Douglas non sapeva quale reazione si aspettasse da lei: ma si rese conto che quella era in effetti l’unica reazione possibile da parte di Caroline. Lei non aveva consentito e non si era irritata. Gli aveva detto, ed era la verità, che gli dedicava tutto il tempo che poteva. In futuro le cose potevano cambiare, ma nessuno poteva averne la certezza. La vita era troppo imprevedibile.
In quel caso, aveva detto lui, era meglio farla finita subito. Lei aveva sorriso, tristemente, e aveva detto: «Come credi.» C’era stato un silenzio, non imbarazzante ma opprimente, un peso sulla mente e sul corpo. Sopra la mensola, l’orologio a quattrocento giorni di carica continuava a far girare le piccole sfere d’ottone, in senso orario e antiorario, scandendo i secondi divenuti improvvisamente più lunghi. «Le tre,» aveva detto Caroline. Il suo sorriso era malizioso, stavolta. «Il mio treno non parte che alle sei.» Non gli era mai sembrata più desiderabile. Douglas aveva detto: «C’è un diretto per Waterloo alle tre e mezzo.» «Bene,» aveva detto lei, senza smettere di sorridere, «Mi accompagni tu alla stazione, o debbo andare da sola?»
Lui le aveva telefonato tre settimane dopo, infrangendo la proibizione. Si era sentito la bocca arida, e parlandole non riusciva a trovare le parole. Caroline non si era arrabbiata. Anzi, sembrava compiaciuta, benché parlasse solo a frasi brevi, impersonali. Lo aveva interrotto, dicendogli che l’avrebbe richiamato lei quando avrebbe avuto tempo.
Lo aveva chiamato la mattina dopo. Poteva vederlo a Londra, per il week-end. Fissarono il luogo e l’ora. Douglas la portò nel suo albergo, e fecero l’amore. Lui cercò di spiegarsi, di scusarsi, ma lei gli chiuse la bocca con la mano. Non c’era niente da spiegare, insistette. Niente da discutere.
C’era stata un’altra crisi l’anno in cui Rodney era andato via, a scuola. Ebbe lo stesso andazzo, ma lui attese solo due giorni, questa volta, prima di telefonarle. E l’anno dopo non l’aveva neppure lasciata andar via: l’aveva rincorsa per la strada, stupidamente, come uno studentello. Ora che ci ripensava, era stupito del livello di banalità cui l’aveva ridotto la relazione con lei. E adesso l’assurdità finale, il viaggio in Svizzera per andare a sciare! Mentre si rialzava, forse per la ventesima volta, cominciò a sganciarsi gli sci con le dita intirizzite.
Jane lo chiamò: «Rientra?»
Douglas alzò la testa. «Sì.»
«Anch’io ne ho avuto abbastanza.»
Tornarono insieme verso lo chalet, e misero gli sci nella rastrelliera. Era consolante pensare, rifletté Douglas, che al mondo c’erano ancora donne simpatiche e attraenti. Era una consolazione e una sfida. Piombando nell’infelicità, si interrogò su di un aspetto del suo futuro. Prostitute? Relazioni tempestose con qualche dattilografa? Oppure una moglie? Una donna adatta a lui, di bell’aspetto, ragionevole, non troppo giovane. Una donna come Jane. Le vedove giovani e belle erano sempre state considerate molto adatte, no?
La porta si aprì prima che la raggiungessero. Era Mandy, ansimante, sconvolta.
«L’avete vista? Ruth?» domandò.
«No. Perché.»
«Credo che sia impazzita. E anche il bambino.»
L’evidente confusione di Mandy lo fece sentire confuso a sua volta, e smarrito. Fu Jane a prendere in pugno la situazione. Disse, calma:
«Ci racconti cos’è successo, Mandy.»
Douglas ascoltò, e capì che Ruth era impazzita, o quasi, il che non era del tutto sorprendente. Ma nel comportamento di Andy c’era qualcosa che non aveva senso. Ruth aveva lasciato lo chalet e l’aveva portato con sé? Be’, sì probabilmente era così. Jane, volgendosi verso di lui, disse in tono energico:
«Io resto con Mandy. Lei può chiamare gli altri? Selby, almeno.»
Douglas annuì. «Sì, certo.»
