John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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Loro, pensò Douglas. I nemici. Ed era vero, naturalmente. Ma che tipo di nemici?

«E cosa avevamo per le mani?» chiese.

«Non lo so,» disse Selby. «Ma comincio ad avere qualche idea. Per prima cosa, andiamo a vedere cosa possiamo trovare là fuori.»

Era ancora molto buio, e il freddo era pungente. Elizabeth si era alzata, nel frattempo; e lei e Mandy stavano accanto alla porta. George aveva detto loro di sbarrarla, appena fossero usciti, e di riaprirla solo quando si fossero fatti riconoscere chiaramente, al ritorno. Douglas aveva una torcia elettrica, George il fucile. Dovevano stare ai fianchi di Selby, senza allontanarsi. Salirono il pendio, dalla porta principale, verso destra, intorno al fianco della casa. La neve si era ammucchiata ed era alta parecchie decine di centimetri: aveva una crosta fragile, ma sotto quella superficie era piuttosto soffice.

«Ecco,» disse George.

Douglas puntò il raggio della torcia. Non c’era dubbio: avevano trovato il punto. Un buco nella neve, e un altro a poca distanza… un buco fatto da un corpo pesante, caduto dall’alto. Intorno c’erano tracce confuse, da cui non si poteva ricavare nulla. Douglas orientò il raggio in varie direzioni. Non c’era altro che la neve e la nebbia.

George disse: «Inutile cercare ancora. È meglio che torniamo dentro, al caldo.»

«Non possono essere andati lontano,» osservò Douglas. «Se uno di loro si è ferito, per esempio.»

«Ma non abbastanza gravemente da impedirgli di allontanarsi,» disse Selby. «O di venire trasportato. In ogni caso, è molto improbabile che riusciamo a trovarli, con questo buio.»

Tornarono indietro, in silenzio. Mandy guardò attraverso i vetri quando suonarono, e li fece entrare.

«Marie si è fatta male?» chiese.

George scosse il capo. «Non sappiamo. Non era rimasta ad aspettarci per dircelo. Chiuderò io, Mandy. Puoi prepararci una tazza di caffè?»

«Non ce n’è più. Solo tè.»

«E va bene, allora tè.» Le strinse il braccio, affettuosamente. «Ma in fretta, tesoro. E prepara qualcosa per colazione. Siamo tutti affamati.»

Elizabeth era andata a far alzare Stephen, e aveva detto che avrebbe svegliato anche Jane e Diana. Dopo essersi sbarazzati degli indumenti pesanti che s’erano messi per uscire, i tre uomini andarono in cucina, dove Mandy stava preparando la colazione. Lei fece il tè, e loro sedettero a tavola.

Douglas disse: «Sarebbe stata una scalata difficile anche per un giovane. E perché arrampicarsi fin lassù? Perché non è entrato a uno dei piani più bassi?»

George rispose: «Chi era di guardia l’avrebbe sentito. Lassù, invece, non correva rischi. Probabilmente ha immaginato che Marie non avesse chiuso bene la finestra, perché sapeva quanto era distratta: ma se anche l’avesse trovata chiusa, avrebbe potuto entrare nella sua stanza, senza fare troppo rumore.»

«E che intenzioni aveva?» chiese Selby.

«Peter raggiunge Marie, presumibilmente mentre lei dorme. La converte, o la contagia, o quello che è. Poi, se riescono a far salire Mandy, prendono anche lei. È il momento più adatto, no? Una o due persone in piedi, gli altri a letto. Marie e Mandy scendono da Douglas, e Peter resta un po’ indietro, per non farsi vedere, fino a quando non è troppo tardi. Poi… aprono la porta, suppongo, e fanno entrare gli altri. Tutto finito nel giro di mezz’ora.»

Selby annuì. «Mi sembra logico.»

«Troppo logico,» disse George. «Il piano è fallito solo perché Mandy ha intuito che qualcosa non andava.»

Mandy, che era davanti alla stufa, si voltò. «È stato qualcosa nella voce di Marie. Il suo modo di parlare… non era confuso, ma molto lento. Più lento di come parlava lei di solito.»

«È uno dei fattori caratteristici,» osservò Selby. «O almeno, lo sembra. Ricordate Andy, e Ruth. I riflessi un po’ rallentati, direi.» Si fregò le mani, irrequieto. «Mio Dio, vorrei catturarne uno, da esaminare con calma.»

