I viaggi all’area di deposito continuano regolari fino a esaurimento del materiale utile, e finché le rotaie non hanno raggiunto una lunghezza di quasi sedici chilometri. Poi l’attività cessa. Le rotaie da nulla a nulla, stanno nello spazio come mute testimoni d’una grande opera d’ingegneria abbandonata all’improvviso. Ma è proprio così? Immediatamente al disotto di una coppia binaria di spicco, le due luci più vivide del cielo orientale, appare un puntino. Il puntino s’allarga e s’allarga fino a dominare il quadrante orientale del cielo. Una dozzina, no, sedici grandi navi interstellari da carico, con fari lampeggianti di vivida luce rossa, guidano nella regione un convoglio di veicoli-robot. Le fantomatiche rotaie da nulla a nulla vengono circondate. La prima nave da carico si apre e fa uscire otto navicelle spaziali, ciascuna delle quali rimonta la rotta verso un’altra delle grandi navi e aspetta in silenzio, all’esterno, che si compia per intero l’arrivo del convoglio.
L’ultimo veicolo ad arrivare è un minuscolo rimorchiatore spaziale che si trascina un lungo oggetto affusolato. Simile a due ventagli giapponesi uniti insieme per le estremità, questo è incassato in una lamina trasparente di protezione fatta di materiale sottilissimo. E, da un capo all’altro, gli si vedono danzare attorno, come colibrì, otto veicoletti dardeggianti, che sembrano, a un tempo, guidarlo, proteggerlo e controllarne lo stato di salute.
Le grandi navi da carico, dalla forma di antichi dirigibili, si aprono ora a svelare il loro contenuto. La maggioranza trasporta pile enormi di pezzi di rotaia. Le navicelle caricano i pezzi, impilati come sono, e li depongono a mucchi per chilometri e chilometri in entrambi i sensi delle rotaie preesistenti. Verso la fine delle operazioni di scarico, quattro navicelle si accostano alla fiancata di una delle ultime navi da carico e aspettano l’apertura del portello prodiero. Dal ventre della nave escono otto macchine che, attaccate le quattro navicelle in coppie, le smontano con cura e ne riportano i pezzi nell’oscurità della stiva prodiera. Pochi momenti dopo, dalla grande nave emerge una complessa macchina a snodo di forma oblunga, che, una volta all’esterno, s’allunga sino a formare un banco lungo quasi un chilometro e mezzo: un banco con una piattaforma centrale, su cui, all’incirca ogni cento metri, una serie più modesta di componenti coordinati si trasforma in un gruppo locale ultraorganizzato.
È il sistema costruttore automatizzato e pluriuso, uno dei tesori tecnologici dei Coloni. Il sistema si sposta ora per intero in capo alle rotaie, e i suoi molti manipolatori a distanza prendono a estrarre pezzi di rotaia dalle diverse cataste. Le mani e le dita dei manipolatori, prodotto di una tecnica sofisticata, posano abilmente i pezzi e li fissano con saldature atomiche. A una velocità sbalorditiva: pochi minuti per un chilometro e mezzo di rotaia. Dopodiché, la grande macchina costruttrice si sposta presso un’altra catasta. Alla fine, le rotaie si stendono nello spazio per oltre centocinquanta chilometri.
Completato questo lavoro, il sistema costruttore intraprende la metamorfosi successiva. Strappandosi in pezzi a partire dai due capi del lungo banco, la monolitica struttura scompare per riorganizzarsi in migliaia di componenti, separati ma simili. Questi componenti, simili a formiche, attaccano a gruppi ciascuno un pezzo di rotaia, misurando con cura tutte le dimensioni e controllando tutte le saldature fra parti adiacenti. Poi, come a un segnale, i binari ai quattro capi dei segmenti di rotaia prendono a incurvarsi e ad alzarsi, sotto la spinta dei componenti-formiche. E torcendosi all’insù, sempre più all’insù, si trascinano dietro il resto delle rotaie. Le due lunghe linee parallele finiscono così col trasformarsi in un gigantesco doppio cerchio, di raggio superiore ai quindici chilometri, che sembra una ruota di luna-park sospesa nello spazio.
