«Grazie» disse automaticamente Carol, avvertendo una punta d’irritazione. Chissà perché , pensò, mentre Dale le parlava di uno dei suoi nuovi progetti all’IOM, gli uomini esigono sempre gratitudine per ogni piccolo sacrificio. Se una donna cambia programma per fare un favore a un uomo, è la più normale delle cose; se invece è un uomo a degnarsi di far lo stesso col suo, è una roba da finimondo!
Dale non smetteva di parlare. Ora le stava raccontando tutto entusiasta di una nuova impresa messa in cantiere dall’Istituto: il rilevamento dei vulcani sottomarini della zona di Papua, in Nuova Guinea. Devo proprio essere a terra , sorrise dentro di sé Carol, rendendosi conto di essere infastidita dall’interesse di Dale per i propri obiettivi. E mi sa che sto per comportarmi da rompiballe.
«Ehi» lo interruppe, alzandosi e procedendo a radunare le fotografie. «Scusa se pianto la festa, ma qui chiudono e sono sfinita. Arrivederci a domattina.»
«Non muovi?» disse Dale, indicando la scacchiera.
«No. Né adesso, né mai più, forse» disse lei, con una traccia di collera nella voce. «Qualunque giocatore ragionevole avrebbe accettato la mossa che ti ho offerto lo scorso fine settimana, e sarebbe passato a cose più serie. Ma il tuo maledetto amor proprio non tollera l’idea di finir battuto da me una partita su cinque.»
«C’è anche chi commette errori, nella partita finale…» rispose Dale, passando sopra al contenuto emotivo dell’osservazione di lei. «Ma so che sei stanca. Dunque, verrò a prenderti all’aeroporto e faremo colazione insieme.»
«D’accordo. Buonanotte.» Riappeso un po’ bruscamente il videotelefono, Carol mise in borsa tutte le foto. (Lasciato il porto turistico, aveva portato macchina e pellicola direttamente alla camera oscura del Key West Independent , dove aveva passato un’ora nello sviluppo ed esame dei positivi. I risultati si erano rivelati sorprendenti, specialmente in un paio di casi. Un’istantanea mostrava chiaramente quattro solchi diversi che convergevano in un punto appena al disotto della fessura. Un’altra, i corpi delle tre balene in una posa che dava loro l’aria di esser immerse in conversazione.)
Uscita dal salone, attraversò lo spazioso atrio dell’albergo Marriott. Il piano bar era quasi deserto. L’agile pianista nero stava suonando una vecchia canzone di Karen Carpenter, Goodbye to Love. Un bell’uomo fra i trenta e i quaranta stava baciando una giovane biondona in un séparé sulla destra. Carol ne fu risentita. La bimba ha almeno ventitré anni suonati , si disse, ed è la sua segretaria, probabilmente, o qualcosa di simile.
Nel discendere il lungo corridoio verso la propria stanza, rifletté alla conversazione con Dale. Lui le aveva detto che la Marina aveva dei piccoli veicoli robot, alcuni dei quali derivati da disegni originari dell’IOM, che potevano facilmente essere gli autori dei solchi. Ed era praticamente certo che di veicoli simili disponevano anche i russi. In quanto al comportamento delle balene, era irrilevante, secondo lui; il grave, invece, era che lei non si fosse accertata se vi fosse altro, sotto la sporgenza ( Ma certo , aveva pensato lei nel sentirselo dire, avrei dovuto dedicare almeno un altro minuto a guardarci. Accidenti a me! Speriamo di non aver guastato tutto. Poi si era ripassata nella mente l’intero episodio della sporgenza, nel tentativo di ricordare eventuali indizi che lasciassero pensare ad altri oggetti nascosti.)
Ma la sorpresa maggiore, alla conversazione con Dale, era venuta quando lei, così di sfuggita, aveva lodato il funzionamento del nuovo algoritmo d’allarme. Di colpo interessatissimo, Dale aveva chiesto; «Allora, il codice di allerta ha segnato proprio 101?».
«Ma sì,» aveva risposto lei «ed è per questo che non mi sono meravigliata di trovare l’oggetto.»