Gli altri arrivarono quasi subito. Diana alle calcagna di Grainger, ed Elizabeth una ventina di metri più indietro. Aveva il volto acceso dall’aria frizzante e dal movimento e, pensò lui con distacco, era molto carina.
«Il tè?» Lei si tolse il berretto e scrollò i riccioli scuri. «Mi sembra un po’ presto.»
Douglas parlò a Grainger: «Altri guai, purtroppo. Con Ruth. Non so bene cosa sia successo.»
Jane era con Mandy in salotto, e c’era anche Deeping. Lui aveva un’aria desolata: tutta la presunzione e la sicurezza era svanite. Benché quell’uomo non gli fosse simpatico, Douglas provò pietà per lui. Un’altra brutta storia.
Grainger chiese, in tono autorevole: «Dunque, Mandy. Ci racconti: cos’è successo?»
George entrò mentre lei parlava. Quando ebbe finito, disse:
«Ho visto Marie. È con Steve. Stanno bene tutti e due. Un po’ sconvolti, ma sani e salvi.»
Diana disse: «Io li ho visti. Salivano la montagna, dietro allo chalet. Ho pensato che… be’, che stessero solo facendo una passeggiata.»
«Faremmo bene ad andarli a prendere,» disse George.
Grainger alzò una mano. «Fra un momento. Mandy, che aria aveva Ruth? Che espressione?»
«È difficile descriverla. Vuota, vacua… eppure come se volesse… non so che cosa.»
«Senta,» disse George, «a questo può pensare dopo. Adesso l’importante è trovarli e riportarli qui, prima che si facciano del male. Ruth ha con sé il bambino, dopotutto.»
Grainger disse: «Io voglio sapere prima che cosa cerchiamo.»
George ribatté, spazientito: «Una donna cui ha dato un po’ di volta il cervello, logicamente.»
«E il bambino?»
«Ruth l’ha portato con sé. Anche questo è comprensibile. Ma per lui è pericoloso.»
Grainger si rivolse a Mandy. «Ma non è esatto, no? Ruth non lo ha portato con sé. C’è andato da solo. E che espressione aveva, lui?»
Mandy chiuse gli occhi, come per non vedere qualcosa. Rispose a voce bassa.
«La stessa di Ruth. Vacua, e come se volesse qualcosa.»
«Te lo sei immaginato,» le disse George. «Dopotutto, li hai visti solo per un momento. Poi Ruth si è precipitata fuori, e il bambino l’ha seguita. È logico.»
Grainger chiese: «Crede di averlo immaginato, Mandy?»
Lei scosse il capo senza dir nulla. George sbottò:
«Sentite, non ha senso!»
Mandy disse: «Mi chiedevo…»
«Cosa?»
«Se poteva essere una malattia… che Andy ha preso per primo, e che Ruth ha preso da lui.» Guardò Grainger. «È possibile?»
«In teoria sì. D’altra parte, i sintomi non corrispondono a nessun genere di malattia che io conosca. E come possono entrarci il collasso e il coma del bambino?» Tacque un istante. «Vorrei vedere Marie. E Steve.»
«Vado a chiamarli,» disse Mandy.
George disse: «Io non ho il suo interesse professionale, Selby.» Le sue guance erano chiazzate di rosso. «Io esco con Peter, a cercare Ruth e quel povero bambino. Viene anche lei, Len?»
«Sì,» disse Deeping. «Vengo.»
Grainger osservò, con calma: «Basterete voi tre, credo. Se riuscirete a trovarli.»
«E perché diavolo non dovremmo riuscirci?»
«Pensavo all’altra volta. C’è voluto parecchio per ritrovare il bambino. Anzi, non l’abbiamo affatto ritrovato. È ricomparso insieme a Ruth.»
«E cosa potrebbe significare?»
«Non lo so.» Grainger aveva un’espressione cupa. «Vorrei saperlo.»
Se George gli avesse chiesto di andare con lui, Douglas avrebbe accondisceso. Ma George si precipitò fuori dal salotto, senza guardare in faccia nessuno. Deeping lo seguì ma, date le circostanze, Douglas non si sentiva di fare altrettanto. Come aveva detto Grainger, in tre avrebbero dovuto riuscire a trovare la donna e il bambino, in pieno giorno. E gli interessava vedere cosa cercava di scoprire Grainger. E c’era anche di mezzo una certa disaffezione personale: per il momento ne aveva avuto abbastanza, della neve.
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