«Servirebbe a qualcosa?» chiese Douglas. «Voglio dire, sappiamo che sono pericolosi.»

«Potremmo scoprire in che modo lo sono. Come contagiano gli altri. Fino a che punto sono vulnerabili agli stimoli fisici. Potremmo scoprire molte cose.»

George rimescolò il suo tè e lo bevve. «Ce n’è ancora, Mandy?» Poi si rivolse a Selby. «Non credo che ce ne sia la possibilità. Sono abilissimi a tenersi fuori portata.»

«Forse è possibile,» disse Selby. «Hanno l’impulso di contagiare gli altri… è quasi una specie di fame. Per farlo, sono disposti a correre dei rischi: pensate al vecchio Peter. Potremmo approfittarne. Preparare una trappola.»

Douglas chiese: «Nello chalet?»

George disse, in tono deciso: «Non nello chalet. Potrebbe andarci male.»

Selby annuì. «Fuori sarebbe meglio.»

«Preparare una trappola?» chiese George. «Con uno di noi come esca? E come? Non si può mettere qualcuno là fuori.»

«Bisognerebbe pensarci sopra.»

Douglas immaginò se stesso come esca… nella neve, circondato dal freddo grigiore informe della nebbia da cui uscivano delle figure… La paura gli serpeggiò lungo la spina dorsale. Provò un senso di sollievo quando George disse:

«Non si può fare niente, con una nebbia così fitta. Uno non saprebbe neppure dov’è.»

«Questo è vero. Però potrebbe schiarire.»

«La cosa più ragionevole,» disse George, «è restare dove siamo. Ogni volta ne abbiamo la conferma.»

«E continuiamo a perdere,» disse Selby. «Se avessimo un esemplare…»

Mandy portò la teiera. «Un esemplare…» disse. «Come può parlare così? Marie, Peter, il piccolo Andy…»

Nessuno le rispose. Poi Selby disse: «Dobbiamo pensarci sopra.» E si alzò. «Intanto, una cosa possiamo farla. Sbarrare le altre finestre della casa. Non credo che cercheranno di entrare durante il giorno, ma è una possibilità che non va esclusa.»

Le voci incominciarono circa un’ora dopo. Mandy fu la prima a udirle. La finestra della cucina era sbarrata, ma lei aveva aperto i vetri per fare uscire gli odori della cottura. Andò ai piedi della scala a chiamare, agitata, e gli altri smisero di lavorare sulle altre finestre e scesero a vedere cos’era successo. Lei disse, spaventata:

«Stavano chiamando… dalla finestra della cucina.»

«Chi?» chiese George.

«Cosa dicevano?» chiese Selby.

«Prima Marie. E poi ho sentito la voce di Ruth. E quella di Leonard. Mi dicevano di uscire.»

Si guardarono in faccia e andarono in cucina. L’unico suono era il ticchettio dell’orologio. Forse se l’era immaginato Mandy, pensò Douglas. Ma poi, mentre stavano in ascolto, dall’esterno giunsero le voci. La voce di Ruth.

«Mandy. Vieni fuori, Mandy. Non ti faremo del male. Non c’è da aver paura, Mandy. Vieni fuori.»

Selby si mosse rapidamente, senza far rumore: portò la scaletta davanti alla finestra e salì. Guardò fuori, con la testa appena al di sopra del livello del davanzale.

«Vede niente?» chiese George.

«Non mi pare. No.» E gridò: «Ruth, entri lei. Venga in casa, così potremo parlare. Le apriremo la porta principale.»

Vi fu un silenzio, poi la voce disse ancora: «Vieni fuori.» Il tono non era minaccioso né accattivante: inespressivo. Poi altre voci confuse, tra cui si riconosceva quella di Leonard: «Vieni fuori. Vieni fuori. Vieni fuori.»

«La nebbia è ancora fitta,» disse Selby. «E loro si tengono fuori tiro.» Scese dalla scaletta, dopo aver chiuso la finestra. Si sentivano ancora le voci, ma più fioche. «Dio sa cosa stanno tentando di fare… Non di comunicare, questo è certo.»

Elizabeth arrivò dal corridoio.

«Cosa succede?» domandò. «Steve ha detto che gli è parso di sentire la voce di sua madre.»

«È vero,» disse Selby. «Cercavano di convincere Mandy a uscire. Forse ci proveranno anche con lui. Fai in modo che non gli dia retta.»

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