John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«E nessun rimpianto?»

«Credo che i rimpianti abbiano bisogno di un’attenzione costante, per sopravvivere. E io mi guardai bene dall’occuparmi dei miei.»

«Sembra una favoletta morale. Non lo dico per cattiveria.»

«Lo so. Ma non ha avuto un lieto fine.»

«Quando suo marito morì…»

«Fu un colpo terribile, naturalmente. Una bronchite che diventò polmonite, e le medicine non servirono a nulla. Per un po’, non ci si rende conto di quello che è accaduto. Poi superai quella fase. Mi accorsi che accettavo facilmente l’idea della sua morte. Quello che non potevo accettare era l’inutilità della mia vita. Mi pareva che non ci fosse nulla che valesse la pena di fare. Ancora adesso è così.»

«E quanto tempo è passato da…?»

«Martin? Un paio di secoli. Otto anni.»

«Non è più rimasta in contatto con lui?»

«Oh, no. Il suo matrimonio si sfasciò, lui si risposò e andò a stare in Canada. Ma non era importante. L’avevo liquidato da molto tempo. Il fatto era che nulla era importante. Ogni sforzo, ogni sofferenza era inutile. E non c’era nulla per sostituirla, nessuna prospettiva che un giorno potesse esserci qualcosa. Le sembra assurdo?»

«No.»

Jane si guardò le mani. «Mi meraviglio di me stessa… raccontarle tutto questo.»

«Sono stato io a cominciare.»

«Sì. Adesso si sente meglio?»

Douglas rifletté. «No.»

Lei rise. «Neppure io!»

Ma almeno gli era grata per averla ascoltata, per non averle detto delle frasi sbagliate. E provare quel piccolo debito verso un altro essere umano, era presumibilmente meglio che niente. Adesso si sentiva stanca, e provava il desiderio di restare sola.

«Credo che andrò di sopra a fare il bagno,» disse. «Ci vediamo a cena, Douglas.»

IX.

Mandy era preoccupata per Stephen e per George.

Era terribile, per il bambino, sapere che le figure familiari e rassicurante dei genitori erano divenute spauracchi dai quali doveva difendersi… molto, molto peggio che se li avesse perduti completamente. Lei avrebbe voluto coccolarlo nel tentativo, sia pure inadeguato, di rimediare in qualche modo, ma naturalmente durante il giorno non ne aveva il tempo. La storditaggine di Marie era peggiorata in quegli ultimi giorni, e dopo la scomparsa di Peter la ragazza era diventata quasi inutile. Bisognava ripeterle cento volte le cose, e poi lei era capacissima di piantare egualmente a metà quello che stava facendo. Bisognava starle dietro di continuo.

Aveva pensato di occuparsi del bambino dopo cena, mentre Marie sparecchiava, ma ormai Elizabeth si era appropriata di lui. Era logico: aveva avuto tempo da dedicargli durante il giorno. Era buona con lui, ci sapeva fare, e Stephen sembrava trovarsi bene. Ma Elizabeth apparteneva a quella categoria di donne inglesi che Mandy giudicava deprimenti. I Grainger, come i Deeping, avevano due figli, un maschio e una femmina, ma erano entrambi in collegio da quando avevano compiuto i sette anni. Elizabeth non si era preoccupata, come avrebbe fatto certamente Ruth al suo posto, perché la valanga le impediva di mettersi in contatto con loro. Quando tornavano a casa per le vacanze, lei li accoglieva con un radioso sorriso di benvenuto, attenta a controllare se i vestiti avevano bisogno di venire rammendati o sostituiti. Doveva essere calma e gentile con loro: un’affettuosa estranea.

Senza dubbio, quella mentalità aveva i suoi pregi. La calma di Elizabeth si comunicava al bambino, e anche Stephen sembrava sereno. Era un bene per tutti gli altri, bloccati lassù e alle prese con qualcosa di sconosciuto: ma non era giusto, Mandy ne era sicura. Non era giusto. Stephen, dopotutto, aveva soltanto dieci anni. Avrebbero dovuto esserci le tempeste del pianto e della disperazione, e qualcuno per tranquillizzarlo, per migliorare un po’ le cose.

