nascosto. Fantasticare gli piaceva tanto, riusciva a immaginare senza fatica tutte le scene dei romanzi di cui era appassionato lettore. Ora, per un momento, immaginò i titoli del Miami Herald con l’annuncio della sua scoperta, al largo di Key West, di un gran tesoro d’oro.

Verso le sei desistette da ogni sforzo per dormire e balzò dal letto. La sacca sportiva era vicina all’armadio. Chissà cosa sarà mai ’sto coso? , si domandò, dopo aver estratto il tridente, come aveva già fatto quattro o cinque volte durante la notte, per dargli un’occhiata. Un qualche uso pratico doveva avercelo, perché è troppo maledettamente brutto per essere solo ornamentale. Mah, lo saprà Amanda , si disse, scuotendo il capo. Se c’è una persona che mi può dire di dove viene, quella è lei.

Andò alla porta a vetri scorrevole e tirò le tende. Era quasi l’alba. Oltre il balconcino vedeva la spiaggia e l’oceano. Il suo appartamento, al secondo piano, godeva di vista diretta sulla spiaggia. Sull’acqua tranquilla della risacca alitava leggiadra una coppia di pellicani, che attendeva il momento di piombare di sorpresa su qualche pesce salito troppo in superficie. Lungo la spiaggia camminava lenta, tenendosi per mano e parlando sommessamente, una coppia settantenne. Un paio di volte, la donna si staccò per raccogliere una conchiglia o due e riporre il tutto in una borsetta a cerniera.

Lasciata la porta, Nick raccolse i jeans che aveva gettato sul pavimento la sera prima, se li infilò, e passò in soggiorno portandosi dietro la sacca col tridente. Qui, posato con delicatezza l’oggetto d’oro sul tavolo per studiarlo, passò nel vano cucina per accendere la macchina del caffè e la radio.

Libri a parte, il soggiorno era arredato come centinaia di altri appartamenti da spiaggia. Divano e poltrona erano comodi e vivaci, di un crema con inserito un motivo a doppia felce verde-chiaro. Due quadretti di uccelli acquatici su una spiaggia deserta erano l’unico ornamento delle pareti. Tende beige-chiaro in tinta con la moquette incorniciavano la lunga porta scorrevole a vetri che dava sul balcone — arredato, questo, con mobili in canna d’India.

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