Completato il doppio cerchio il sistema costruttore torna a riconfigurarsi. Alcuni dei suoi nuovi elementi afferrano il lungo oggetto affusolato in forma di ventagli giapponesi giustapposti per le estremità, e, sotto l’attenta sorveglianza dei colibrì protettori, lo drizzano a lato del doppio cerchio. L’oggetto — che, non sorprendentemente, si rivela d’una lunghezza quasi identica a quella del diametro del doppio cerchio — viene quindi inserito nella struttura circolare, con orientamento da nord a sud, a mo’ di razza. Poi, mentre alcuni colibrì fissano alla struttura le estremità della razza mediante sottili cavi invisibili da essi generati, il resto dei minuscoli, rapidissimi veicoli meccanici crea una ragnatela che inviluppa la sezione centrale e collega la grande antenna con l’asse est-ovest del doppio cerchio.
Una volta collegata alla struttura di supporto, l’antenna si apre lentamente ad ambo i capi, settentrionale e meridionale, del doppio cerchio. Una visione ravvicinata rivela che le delicate pieghe vengono separate ad una a una dai colibrì. Le pieghe si svolgono tutte, e l’interno del doppio cerchio appare così occupato da un misto di reti, nervature e strutture sbalorditivamente complesse. Lo spiegamento iniziale è ora completo.
Il complesso-comunicazioni si sottopone quindi a una minuziosa autoverifica, mentre i servocostruttori rimangono in attesa in caso di problemi. La verifica si rivela positiva e la stazione viene dichiarata operativa. Nel giro di alcune ore, la falange di robot dell’universo abitato raccoglie tutto il materiale metallico sparso e lo carica su una delle grandi astronavi da carico. Poi, con la stessa rapidità con cui sono arrivati, i veicoli-robot svaniscono nella nera oscurità circostante la stazione, lasciando l’imponente struttura circolare a testimoniare della presenza dell’intelletto nell’universo.
Durante il Ciclo 446, attorno alla vasta Conchiglia Esterna i cui duecentocinquantasei settori contengono ciascuno un volume superiore a quello della Colonia, sono state effettuate oltre un migliaio di migliorìe del genere, nel tentativo di estendere capacità di comunicazione avanzate a nuove località. Il doppio cerchio è l’ultima migliorìa di un gruppo rivelatosi di assai ardua realizzazione in una regione prossima all’Abisso. Il gruppo ha subito numerosi ritardi a causa di un numero troppo elevato di errori di fabbricazione; errori di cui è stata responsabile la grande fabbrica più vicina, la quale dista oltre due millicicli-luce. Dopo vari tentativi di diagnosi e soluzione dei problemi, è stato deciso di chiudere e ricostruire praticamente da zero l’impianto. La realizzazione del progetto ha così accumulato un ritardo totale di quattordici millicicli, che corrisponde all’incirca all’ipotesi peggiore espressa dal Consiglio degli Ingegneri nell’analisi d’accompagnamento del Proclama del Ciclo 446.
L’avvicinarsi del grande momento arresta le attività ordinarie del centro della Colonia. Nell’ultimo nanociclo cessano anche le attività commerciali e ricreative. Le astronavi sono addirittura vuote. Alle 446, 9 precise, dopo duecento millicicli di dibattito e discussione in seno al Consiglio dei Capi, verrà emanata la circolare governativa sulla nuova era, e tutta l’intelligenza della Colonia sarà in ascolto.
Attivato il trasmettitore gigante come da programma, il Proclama relativo al Ciclo 447 si spande nello spazio a una cadenza informativa di cento trilioni di bit per picociclo. La cadenza di emissione-dati del potente strumento è assai più elevata, a dir il vero, ma l’aliquota informativa viene ridotta per agevolare i sofisticati controlli di codifica ed errore interni ai dati. La codificazione fa sì che il messaggio possa venire decodificato a qualsiasi livello solo dai ricevitori della Colonia dotati di speciali algoritmi di descrizione. E i controlli di concordanza interni su ogni sequenza di dati trasmessa riducono praticamente a zero le probabilità di arrivo, anche a distanze enormi, di informazioni errate.
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