John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Ma c’è l’ipnotismo,» disse Douglas. «È più o meno la stessa cosa, no? Ed è ampiamente accettato.»

«L’ipnotismo,» disse Grainger, «è il mesmerismo, riveduto e corretto. Il fatto è che il mesmerismo comportava ciò che veniva chiamato rapport : la mente dell’operatore e quella del soggetto erano in stretto contatto: il soggetto era immerso in una trance profonda, ma anche l’operatore era immerso in una lieve trance. Alla professione medica moderna piace mantenere una distanza di sicurezza tra dottore e paziente: altrimenti, di quale autorità potrebbe disporre il fratello più debole? Perciò Braid ideò un metodo per ottenere alcuni dei fenomeni mesmerici a mezzo di un controllo a distanza. Scoprì che se si metteva un oggetto luminoso davanti agli occhi di un soggetto e si faceva in modo che questi lo guardasse fissamente, cadeva in qualcosa di simile a un sonno mesmerico. Allora lo si poteva dominare a mezzo della suggestione, indurre l’analgesia, cose del genere, insomma: ma niente che avesse a che fare con la telepatia e la chiaroveggenza… troppo assurde. E soprattutto, escogitò un nome nuovo, derivato da una rassicurante radice greca, come tutti i termini scientifici.»

George fece, irritato: «Non capisco cosa c’entri tutto questo con Ruth e il bambino.»

«Stavo parlando delle mie concezioni personali,» disse Grainger. «Sono convinto che la medicina moderna sia molto efficiente per quanto riguarda la struttura del corpo, ma non altrettanto per quella della mente; ed è decisamente inadeguata circa i rapporti tra l’uno e l’altra. Chiedo scusa se vi ho annoiati, ma cercavo di spiegare perché, pur essendo un medico, in questo caso mi senta frastornato. La mia specializzazione medica è esclusivamente fisica. Non mi sono mai occupato molto della psicologia, perché diffido delle sue premesse.»

«È giusto,» fece Douglas. «Ma è stato lei ad affermare che il bambino era morto, e a dire che dal punto di vista medico era certo che non poteva sopravvivere a lungo là fuori.»

«Non è una cosa straordinaria. Siamo tutti condizionati dalla normalità. Una catalessi di quel tipo è molto rara. Anche sopravvivere per parecchie ore in una gelida notte d’inverno è un caso raro, specie quando il soggetto è un bambino scalzo e in pigiama. Di solito, non si va in cerca dell’eccezionale. Si aspetta di averlo sotto al naso, e poi uno se lo dimentica, o gli trova una spiegazione qualsiasi, al più presto possibile. Ho conosciuto uno psichiatra freudiano che una volta aveva visto uno spettro. Naturalmente lo aveva spiegato: un gioco di luci e di suoni che avevano dato origine a un’allucinazione… Tuttavia aveva l’onestà di ammettere che per alcune ore, fino allo spuntar del giorno, aveva creduto che quanto gli era parso di vedere fosse una realtà. Quando aveva avuto ragione? Quando aveva avuto il tempo di organizzarsi una difesa e di razionalizzare il tutto, oppure subito dopo l’esperienza?»

«Gli spettri,» disse George. Versò ancora da bere, per sé e per gli altri. Douglas coprì con la mano il proprio bicchiere. «Senta, Selby: tutto quel che vogliamo sapere da lei è questo… che cosa diavolo sta succedendo?»

Grainger prese il bicchiere, lo fissò, bevve qualche piccolo sorso e schioccò le labbra.

«Bere nel pomeriggio,» osservò, «dà un frisson tutto suo. Che cosa sta succedendo? Be’, qualcosa di strano.»

«Cristo! Questo lo sappiamo.»

«E se qualcuno ne sa di più, allora riconosco la mia inferiorità.»

Quell’umiltà era esasperante: Douglas si rese conto che lo irritava, e George era un tipo ancora più irascibile. Disse:

«Finora lei ha parlato molto, ma non con un riferimento preciso alla situazione, no? Pensa che non dovremmo far niente… neppure andare a cercarli?»

«No, dobbiamo andare, invece, e prima che venga buio. Anzi, non appena avremo finito di bere, credo che dovremmo muoverci.» Indicò con il capo la finestra. «Il sole è ormai vicino al Grammont. Viene la notte, quando gli uomini non possono lavorare.»

