«No!» Nella voce del bambino c’era una sfumatura di spavento. «Per favore, resti qui.»
«Come vuoi. Però dovrai prepararti in fretta, perché ho tante cose da fare, giù.»
«Farò prestissimo,» promise lui, di slancio.
Mentre il bambino si vestiva, Mandy guardò fuori dalla finestra. Le cime lontane erano nitide, bianche contro l’azzurro, ma ad una quota più bassa cominciavano a formarsi le nuvole, che si addensavano nella valle sotto di loro. Laggiù doveva essere una giornata grigia e cupa.
«È meraviglioso che sia tornato Andy, no?» disse.
«Sì.» La voce di Stephen era indistinta.
«Qualche volta succede. Agli animali e agli uccelli, oltre che alla gente. Ricordo che una volta andai a fare una passeggiata con mio padre. Era una giornata fredda, d’inverno. Trovai uno scricciolo, sul ciglio del sentiero, con le zampette all’aria, irrigidito. Me lo misi in tasca… volevo seppellirlo, arrivata a casa. Ma poco prima di arrivarci, sentii qualcosa che si agitava nella tasca, ed eccolo lì, era vivissimo. Lo tirai fuori, e lo scricciolo mi beccò le dita e volò via.»
Ricordava la felicità che aveva provato: la sensazione di avere donato calore e vita, come se una parte di lei si fosse trasfusa in quella piccola creatura, si fosse involata su quelle ali improvvisamente rinate. Ci pensò, con rinnovata gioia. Non le dispiaceva pensare a quei giorni. Erano così lontani. E non avevano tradito nessuno, fatto soffrire nessuno.
Si voltò. Stephen era vestito e cercava di pettinarsi, guardandosi nello specchio sopra il lavabo, con il volto chiuso nella concentrazione e nella frustrazione. Mandy si sentì commossa.
«Lascia che ti aiuti, Steve.» Lui lasciò fare, paziente. «Ecco. Stai benissimo. Adesso andiamo a vedere la tua mamma e Andy, prima di scendere.»
Il bambino scosse il capo. «Preferisco di no.»
«Bene, allora andiamo a fare colazione.»
Quando arrivarono al ballatoio del primo piano, Mandy sentì un rumore e alzò la testa. Ruth li guardava dall’alto. Sembrava stanca: i suoi occhi tradivano lo sfinimento e una sorta di vuoto.
«A Steve pensiamo noi,» disse Mandy. «Lei vada a letto e cerchi di riposare.»
Dopo gli allarmi e le ricerche con cui era incominciata, la giornata stava tornando alla normalità… per quanto poteva essere normale l’isolamento dal resto del mondo. George organizzò una sortita per andare a vedere se avevano incominciato a riaprire la strada di Nidenhaut. Prese gli sci e condusse con sé Grainger e Diana, che all’ultimo momento aveva insistito per accompagnarli. Grainger chiese a Elizabeth, che era finalmente scesa, se non voleva andare anche lei, ma quella scosse il capo, nascondendo uno sbadiglio.
«Sono ancora troppo stanca. Se riuscite ad arrivare fino al villaggio, portami qualche florentine dalla pâtisserie. Ne ho una voglia pazza.»
«Niente da fare.» Grainger guardò la moglie con aperta, immutata ammirazione. «Stai ingrassando troppo.»
Elizabeth gli sorrise, al di sopra della testa di Diana, tanto più piccola di lei.
«Tesoro, sai bene che io sono la tua figura materna.»
All’ora di pranzo, i tre tornarono a riferire quel che avevano scoperto. La strada era ancora completamente ostruita, e la curva della parete rocciosa aveva impedito loro di vedere come andavano le cose più a valle. George aveva provato ad avventurarsi sul pendio formato dalla valanga, per vedere se era possibile attraversarla, ma la neve aveva cominciato a scivolare e lui aveva rinunciato al tentativo. Mandy, ascoltandolo, si sentì nel contempo sollevata e irritata. George si esponeva sempre troppo.
Douglas Poole chiese: «Non avete sentito nessun movimento dall’altra parte?»
«No,» fece George, scuotendo il capo con enfasi. «Non dall’altra parte. Si sentivano dei rumori, come se sgombrassero la neve, ma era molto lontano. Probabilmente c’è almeno un altro tratto di strada da liberare, prima di arrivare a questo.»