«Non è possibile,» aveva ribattuto, deciso, lui «il codice d’allerta non può essere stato azionato dal tridente. Anche se fosse stato ai margini del campo visivo del telescopio — il che sembra improbabile, visto il pezzo in trincea che hai risalito per trovarlo —, è troppo piccolo per aver potuto azionare l’allarme corpo-estraneo. E poi, come poteva esser visto, se stava sotto la sporgenza?» Dopo una pausa, Dale aveva proseguito: «Tu non hai guardato le immagini infrarosse in tempo reale, vero? Be’, quando le avremo elaborate, vedremo di capire che cos’è che ha azionato l’allarme».
Carol aprì la porta della camera d’albergo avvertendo una strana sensazione di abbattimento. È solo fatica , si disse, non volendo ammettere di sentirsi un’incapace dopo la conversazione con Dale. Posata la cartella su una sedia, andò stancamente in bagno a lavarsi il viso. Due minuti dopo si addormentava sul letto con addosso la sola biancheria intima. Pantaloni, camicetta, scarpe e calze erano ammucchiati in un angolo.
È di nuovo bambina, nel sogno, e porta il vestito a righe azzurre e gialle che i genitori le hanno regalato per il settimo compleanno. Passeggia col padre lungo il Northridge Mall in un’affollata mattina di sabato. Passano davanti a una grande pasticceria. Lei abbandona la mano del padre e corre all’interno e si ferma a bocca aperta davanti alla vetrina dei cioccolatini. L’omone dietro il banco le chiede cosa vuole, e lei ìndica delle tartarughe di cioccolato al latte.
Nel sogno, il banco è troppo alto, e lei non ha soldi. «Dov’è la tua mamma, piccola?» domanda l’uomo. Carol scuote la testa, e lui ripete la domanda. Lei si rizza sulla punta dei piedi e gli sussurra, in confidenza, che la sua mamma beve troppo, ma che il suo papà le compra sempre tanti dolci.
L’uomo sorride, ma continua a non volerle dare i cioccolatini. «E tuo padre dov’è, piccola?» domanda di nuovo. Nella vetrina, Carol vede riflesso un uomo affettuoso e sorridente che le sta alle spalle, in mezzo a due montagne di cioccolatini. Si gira, aspettandosi di vedere suo padre, ma scopre che l’uomo alle sue spalle non lo è. Ha una faccia grottesca, sfigurata, costui. Spaventata, torna a girarsi verso i cioccolatini. L’uomo sta ritirando tutto perché è ora di chiusura. Lei comincia a piangere.
«Dov’è tuo padre, piccola? Dov’è, eh?» La bambina del sogno singhiozza disperatamente. È circondata da omoni e donnone che, tutti, le fanno domande. Si tura le orecchie con le mani.
«Se n’è andato,» urla finalmente Carol «se n’è andato! Ci ha lasciate e se n’è andato, e ora io sono tutta sola!»
Sullo sfondo nerissimo delle stelle sparse, i filamenti della galassia della Via Lattea paiono esili bave di luce aggiunte dal pennello di un grande artista. Qui, all’estremità lontana della Conchiglia Esterna, presso il punto dove comincia quello che i Coloni chiamano l’Abisso, non v’è traccia della fervida attività della Colonia, distante circa ventiquattro millicicli-luce. Una maestosa, ininterrotta quiete fa da sfondo all’ineffabile bellezza di un cielo nero trapunto di vivide stelle.
Dal vuoto giunge di colpo un piccolo robot da comunicazioni interstellari. Il robot cerca, finisce per trovarlo, uno scuro satellite sferico di circa cinque chilometri di diametro, che può venir facilmente trascurato nel grande panorama del cielo dei cieli. Passa del tempo. Una ripresa ravvicinata mostra dell’attività in corso, sul satellite. Luci artificiali soffuse illuminano ora tratti della superficie. Veicoli automatizzati sono all’opera alla periferia dell’oggetto, del quale vanno apparentemente cambiando la forma. Vengono infatti smantellate alcune strutture esterne, che i veicoli trasportano lontano a un deposito provvisorio. Alla fine, il satellite originario scompare del tutto, e rimangono soltanto due lunghe rotaie parallele in lega, costituite da sezioni di duecento metri l’una e ricavate dai pezzi di ricambio dell’ormai svanito satellite. Ciascuna rotaia ha una larghezza di dieci metri, ed è separata dalla parallela di un centinaio di metri.
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