John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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La sua voce aveva un tono d’autorità militaresca. Doveva essersela cavata bene in guerra, pensò Selby. Una nullità prima, una nullità dopo: ma quando venivano i tempi della violenza, George doveva essere in gamba. Sebbene il tono fosse brusco, e le parole più un comando che un invito, Selby pensò che era inutile discutere o rifiutare. George tenne aperta la porta e Selby passò, seguito da Douglas. George estrasse una scatola di fiammiferi a accese la lampada sul tavolo. Guardando la scatoletta, prima di rimetterla in tasca, disse:

«Cominciamo ad essere a corto anche di questi. Be’, possiamo sempre cavarcela con dei pezzi di carta. Chiuda la porta, Douglas.»

Sedettero. George aveva preso un bicchiere dalla credenza. Vi versò dello Scotch, lo bevve, e ne versò dell’altro.

«Se volete qualcosa per buttare giù la cioccolata, prendetevi i bicchieri.» Poi fece una pausa. «Mi meraviglio di lei, Selby.»

Selby si appoggiò alla spalliera della sedia. «Davvero? E perché?»

«Spargere l’allarme e l’inquietudine tra le signore. Ha spaventato tanto la piccola Diana da farla tremare dentro a quelle mutandine di pizzo che probabilmente porta.»

L’aveva detto con leggerezza: ma la sfumatura d’acciaio — disprezzo, risentimento? — era ancora più evidente di prima. Selby disse:

«E cosa avrei dovuto fare, secondo lei? Dire che adesso ci sono due pazzi pericolosi invece di uno, là fuori, e che dovevano tornarsene a letto e non pensarci più? Era necessaria una specie di spiegazione, dato che ormai sapevano che i Deeping se n’erano andati.»

George disse: «Sarebbe bastato raccontare che Ruth era rientrata in casa insieme al bambino, aveva svegliato Leonard… e lui l’aveva seguita per tutta la casa, magari cercando di convincerla a tornare a letto…»

«E tutti e tre sono finiti per caso addosso a Douglas?»

«Be’, e perché no? Douglas gli ha parlato, e Leonard gli ha risposto di non preoccuparsi. Poi Douglas ha gridato, ha spaventato Ruth. Lei è corsa giù insieme al bambino, e Leonard l’ha inseguita. Giù in cantina, e poi fuori dalla porta che Ruth aveva lasciato aperta.»

Douglas protestò: «Ma non è stato…»

George l’interruppe. «Forse no. Ma lei avrebbe dovuto star zitto, non le sembra? A che serve spaventare la gente per nulla?»

Selby disse: «Innanzi tutto, lei sottovaluta l’intelligenza delle donne. È un’abitudine dei maschi di professione… sempre inopportuna, e qualche volta pericolosa.»

George arrossì leggermente, ma si controllò.

«E in secondo luogo?»

«Per il loro bene, e per la sicurezza di tutti… debbono rendersi conto che i Deeping, adesso, costituiscono una minaccia. O vorrebbe negarlo?»

Vi fu un silenzio. George disse: «Alle quattro del mattino, non me la sento di negare o di accettare niente. Questa è la seconda notte consecutiva che le donne sono state tirate giù dal letto a suon di urla.» Poi lanciò un’occhiata a Douglas. «Non è colpa di nessuno, ma si sentiranno sconvolte. La cosa migliore è calmarle e farle tornare a letto, e non spaventarle parlando di pericoli e di quello che sarebbe potuto accadere se Douglas non avesse gridato per chiedere aiuto.»

«Farle tornare a letto?» disse Selby. «Addormentate con le coperte ben rimboccate? E se i Deeping tornano, magari fra un’ora? Anche se spranga la porta e chiude la finestra della cantina… cosa impedisce ai Deeping di spaccare un vetro e di entrare?»

«Niente,» fece George. «Ma anche lei, in quanto a sottovalutare l’intelligenza, non scherza. Non so se i Deeping siano o no pericolosi per noi. Forse a Dulwich si comportano sempre così. Ma evidentemente non possiamo correre rischi. Un’altra ragione per cui vi ho chiamati qui è per decidere il modo migliore di organizzarci.» Lanciò un’occhiata tagliente a Selby. «Non so bene cosa voglia dire maschio di professione, ma non ritengo necessario coinvolgere le donne. È evidente che dobbiamo mettere qualcuno a montare la guardia, di notte. Stavolta ci penserò io. Poi… siamo in quattro, contando Peter. All’incirca, due ore a testa.»

