John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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Si svestì in fretta e si mise a letto. Era un piacere voluttuoso sentirsi addosso il tepore e il peso delle coperte; e poiché si sentiva anche invasa da un’ondata di sonnolenza e di stanchezza, pensò che sarebbe riuscita ad addormentarsi. Ma, come aveva sospettato, il caffè l’aveva svegliata del tutto. Più volte scivolò sull’orlo dell’oblio, per poi ritrovarsi completamente desta. Quando guardò l’orologio e si accorse che era già passata quasi un’ora da quando era tornata a letto, riconobbe l’inevitabile, si mise seduta e prese il libro.

Dall’esterno giungeva di tanto in tanto qualche rumore: qualcuno che si muoveva. Poi dei passi, davanti alla sua porta, diretti verso il bagno. Il libro che stava leggendo era del genere che le piaceva, ma che di quei tempi sembrava una rarità: parlava di gente simpatica in una prosa piuttosto gradevole. Jane giudicò un po’ strano il fatto che le interessassero le azioni di quei personaggi fittizi, non quelli veri. Ma forse i fittizi erano più simpatici: e in quella categoria collocava anche se stessa.

All’inizio non fece molto caso, quando fuori l’attività crebbe e diventò più rumorosa… qualcuno che alzava la voce, che correva. Ma poco a poco, un senso di urgenza si comunicò anche a lei. Scese dal letto, infilò vestaglia e pantofole e aprì la porta. Douglas stava salendo le scale, e lei lo chiamò.

«Cosa c’è? Hanno trovato il bambino?»

Di solito, Douglas aveva qualcosa del ragazzo — snello e bruno, con la pelle chiara ed i capelli ondulati — e anche adesso, sebbene fosse teso, l’impressione non era diversa. Sembrava ancora un ragazzo, ma preoccupato. Quando Jane lo chiamò si fermò, alzò la testa.

«No,» disse. «Non hanno trovato il bambino. Ma adesso abbiamo perso Ruth.»

V.

Ruth non volle saperne di spogliarsi di nuovo, tuttavia Mandy riuscì a convincerla a sdraiarsi sul letto, con una coperta addosso. Poi accostò una sedia al letto e parlò con lei. Non aveva mai avuto difficoltà a parlare con la gente: George aveva pensato che fosse una qualità preziosa, quando avevano deciso di metter su una pensione. Il segreto, benché lei non se ne rendesse conto, stava nel fatto che aveva pochissima vanità, e sapeva parlare di se stessa senza imbarazzo né aggressività. E non attendeva mai l’approvazione e la disapprovazione del suo interlocutore. Così parlò di sé, e di George, e della vita strana ma piacevole che avevano vissuto insieme. Ruth l’ascoltò — era difficile capire con quanta attenzione — e alla fine disse:

«Naturalmente, non avete figli.»

Il tono era amaro. Mandy esitò prima di rispondere. Non aveva parlato dei dodici anni della sua vita che avevano preceduto l’incontro con George. E c’erano modi e modi di perdere le persone care… parlarne non sarebbe servito a consolare quella poveretta. Scosse il capo.

«No, non abbiamo avuto figli.»

Qualcosa, nella sua voce, l’aveva tradita. Ruth disse, bruscamente:

«George è il suo primo marito?»

«No,» rispose lei, riluttante. «Tutti e due eravamo al secondo matrimonio.»

«E figli?»

«George no.»

George no, infatti: l’idea di Phyllis con dei figli sarebbe stata ridicola o sinistra. La povera Phyllis era stata creata per i balli nella sala mensa degli ufficiali della RAF in tempo di guerra, e per i bombardamenti e le incursioni, nel coraggioso riconoscimento che non c’era futuro. Che cosa aveva detto George? «Tre fidanzati morti… ma la guerra doveva finire, prima o poi.»

«Ma lei,» disse Ruth, «lei aveva avuto un figlio dal primo matrimonio?»

«Avevo tre figli,» disse Mandy, e come sempre si rese conto di avere usato l’imperfetto.

«E che ne è stato di loro?»

«Sono stati affidati al padre.»

«E lei non poteva opporsi?»

«No.» Mandy ci pensò. «Onestamente, no.»

«L’onestà c’entra per qualcosa, in una cosa simile?»

«Credo di sì. Spero di sì. Per loro era la soluzione migliore.»

«Sembra che non le sia dispiaciuto molto.»

In quella frase c’era non meno incredulità che disprezzo. Mandy disse: «Erano felici, molto affezionati al padre. E molto americani. George ed io… ci siamo divertiti, ma non direi che sia stata un’esistenza stabile, l’ambiente ideale per allevare dei bambini.»