Deeping osservò: «Dunque siamo bloccati qui indefinitamente.»
Il solito tono burbero, scomparso dopo il collasso di Andy, il giorno innanzi, era ricomparso nella sua voce. George lo guardò irritato e disse:
«Sì. Per fortuna siamo ben provvisti di viveri. E di buona compagnia. A proposito, Ruth e Andy non scendono a pranzo?»
Mandy disse: «No, Andy dorme ancora, e Ruth vuol restare con lui. Dice che non ha fame. Terrò da parte qualcosa anche per loro.»
Deeping disse, con voce querula: «Neanch’io ho molta fame. Una notte insonne mi sconvolge sempre lo stomaco. Non prendo il dolce, Mandy. Solo il caffè.»
Mandy sospirò. «Ecco un’altra cosa. Dovremo stare attenti, se ancora non hanno sgombrato la strada. Caffè al mattino e dopo cena, ma dovremo rinunciare a berlo dopo pranzo, purtroppo. Per fortuna, non siamo a corto di tè.»
Deeping si alzò da tavola. «Io avrei preferito il caffè,» disse, «ma immagino che non possiamo farci niente.»
«No,» disse George. «Proprio niente. A proposito, le ho fatto il conto fino a ieri pomeriggio. Da allora, vitto e alloggio sono a carico mio.»
Deeping lo guardò arrossendo. «Non è necessario. Posso pagare.»
«Non ci pensi,» disse George.
Quando lo trovò solo, più tardi, Mandy disse: «Sei stato scortese con lui, George. Ha passato dei gran brutti momenti nelle ultime ventiquattro ore, con Andy e Ruth.»
«Non parlarmi di quel bastardo. ‘Io avrei preferito il caffè’. L’unica persona per cui si preoccupa è Len Deeping.»
Mandy gli fece segno di tacere: Stephen era fermo sulla soglia della cucina. «Che c’è, Steve?»
«Le dispiace se scendo, Mrs. Hamilton, a giocare alle corse?»
Il gioco delle corse era un vecchio Escalado, che veniva tenuto insieme ad altri, per far passare il tempo durante le brutte giornate, in una stanza della cantina che veniva chiamata, con un certo ottimismo, sala-giochi.
«Ma certo,» fece lei. «Sei capace di montarlo?» Il bambino annuì. «Non restare troppo laggiù, o prenderai freddo. C’è solo un piccolo termosifone.»
E quello era il motivo principale per cui la sala giochi veniva poco usata durante i mesi invernali. Come aveva fatto altre volte, Mandy disse a George: «Dobbiamo provvedere a migliorare il riscaldamento, prima dell’inverno prossimo.»
«La caldaia è già spinta al massimo. È più importante tenere calda la parte superiore dello chalet.»
«Avremmo dovuto mettere una caldaia più grande.»
«Il guaio è che siamo a corto di capitali. E per il momento non guadagnamo molto, specie adesso che per dignità non faccio pagare niente ai Deeping, e gli ospiti che avrebbero dovuto prendere il loro posto stanno rimpinguando le tasche al vecchio Mueller, al Buffet de la Gare, a Nidenhaut. Forse dovremmo mandare un cablogramma a zia Mandy.»
Lei sorrise a quell’abituale battuta scherzosa, l’unica allusione al suo mondo americano che loro due si permettevano normalmente. Zia Mandy, sposata a diciannove anni con un ricco proprietario di miniere di carbone, e ormai vedova da quasi cinquant’anni, aveva scritto una lettera alla nipote che portava il suo stesso nome, quando aveva saputo che aveva abbandonato il marito per mettersi con George. Era una lettera lunga, ma più in tono affaristico che moraleggiante. Zia Mandy aveva elencato le sue proprietà, le aveva valutate, ed era arrivata alla somma di trecentoventiduemilasettecentocinquanta dollari. Era il patrimonio che, nel precedente testamento, aveva lasciato alla cara nipotina Mandy. Era stato sostituito, però, da un nuovo testamento, spiegava la zia con un linguaggio raffinato e poco americano, acquisito dall’Accademia per Signorine di Miss Hudnut, a Boston. E desiderava informare Mandy che in questo il suo nome non figurava.
«Ti dispiace essere povero?» chiese Mandy a George.
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