John Christopher - I possessori

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Lo dia a me,» disse. La sua voce era pesante, impastata, forse nella calma plumbea che succedeva alla tensione. «Adesso posso occuparmene io.»

Mandy aveva toccato il volto del bambino.

«È così freddo!» disse. «Lo porti vicino al fuoco. Spingi avanti il divano, George. Dobbiamo scaldarlo.»

«Sto benissimo,» disse Andy. «Non ho freddo.»

Sentirlo parlare non era meno straordinario che vederlo. Mandy ricordò la figuretta bianca, apparentemente morta, del giorno innanzi, e non riuscì a ricollegarla al bambino che si vedeva davanti, vivo. Sebbene fosse così freddo, non rabbrividiva. Mandy si voltò a guardare gli altri.

«Ma dov’era? Come avete fatto a trovarlo?»

George rispose, in tono esuberante: «L’ha trovato Ruth. Erano seduti vicini, sulla neve, quando ci siamo imbattuti in loro. Erano appena oltre la valanga.»

«Ma avevamo già guardato, là!» disse Jane. «Abbiamo cercato dappertutto, questa mattina.»

Grainger fissava il bambino, ed era profondamente perplesso. Era una bella lezione per i dottori, pensò lieta Mandy. Lui aveva detto che il bambino doveva essere morto. Ma anche i medici sbagliavano. Probabilmente lui era un po’ irritato. Ma anche loro sbagliavano. La vita aveva ancora le sue sorprese. Si sentì di nuovo gli occhi pieni di lacrime.

«Quel piccolo birbante si era sepolto nella neve, a quanto pare,» disse George. «Ecco come ha fatto a resistere. Sotto una bella coltre di neve. E aveva con sé le provviste, così non gli è mancato il nutrimento.»

«Ma perché?» chiese Jane. «Perché è uscito nella neve? Che cos’è successo?»

Con voce inespressiva, Ruth disse: «È stato lo choc, credo. Ha ripreso i sensi in cantina e si è trovato solo. Non sapeva quel che faceva. Suppongo che l’ultima cosa che ricordava fosse che lui era là fuori, vicino alla valanga. Ed è tornato là. Era in preda allo choc, capite.»

Grainger disse: «Ma non fino al punto di dimenticare di prendere un cesto e di riempirlo di provviste, prima di andarsene.»

«Non c’è limite a quello che si può fare, quando si perdono i sensi,» disse George. «Ho conosciuto un tale che riportò alla base un Lancaster con due motori fuori uso e tre quarti dei comandi saltati. E non ricordava niente, dopo che la contraerea l’aveva colpito sopra Berlino.»

«Non è la stessa cosa,» disse Grainger, sottovoce. «Quello continuava un’azione di routine.»

«Non proprio di routine.»

«O almeno, non era una cosa irrazionale. Ruth, sarebbe bene che io gli dessi un’occhiata.»

Ruth pareva riluttante a staccarsi dal bambino: era naturale, pensò Mandy. Si ricordò all’improvviso che aveva avuto intenzione di preparargli qualcosa di caldo e di nutriente. Aveva in serbo ancora un paio di uova. Sbattute con latte caldo, e un po’ di brandy… Sgattaiolò via mentre Grainger si avvicinava al bambino.

Quando lei tornò con la bevanda, Grainger stava terminando la visita. Era accigliato, come se cercasse di risolvere un problema in una lingua poco nota. Mandy gli passò davanti e porse il bicchiere al bambino.

«Cerca di buttarlo giù tutto,» disse. «Non è troppo caldo. Dopo ti sentirai meglio, vedrai.»

Il bambino bevve, obbediente. Grainger disse:

«Il polso è lento, il battito cardiaco anche. Ed è incredibilmente freddo.» Si rivolse a Ruth. «Credo che dovremmo metterlo subito a letto e tenercelo. Mi piacerebbe avere qui qualche collega, per dargli un’occhiata.»

«Adesso sta bene,» disse Ruth. Parlava con voce incolore, ma convinta. «Mi occuperò io, di lui.»

Mandy disse: «Lo so. Ma starà meglio nel suo letto, no? Ecco, ha bevuto tutto. Va un po’ meglio, Andy? George lo porterà di sopra.»

«No,» disse Andy. Anche la sua voce suonava strana, ma era logico, dopo tutto quello che aveva passato. «Posso camminare da solo, grazie.»

«Se te la senti…»

Il bambino prese la madre per mano: uscirono insieme dalla stanza. Mandy disse a Ruth:

«Le porterò su qualcosa da bere.»