Douglas disse: «Pensa che domani notte saremo ancora… be’, in questa situazione?»

«Forse no,» rispose George. «Forse domattina sentiremo suonare il campanello, e ci troveremo davanti i Deeping, completamente normali, che ci chiederanno del caffè bollente. O magari arriveranno i soccorsi da Nidenhaut.»

«Preferisco la prima alternativa,» disse Selby, «anche se ci trovo qualche pecca.»

«Davvero?» chiese George. «Cos’è che non le piace nella seconda?»

«I Deeping sono cambiati,» disse lentamente Selby. «Da diversi punti di vista. La temperatura corporea, il polso. E la resistenza al freddo sembra molto più spiccata. Ma hanno ancora certe limitazioni fisiche. Entrano furtivamente in una casa con normali metodi umani, e fuggono come farebbe un essere umano.»

George tirò fuori un pacchetto di sigarette, l’offrì a Douglas, che ne prese una. Poi fece scattare l’accendino. Mentre Douglas accendeva, disse:

«Che cosa sta cercando di dire, Selby… che non sono umani? E cosa diavolo significa?»

Aveva la voce ferma. E anche la mano. Ma Selby pensò di avere una spiegazione per il risentimento dimostratogli da George. Non era perché lui avesse spaventato le donne: quello era solo il pretesto. Lo sconvolgeva sentire esprimere il suo stesso terrore. George era un uomo che temeva ben poche cose nel mondo naturale, ma aveva paura del sovrannaturale. Ora che se ne rendeva conto, si sentì più comprensivo. Disse in tono blando:

«Non sto cercando di dire niente di speciale. Consideriamola una malattia contagiosa. Il fatto è che sono diversi, sotto alcuni aspetti.»

«Non dà troppe cose per scontate, Selby?» chiese Douglas. «Non ha accertato il polso e la temperatura di Ruth… solo del bambino. Lei sembrava gelata, d’accordo, ma era stata fuori a cercarlo. E di Leonard non sa niente: solo che è andato con loro… con sua moglie e suo figlio.»

«E la temperatura e il polso del bambino potevano essere collegati al collasso e al coma,» disse Selby. «È giusto. Forse ho ecceduto. Ma continuo a non essere particolarmente ansioso di vedere arrivare i soccorsi di Nidenhaut, per il momento.»

«Perché?» chiese Douglas.

Selby si alzò e andò alla credenza. Prese due bicchieri e li portò al tavolo. Guardò Douglas con aria interrogativa, e versò da bere per tutti e due. Poi disse:

«Perché, fino a quando noi siamo isolati dal resto del mondo, lo sono anche loro. Se la strada viene riaperta, possono portare il contagio a Nidenhaut. E da Nidenhaut…»

«Crede che potrebbe esserci un’epidemia?» chiese Douglas. «Non è…»

George l’interruppe. «Lei è bravissimo a far venire la pelle d’oca alla gente, Selby.» Aveva un tono pesantemente sarcastico. «Credevo che voi medici foste tutti forti e silenziosi. E abituati a tenere a freno l’immaginazione, anziché a lasciarla correre a briglia sciolta.»

Selby rispose amabilmente: «Lei ha in mente i medici con pazienti che si svegliano di notte con il mal di pancia e credono di avere un cancro. Il mio lavoro consiste nel realizzare i sogni, non nello scacciare gli incubi del desiderio di morte. Non ho nessun motivo di essere forte e silenzioso.»

«Oh, diavolo!» fece George. Prese la bottiglia e si riempì di nuovo il bicchiere. «Così non si approda a nulla. Propongo che voi due, e le signore, ve ne torniate a letto tutti quanti. Potremo riparlarne domattina.»

Selby pensò, George, lì solo con la bottiglia di whisky e la luce vacillante della lampada, e il cigolio e lo scricchiolio del legno nel vecchio chalet.

«Lei ha più da fare, di giorno,» gli disse. «Resterò io.»

«No!» Il suo tono era un po’ troppo enfatico. «Tocca a me, Selby.»

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