John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Se le riesce di distinguere le fresche dalle vecchie. Siamo usciti tutti, dopo l’ultima nevicata. Anche i bambini. Ieri mattina giocavano lì.»

«Ma dovrebbe essere scalzo,» disse Elizabeth.

«Non credo che si possa distinguere, con questo tipo di neve. Io non vedo tracce, e voi?»

Diana ripeté: «Scalzo…»

«Sì,» disse Hamilton. «E in pigiama. Il lenzuolo è ancora là dentro. Credo che alcuni di noi farebbero bene ad andare a mettersi addosso qualcosa di pesante.»

Grainger ascoltò Hamilton in silenzio. Quando ebbe finito di parlare, chiese:

«Che temperatura c’è, là fuori?»

«Non ho guardato il termometro. Direi almeno sei sotto zero… otto, più probabilmente. E un vento terribile che soffia da est.»

Grainger scosse il capo. «Anche in stato di choc, non può essere uscito così. È assurdo.»

«I catenacci sono stati aperti. Non avrei mai immaginato che avesse la forza di tirarli, del resto.»

«Forse non è stato lui.»

Hamilton lo fissò, quasi con collera. Aveva i nervi tesi, pensò Jane, come tutti quanti, e lei sospettava che sotto l’apparente bonomia ci fosse un carattere suscettibile, pronto a prendere fuoco.

«E cosa diavolo pensa che sia successo, in questo caso?»

«Qualcuno potrebbe aver portato fuori il cadavere. Secondo me, il bambino era morto.»

«E chi potrebbe aver fatto uno scherzo così stupido e crudele?»

«Non lo so. Ma è più probabile questo, piuttosto che pensare che il bambino sia vivo, e che si sia alzato e sia uscito nella neve.»

«No, per me non è più probabile. Ci sarebbe voluto un pazzo per fare una cosa simile.»

«Potrebbe averlo fatto un sonnambulo, per esempio. O qualcuno ossessionato dall’idea di trovarsi sotto lo stesso tetto con un morto… Magari Peter. Come ragiona la mente di un contadino svizzero? Io non lo so.»

Sembrava stanco e molto teso, anche lui. Probabilmente, calmare Ruth Deeping era stato un grave sforzo. Era riuscito a farle prendere dell’altro Nembutal, pensò Jane, e adesso Mandy era con lei, dopo aver rimesso a letto Stephen ed avere atteso che si riaddormentasse.

Hamilton, teso anche lui, ma in modo diverso, disse:

«È questo che pensa? Lo dice sul serio… che Peter è sceso dalla soffitta ed ha portato fuori nella neve, chissà dove, il cadavere del bambino?»

Con voce più tagliente e fredda, Grainger disse:

«Mi limito semplicemente a suggerire delle alternative alla sua versione incredibile. Il fatto che poi siano più o meno altrettanto inverosimili è un’altra faccenda. Per il momento, non sappiamo che cos’è successo. Possiamo solo cercare di indovinare.»

Douglas, che era accanto a Jane, disse: «Non possiamo lasciar perdere le teorie, per il momento? Se c’è anche una vaga possibilità che il bambino sia là fuori, vivo, la cosa più importante è cercare di ritrovarlo.»

«Sì,» disse Grainger. «Ha ragione lei, naturalmente.» Si passò una mano sulla fronte. «Non ho le idee molto chiare. Domando scusa, George.»

Hamilton, addolcito, disse: «Penso che siamo tutti un po’ fuori squadra. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci aiuti a rimetterci in sesto. Venite: berremo un sorso.»

Jane rifiutò di bere, e insistette perché Diana prendesse solo pochissimo brandy. Hamilton versò qualcosa di forte per gli uomini e per Elizabeth. Questa, perfettamente padrona di sé, disse: «Sì, ne ho bisogno.» Bevve in fretta, con una piccola smorfia.

Hamilton propose che la ricerca venisse svolta dai cinque uomini: quattro avrebbero battuto la zona intorno allo chalet e Peter, che era uno sciatore provetto ed era abituato a girare per la montagna di notte, si sarebbe spinto più lontano. Grainger annuì.

«Mi pare giusto. Comunque, se anche è là fuori, il bambino non sarà andato lontano. Non è possibile.»