«Parla in tono molto oggettivo.»

«È tanto orribile? Naturalmente, c’era anche qualcosa d’altro. Io ero in torto. Ero scappata con uno straniero. Può immaginare un tribunale americano disposto ad affidarmi la custodia dei figli, in simili circostanze?»

Vi fu un silenzio, poi Ruth disse:

«Purtroppo, credo di non essere in grado di capirla.»

«No,» disse Mandy. «D’altra parte, neppure io riesco a spiegarmi bene.»

Pensò che Ruth avrebbe continuato, ma non fu così. In un certo senso, sembrava che quella totale incapacità di comprensione e di comunicazione fosse un sollievo per lei. Il suo volto, quando si riappoggiò al cuscino, era teso e infelice, ma un po’ meno di prima, pensò Mandy. E dopo qualche istante il suo respiro diventò più regolare, più profondo, e Mandy si accorse che si era assopita.

Guardò la donna addormentata, cercando di pensare a qualcosa che l’aiutasse a far passare il tempo. Ma i bei ricordi, per il momento, erano stati scacciati da quelli brutti; e a questi ultimi lei non voleva arrendersi. Aveva dato un’occhiata all’orologio appena si era accorta che Ruth dormiva e, quando tornò a guardare, vide che erano trascorsi soltanto cinque minuti. Fu una constatazione deprimente. Aveva bisogno di qualcosa che la tirasse su… ne aveva bisogno veramente.

Con un sussulto di sorpresa e poi di piacere, si rese conto di un’altra cosa: non aveva ancora bevuto niente, quel giorno. Si era alzata in fretta e furia nel cuore della notte, quando Ruth aveva urlato in fondo alle scale, e da quel momento era stata troppo indaffarata per pensarci. E naturalmente ne era lieta. Dimostrava che, anche se era diventata un’abitudine, era un’abitudine cui si poteva rinunciare. Dalla finestra vedeva le vette montane, fulgide nel sole mattutino. Forse un po’ c’entravano le montagne. Le avevano sempre fatto un po’ paura, e nella stagione morta, quando stava molto tempo senza far niente, l’opprimevano più che mai. Era nella stagione morta che beveva sempre di più: quando c’erano ospiti nella pensione, non beveva di più, semmai un po’ di meno.

Forse, se si fossero trasferiti altrove… La Camargue, magari. O la Grecia… una delle isole più piccole. Il suono e la vista del mare, pensò, sarebbero stati un conforto. Lassù c’era soltanto il silenzio o l’ululato inumano del vento. E i campanacci delle mucche, d’estate, lontani, malinconici.

Prese la bottiglia dal solito posto, attenta a non farla tintinnare. Era ormai mezza vuota; lei non s’era accorta che il livello fosse tanto calato. Versò la solita dose nel bicchiere, e poi ne versò ancora un poco. Dopotutto, aveva ancora qualcosa in mano. Bevve a piccoli sorsi, uno dietro l’altro. Il liquore la riscaldò e le montagne lontane sembrarono meno spaventose. Poi si stancò di sorseggiare e buttò giù il resto, e sentì il calore più vivo, più pesante. Tenne in mano il bicchiere vuoto e lo fissò. C’era silenzio: non sentiva altro che il respiro di Ruth addormentata e il ticchettio dell’orologio. Lo guardò. Solo un quarto d’ora. La cosa migliore, decise, era versarsi un altro sorso e non toccarlo per… per quanto? Un altro quarto d’ora? Mezz’ora, magari? L’importante era vederlo davanti a sé, disponibile, in attesa di un suo atto di volontà.

Cominciò a bere il secondo bicchiere dopo dieci minuti, e l’insuccesso la depresse tanto che lo vuotò in fretta e se ne versò un altro. Questa volta non si fissò limiti di tempo e fu sorpresa e compiaciuta nel constatare che la tentazione era meno forte. Aveva avuto bisogno di rilassarsi, e forse quei due bicchierini erano bastati allo scopo. Adesso si sentiva rilassata, e fisicamente stanca… non aveva sonno, ma era stancante stare seduta su una seggiola. Prese il bicchiere e senza far rumore si accostò al letto di George. Posò il bicchiere sul comodino e si sdraiò. Poteva vedere nello stesso tempo Ruth e il bicchiere, e il letto morbido era un conforto. Il letto di George. Pensò a lui, con affetto. Non sono infelice, si disse… chi lo sarebbe, con George? Forse, certe cose bisogna pagarle, e alcuni di noi non hanno il danaro. Così dichiariamo fallimento. Prese il bicchiere, lo accostò alle labbra, inclinandolo senza versare il liquore, e bevve ancora un po’.

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