Marie uscì dalla cucina per andare a finire di sparecchiare in saia da pranzo: c’era tempo, non molto ma abbastanza, e senza bisogno d’inghiottire in fretta, per bere un sorso dalla bottiglia nascosta dietro il barattolo dello zucchero vanigliato. Mandy vide che era quasi vuota. Per quella sera bastava, ma l’indomani mattina avrebbe dovuto procurarsene dell’altro. Per un momento, pensò a se stessa, con malinconia e triste disgusto. Comunque, cosa avrebbe potuto dare al bambino? Che cosa poteva dare a chiunque? Persino a George…

Si era accorta che George cominciava a dare segni di tensione: lo tradiva il piccolo tic che appariva di tanto in tanto all’occhio sinistro, e che gli altri probabilmente non notavano. E poi beveva di più… non ostentatamente, come faceva di solito, ma con silenziosa ostinazione. E quando beveva s’incupiva. Quando Jane, dopo cena, tentò di proporre che anche le donne montassero di guardia, la notte, come gli uomini, George respinse l’idea con una bruschezza quasi rabbiosa. Disse freddamente:

«No. E non parliamone più. Decido io chi deve montare di guardia, e quando.»

Per Mandy era stato un sollievo che nessuno lo contrastasse. Se uno degli uomini l’avesse fatto, dato che lui era di quell’umore, avrebbe potuto finir male. Aveva visto George picchiare un uomo, senza preavviso, solo perché aveva sorriso di qualcosa che lui aveva detto. Eppure non era violento per natura: nessuno lo conosceva meglio di lei. Normalmente, non lo era neppure quando beveva un po’ troppo. Ma quando beveva ed era di quell’umore… allora c’era pericolo.

Alla fine, avevano deciso che i tre uomini sarebbero stati di guardia: un turno di due ore, poi quattro di riposo. A Douglas fu assegnato il primo turno, dalle dieci a mezzanotte; poi sarebbe toccato a George. Selby avrebbe avuto il turno di mezzo, dalle due alle quattro, ma per quella notte non gliene sarebbero toccati altri. Si misero d’accordo sui particolari, e Selby disse:

«Sono le dieci passate da poco. Tocca a lei, Douglas. Io andrò a letto e cercherò di dormire il più possibile, prima che George venga a chiamarmi. Non dimentichi di lasciar fuori il whisky, George.»

Tutti gli altri si alzarono. Anche Mandy si sentiva sfinita: era stata una giornata molto pesante da parecchi punti di vista. Tuttavia indugiò fino a quando rimasero solo George e Douglas. Poi disse a George:

«Vieni a dormire?»

Lui la fissò. «Dopo.» Mandy non si mosse, e lui fece, irritato: «Ho detto che vengo dopo. Vai pure.»

Mandy non se la sentiva di lasciarlo, ma non aveva scelta. Andò da Marie, in mansarda, e vide che era abbastanza tranquilla; poi scese in camera sua. La notte prima il bambino aveva dormito lì, ma Elizabeth aveva fatto portare la branda nella sua stanza. Si svestì lentamente, e lentamente disse le preghiere, anche per Stephen, e per i Deeping ed Andy, e per il vecchio Peter. Ci si abituava a tutto… anche all’idea che fossero là fuori, nella nebbia e nella neve. Rabbrividì; sedette sull’orlo del letto e si versò l’ultimo bicchierino della giornata. Vide che anche quella bottiglia era semivuota. La lampada accanto al letto guizzò. Il petrolio era quasi finito. Doveva accadere qualcosa, presto: la nebbia doveva disperdersi, dovevano sgombrare la strada per Nidenhaut. Tutta la tensione e il pericolo e l’inquietudine sarebbero finiti, e tutto sarebbe tornato come prima. Si accorse che aveva cominciato a piangere, e che le lacrime le scorrevano sulle guance ardenti. Spense la luce e si mise a letto.

Ma non si addormentò. Era ancora preoccupata per George, e ascoltava, in attesa di udire i suoi passi su per le scale. Gli scricchiolii della casa le sembrarono più nitidi: da molto tempo c’era abituata, ma adesso ognuno di essi poteva essere il passo di George sulla scala o sul ballatoio. Poteva esserlo, ma non lo era.

Pensò ad un’altra casa vecchia e scricchiolante, più di trent’anni prima. Quell’estate, quando c’erano tutti i cugini… L’aria solenne degli adulti, le prediche sulla prodigalità. La terribile notìzia di zio Lee, che Cooper aveva detto a lei per prima, come aveva sempre fatto, e allora lei aveva capito perché i cugini Mulway restavano lì tanto… erano orfani, e poveri. «Anche papà ha preso un brutto colpo, in Borsa,» aveva spiegato Cooper. «Ma non come quello di zio Lee. Loro non lo sanno, Mandy… a loro hanno detto che è ammalato. Quindi dobbiamo essere gentili con loro, ma non dobbiamo farglielo sapere, neppure sospettare. Capisci?»

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