John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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Stephen le diede la casa e mise il danaro in banca. Poi disse:

«Loro non torneranno, vero?»

Era superfluo chiedere chi erano «loro». Nel silenzio che seguì, Elizabeth scosse rumorosamente i dadi. Poi disse:

«Non lo sappiamo, Steve. Sono ammalati, e sono andati via. Forse torneranno.»

«Forse hanno trovato il modo di scendere al villaggio.»

«Può darsi. Steve?»

«Sì?»

«Mandy te l’ha detto, non è vero, che se li vedi vicino alla casa, non devi uscire per andare da loro? Anche se ti chiamano.»

«Sì. Perché sono malati.» Il bambino rifletté. «Anche papà?»

«Purtroppo sì.»

Stephen disse: «Lo so. Sono malati nel cervello. Un mio compagno di scuola… aveva il padre così. Poi lo hanno portato in un ospedale e gli hanno fatto le scosse elettriche, e allora è guarito.»

Elizabeth disse: «Probabilmente sarà così anche con tuo padre e tua madre. Solo, non sono vere scosse elettriche… non di quelle che fanno del male.»

«E Andy?»

«Per Andy non so. Penso che guarirà anche lui. Ma dovremo trovarli tutti e sorvegliarli fino a quando sarà possibile portarli in un ospedale. Se vedi uno di loro ce lo dirai, vero? E te ne terrai lontano?»

«Sì. Se sono arrivati giù al villaggio, li cureranno là, vero? E li porteranno all’ospedale.»

«Sì. Naturalmente.»

Elizabeth tirò un sette.

«Mayfair!» esclamò il bambino. «È mio. Cinquanta sterline d’affitto, prego.»

Mentre il gioco proseguiva, Jane pensò a se stessa. Aveva creduto di vivere in un vuoto emotivo, ma forse la natura aborriva anche quel tipo di vuoto, come tutti gli altri. Per due volte, in poco tempo, si era accorta di reagire: all’abilità con cui Elizabeth trattava Stephen, e agli sbadigli di Diana. Erano due cose molto diverse, ma in entrambi i casi, la sua reazione era stata di risentimento. Forse quel risentimento stava per diventare la nota dominante della sua vita, la reazione automatica ai successi degli altri, al loro comportamento naturale? Quel pensiero la sgomentò, la spaventò. Ma quel era l’alternativa? Uscire dal suo guscio, interessarsi agli altri… diventare positiva e attiva, anziché negativa e chiusa in se stessa? Era una prospettiva sgradevole: richiedeva una spaventosa forza di volontà. E senza una ricompensa concepibile.

I dadi toccarono a lei. Li agitò.

«Ero sulla sua proprietà,» disse allegramente Stephen. «E ha dimenticato di chiedermi l’affitto! Sei. È la stazione di Fenchurch Street. Se vuole può comprarla.»

Finirono di giocare a un quarto a mezzogiorno, e Jane decise di sfruttare il tempo che restava prima di pranzo per scrivere a Wendy Gabriel. Wendy era l’unica dei suoi vecchi vicini dell’Oxfordshire con cui era rimasta in contatto: e anche quel legame, lei lo sapeva bene, era stato tenuto in vita da Wendy, non da lei. Lei le aveva scribacchiato un biglietto, in risposta a due lunghe lettere, accennando all’imminente viaggio in Svizzera, e un’altra lunga lettera l’aveva raggiunta lì. Era piena di notizie sulle persone che un tempo avevano ruotato intorno alla sua vita, ma le cui azioni adesso non l’interessavano più. In un primo momento aveva pensato che come risposta sarebbe stata sufficiente una cartolina illustrata, ma poi, in un momento di autocritica, aveva deciso di scrivere una vera lettera.

Lo spirito del dovere l’indusse a sedersi con carta e penna e a scrivere le prime parole di saluto, ma non l’aiutò ad andare oltre. La bizzarria di quanto stava accadendo lì, pensò, le impediva di parlarne. Raccontare di essere rimasta isolata da una valanga sarebbe stato abbastanza facile, ma poi andare avanti e dire il resto… un bambino apparentemente morto e poi risorto, la madre impazzita che aggrediva l’altro figlio, il padre che sembrava essere stato contagiato da quella pazzia, e tutti e tre che vagavano chissà dove, sulla neve, tra la nebbia… L’assurdità, l’irrazionalità di tutto ciò l’esasperava. Le lettere dovevano parlare di cose normali, come era normale la vita. Jane posò la penna con un sospiro d’irritazione.