«Non si disturbi.» La donna diede un’occhiata a Deeping, che li seguiva. «Lo condurrò su e ci sdraieremo un po’. Abbiamo soprattutto bisogno di riposo.»

Deeping esitò, poi annuì: «Sicura che non ti occorre altro?»

«Sicura.»

Madre e figlio salirono, lentamente, come se fossero molto stanchi. Dovevano esserlo davvero, pensò Mandy. A Ruth, qualunque cosa ne dicesse lei, avrebbe fatto bene qualcosa di caldo. Una tazza di tè, magari con un goccio di rum.

Tornò in cucina e preparò il tè. Il bricco sobbolliva ancora sulla stufa. Mentre aspettava che il tè venisse pronto, bevve rapidamente un sorso dalla bottiglia con l’etichetta dell’aceto che teneva dietro al barattolo dello zucchero vanigliato. La rimise a posto un attimo prima che arrivasse Marie. Riscaldata e rasserenata, disse alla ragazza di farsi dare un po’ di rum da Monsieur, versò il tè, aggiunse una dose generosa di liquore, e le diede la bottiglia da riportare a George.

Decise di portare lei stessa il tè a Ruth. Stava salendo la seconda rampa di scale, quando sentì la voce di un bambino risuonare acuta, allarmata. Non la voce di Andy, però… di Stephen. Si affrettò, rovesciando un po’ di tè sul piattino. La porta della camera dei Deeping era socchiusa, e lei poté rendersi conto della lotta che si svolgeva nell’interno. Spinse l’uscio con il gomito. Andy e sua madre erano ai lati di Stephen e lo tenevano fermo; anzi Ruth era china come se lo respingesse sul letto da cui tentava di alzarsi. I due si girarono a guardarla quando lei entrò, muovendosi stranamente all’unisono. Lasciarono Stephen, che subito si buttò giù dal letto e corse pazzamente verso Mandy. Le urtò lo stomaco con la testa e la strinse, singhiozzando.

«Su, piano, piano,» disse lei. «Mi fai rovesciare tutto il tè.»

Sopra la testa del bambino, passò la tazza a Ruth che la prese tenendo gli occhi inchiodati su Stephen. Ruth disse:

«Si è svegliato all’improvviso, e si è spaventato.» La voce era aspra, tesa. «Vedendo Andy… deve aver pensato…»

«Poverino,» disse Mandy. Gli accarezzò la testa, per consolarlo. «Ma Andy sta bene, sai. Non devi preoccuparti. Nessuno ha più motivo di preoccuparsi.»

Stephen mormorò qualcosa d’incomprensibile contro il suo grembiule. Mandy si chinò su di lui, gli prese gentilmente il viso tra le mani. Il bambino alzò la testa, prontamente. Come se fosse rassicurato da ciò che vedeva, disse:

«Voglio scendere con lei. La prego, Mrs. Hamilton.»

Mandy guardò Ruth. «Credo che ormai si possa alzare, no? Ha dormito abbastanza.»

«Sì, abbastanza.» Ruth tese le mani verso il bambino. «Lo manderò giù quando si sarà lavato e vestito. Grazie per il tè.»

«No!» esclamò Stephen. Si girò verso la madre, tenendosi stretto a Mandy. «Non voglio stare con te.»

Ruth sembrava soprattutto incollerita. E anche questo era comprensibile. Dopo quello che aveva passato per il figlio minore — crederlo morto, e poi scomparso, e infine ritrovarlo nella neve — doveva avere i nervi a pezzi. Ma anche per il piccolo Stephen era stato terribile. Il fratellino morto, la madre impazzita per il dolore, e poi scoprire Andy accanto al letto che lo toccava… Andy che era sempre stato il preferito.

Mandy disse a Ruth: «Si riprenderà, non appena si sarà svegliato del tutto. Ma mi occuperò io di lui, mentre lei mette a letto Andy. I vestiti sono nella stanza accanto, no?»

Ruth fissò lei, poi il bambino, poi volse le spalle a entrambi. «Va bene.» La sua voce era fredda. «Allora lo lascio a lei.»

Passarono nella stanza che era stata dei bambini, e Mandy chiuse la porta. Ricordando il pudore dei ragazzini in età prepuberale, gli disse:

«Là ci sono i tuoi vestiti, Steve. Vuoi che ti lasci solo mentre ti vesti e ti lavi? Io scenderò a prepararti qualcosa per colazione.»

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