Douglas uscì insieme agli altri. Ripercorsero i lunghi pendii innevati, segnati, come aveva detto George, dalle tracce delle ricerche precedenti. Il panorama aveva una sua strana bellezza. I raggi quasi orizzontali del sole investivano un paesaggio appesantito dalle ombre, ricco di una malinconica grandiosità. I picchi lontani, su cui stava librato il disco solare, erano di un candore dai riflessi d’oro, e un oro più carico tingeva la fitta lanugine del banco di nubi che copriva tutto il fondovalle e il lago. Il senso d’isolamento che si provava stando lassù era più intenso: si vedeva lo splendore lì e sull’orizzonte lontano, e l’aureo tappeto che copriva un mondo più buio situato in mezzo. Più buio, ma più umano.

Il sole scese dietro i picchi, la luce svanì dal cielo, e George, agitando le braccia, li richiamò per rientrare nello chalet. Le nubi sopra la valle erano di un grigio denso e minaccioso, e più alte, pensò Douglas, come se salissero per inghiottirli. Si sentiva stanco e depresso. Non avevano visto traccia di Ruth e del bambino. Li avevano chiamati, come aveva fatto l’altro gruppo, e avevano udito le proprie voci echeggiare esili sopra la neve. Lontano si muovevano le figure minuscole, in un grande vuoto. Dopo i primi cinque o dieci minuti, lui aveva rinunciato alla speranza di ritrovare quei due.

Si radunarono in un’atmosfera tetra. Mandy faceva il giro dello chalet, accendendo le lampade a petrolio. All’inizio gli erano sembrate simpatiche, ma adesso si rendeva conto della loro insufficienza, delle ombre che lasciavano negli angoli. George riaprì il bar, e fu raggiunto da Deeping, dai Grainger e da Diana. Douglas, che non se la sentiva di bere, andò in salotto dove, almeno, c’era un fuoco allegro. Jane lo accompagnò e sedette di fronte a lui. Non prese un libro: continuò a guardare il fuoco, con le mani posate sulle ginocchia. Due luci le rischiaravano il volto: quella del fuoco e quella della lampada. Aveva un viso buono, pensò. Era un peccato che la bontà contasse così poco, in una donna.

«Immagino,» disse Douglas, «che forse Ruth tornerà indietro, quando farà buio.»

«Sì.»

«Se troverà la strada.»

Jane rabbrividì. «È orribile pensare che siano là fuori. Orribile.»

«Riesce a immaginare perché…» Douglas s’interruppe. «Voglio dire, avrei capito se non avesse ritrovato il bambino, se fosse ancora sconvolta dall’angoscia. Ma così…»

«Qualche volta ci sono delle discronie.» La voce di Jane era asciutta e concentrata, come se lei ripensasse a qualcosa che sapeva da molto tempo, ma che non aveva mai compreso perfettamente. «Ci si sveglia e ci si rende conto che è accaduto qualcosa di orribile, e che sul momento non lo si è capito: ma è accaduto, e dopo niente potrà più tornare come prima.»

«Ma Ruth aveva con sé il bambino. Lo aveva ritrovato, vivo e in buone condizioni.»

«Sì.» Jane annuì. «Questo è vero.»

Douglas attese che proseguisse, ma lei tacque. Non aveva parlato tanto di Ruth, pensò lui, quanto di se stessa. Aveva subito la perdita di una persona cara. Era una donna, pensò, capace di una devozione duratura e costante. Doveva essere stato sconvolgente perderne l’oggetto dopo pochi anni di matrimonio.

A quel pensiero, il silenzio tra loro divenne imbarazzante. Douglas cercò di pensare a qualcosa da dire, ma le parole e le frasi gli turbinarono vuote nella mente, banali e offensive nello stesso tempo. Si disse che avrebbe fatto bene a tacere e poi provò l’impulso irresistibile di parlare.

«Noi tutti dovremmo abituarci all’idea dell’impermanenza. Dovrebbe esserci una punizione, quando cerchiamo di trasformare le cose transeunti in durature.»

«Davvero?» chiese lei. «E quali sono le cose transeunti, tra l’altro?»

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