In quel momento Douglas arrivò dal bar, e Jane si girò verso di lui, con un senso di sollievo. La lettera poteva aspettare fino a quando tutto fosse finito: allora lei avrebbe potuto narrare la storia brevemente, con ordine, in mezzo a molte banalità, possibilmente riducendo anche quella al livello di banalità. Accolse Douglas serenamente, prima di notare la sua espressione tesa, preoccupata. Lui chiese, concitato:

«Ha visto Peter?»

«Peter? No. Perché?»

«Sembra che sia scomparso.»

Solo dopo qualche istante Jane afferrò i possibili sottintesi di quella frase.

«Non vorrà dire…? Andato con i Deeping?»

«Mandy credeva che fosse sceso a dare un’occhiata alla caldaia. Ma secondo Marie, lui avrebbe detto che usciva a prendere dell’altra legna.»

Jane si alzò. «Vengo anch’io a cercarlo.»

Diana, Elizabeth e Stephen erano di sopra, a quanto pareva. Trovarono gli altri in cantina, vicino alla caldaia. George stava parlando con Marie:

«Ve l’avevo detto a tutti e due di restare in casa. Te lo ricordi, no?»

La ragazza piangeva. «Io non uscirò. Glielo prometto, monsieur. Ma non posso dire a Peter quello che deve fare o non fare.»

«Accidenti, avresti potuto avvertire Madame che lui stava uscendo! Sì o no?»

«Ma era solo per andare a prendere la legna. È a dieci metri soli dalla porta. Io non ci andrei, ma per lui è diverso, lui è un uomo…»

«Da quanto?» Marie lo guardò, stordita, senza capire. «Da quanto tempo è uscito?»

«Io… io non so. Da circa mezz’ora. Io ero andata di sopra.»

George si girò di scatto verso Selby e Douglas. «Dovremo andarlo a cercare. Io, però, prendo il fucile. Aspettatemi qui.»

Mandy disse, mentre attendevano: «Qualche volta se ne va in giro. A modo suo è un po’ strano.»

Aveva il volto arrossato e la sua voce, anche se non era impastata, suonava imprecisa. A Jane passò per la mente che forse aveva bevuto e si rimproverò per quel pensiero impietoso. Dover cucinare e badare alla pensione e agli ospiti, con due soli servitori, era più che sufficiente per sfinire una persona e farla sembrare confusa, anche senza le attuali circostanze concomitanti.

Elizabeth scese insieme a George, e le altre donne, raggruppate insieme sulla porta, seguirono con lo sguardo i tre uomini che si allontanavano nella nebbia. George, prima di uscire, le avvertì di tenere la porta chiusa e sprangata fino al loro ritorno. Mandy tirò il catenaccio: poi andarono insieme nella dispensa, che aveva una finestra, per guardare. Le figure degli uomini stavano svanendo nella nebbia, e in pochi attimi scomparvero. Rimasero a guardare quella pesante curva grigia.

All’improvviso Mandy chiese: «E Steve?»

«C’è Diana, con lui,» disse Elizabeth.

«Si finisce per diventare così nervosi,» disse Mandy. Aveva l’aria turbata. «Devo correre di sopra, per star dietro al pranzo.»

Quando Mandy se ne fu andata, Elizabeth chiese: «Da quanto tempo se ne è andato, Peter?»

«Da circa mezz’ora, secondo Marie,» disse Jane.

«Allora può darsi che non gli sia accaduto nulla.»

«Sì.»

Ma attendere così, fissando la nebbia, le tendeva i nervi. Le sue orecchie, pensò, erano più attente degli occhi: era in attesa di un rumore… di uno sparo, per l’esattezza. Fu una scoperta sconvolgente, avere accettato che là fuori vi fosse un pericolo vero, un nemico. Quel pensiero le diede la nausea. Non solo per la paura, benché in quel momento fosse spaventata. C’era anche un senso di ripugnanza. Vedere negli altri un pericolo significava essere in qualche modo legata a loro.

Elizabeth chiese: «Sa se qualcuno ha sentito le previsioni meteorologiche alla radio?»

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