Elizabeth intervenne di nuovo, insistendo per partecipare anche lei. Anche Jane e Diana protestarono. Diana disse:

«Una persona in più può servire a trovarlo… o a trovarlo in tempo. Comunque, è meglio venire fuori, piuttosto che rimanere qui ad attendere.»

«È giusto,» riconobbe Hamilton. E buttò giù il liquore. «Allora muoviamoci. Tutti di sopra, e copriamoci bene. Ci troviamo giù, appena sarete pronti.»

Quando Jane ridiscese, c’era pronto il caffè. Lo bevve con piacere, e ascoltò le istruzioni di Hamilton. Dovevano muoversi a coppie o in tre, per evitare che qualcuno cadesse, si rompesse una gamba, rendendo necessarie altre ricerche. Vennero assegnate le diverse zone da battere. Diana si era già aggregata ai Grainger e doveva occuparsi, insieme a loro, dell’area a est della casa. A Jane e a Douglas venne detto di cercare a ovest. Hamilton, insieme a Deeping, avrebbe fatto un ampio giro, più in alto e più a valle dello chalet.

Fuori era più freddo di quanto Jane avesse immaginato, ma anche più chiaro. La luce della mezzaluna, riflessa dalla neve, le permetteva di vedere abbastanza lontano. Verso sud, le Alpi apparivano all’orizzonte, fioche ma molto reali. Appena si allontanò dalla casa, guardò giù, verso la strada per Nidenhaut, e vide che il dosso della montagna che li isolava dal villaggio appariva molto netto. Il cielo cominciava già a impallidire un po’, verso oriente.

Sebbene la visibilità fosse migliore di quanto lei si aspettasse, la luce creava strani effetti ottici, confondendo quanto ricordava di quella zona. Dopo venti metri, perse l’equilibrio e scivolò in una depressione. Douglas scese per aiutarla a rialzarsi. Lei disse, malinconicamente:

«Era questo che intendeva George, immagino.»

«Non si è fatta niente, vero? Niente di rotto o di slogato?»

«No, niente.»

Douglas le tenne il braccio per un momento con la mano guantata, poi la lasciò. Per lei fu un sollievo. Non che corresse pericolo di un approccio romantico, in quel momento e in quelle circostanze, pensò, ironicamente. Ma l’aveva turbata un po’ il pensiero che Hamilton li avesse mandati fuori insieme. Diana, che ne era in parte responsabile per la sua decisione di andare con i Grainger, la sera prima aveva detto la sua in proposito. Era stato un commento solo in parte malizioso. Le aveva chiesto, seriamente: «Ti trovi bene con lui, vero? Voglio dire, a parlare.» La frase, pensava Jane, poteva essere tradotta così: «Sei stata fortunata a trovare un tipo noioso come te, quassù.»

Era vero che lei lo giudicava una compagnia simpatica e riposante. Proprio per questo, considerava importante evitare la possibilità che subentrasse qualcosa d’altro. Aveva vissuto insieme al proprio corpo abbastanza a lungo per sapere che molti uomini lo trovavano fisicamente attraente. C’era la probabilità che Douglas, libero a quanto pareva, la pensasse allo stesso modo. A meno che, considerando che in genere gli uomini sui trentacinque anni mostravano di avere qualche legame, o almeno di averlo avuto, lui si disinteressasse delle donne. Jane si stupì di provare una lieve fitta di disappunto, quando le passò per la mente quella possibilità.

Be’, era normale. Una donna preferiva che un uomo fosse maschio, con tutto ciò che questo comportava, anche se non era interessata personalmente. E la sola idea di essere interessata a lui, o a qualunque altro uomo, era deprimente.

La morte di Harry, dopo una malattia così fulminea, l’aveva inevitabilmente stordita. Per un paio di mesi le era parso di essere immersa in una nebbia. Ma nel frattempo aveva capito ciò che le succedeva, e che questo avrebbe avuto un limite. Il trauma sarebbe passato; la vita sarebbe ridiventata normale. Ma non aveva previsto che dopo lo stordimento sarebbe venuta l’apatia attuale, il pensiero insistente, in fondo alla sua mente, che tutto era vano, non c’era nulla per cui valesse la pena di lavorare e di lottare, poiché la vita era sopportabile solo se la si viveva alla giornata.

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