John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Tutto passa. Ed è un bene. Se la felicità durasse, durerebbe anche l’angoscia. Invece, possiamo sempre aspirare ad una monocromia. La normalità è solo dietro l’angolo.»

E naturalmente adesso parlava di se stesso, come aveva sospettato che facesse Jane. Notò lo sguardo di lei: probabilmente il tono della voce lo aveva tradito.

Lei disse, sottovoce: «E se una persona sceglie la monocromia, volutamente, volgendo le spalle allo splendore… e poi perde anche quello?»

«Le monocromie si perpetuano. Si rinnovano molto rapidamente: questo è il loro grande merito.»

Vi fu un altro breve silenzio, prima che Jane dicesse:

«Andrò a fare il bagno. Mi scusi.»

Aveva il volto preoccupato, un po’ teso, e Douglas si chiese se si era offesa per qualcosa che le aveva detto lui. Ma Jane, arrivata sulla soglia, si voltò a guardarlo, e sorrise.

«Ci vediamo a cena, Douglas.»

«Prima beviamo qualcosa,» disse lui. «Al bar.»

Jane annuì. «Con piacere.»

L’atmosfera rimase pesante, e non venne migliorata dal fatto che si cominciava a sentire la realtà del ricorso alle razioni d’emergenza nonostante gli abbellimenti di Mandy. C’era una minestra nutriente, ma la portata principale, benché dimostrasse quel che si poteva fare con il corned beef, era pur sempre corned beef. Poi ci fu pompelmo in scatola, con aggiunta di kirsch per renderlo accettabile. In realtà, considerata la situazione, era una cena eccellente, ma nessuno mostrò di apprezzarla molto. Poi George e Grainger tentarono di riprendere a bere, ma era evidente che non se la sentivano. Erano tutti stanchi. Poco prima delle dieci, Mandy disse:

«Se non occorre altro, io andrei a letto.» E guardò Deeping. «Lasceremo accese tutta notte le lampade al pianterreno, caso mai… E penso sia meglio lasciare Stephen nella branda in camera nostra, per non disturbarlo. Le va bene?»

«Sì,» disse Deeping. Sbadigliò. «Credo che andrò a letto anch’io.»

Vi fu un esodo generale, cui prese parte anche Douglas. Grainger sembrava deciso a restare alzato, ma Elizabeth insistette perché salisse con lei. George rimase giù: da poco si era versato un whisky. Ne aveva bevuto parecchio, quella sera, ma lo portava bene.

Quando fu a letto, Douglas pensò per prima cosa alla donna ed al bambino che erano fuori, nella notte gelida. Adesso la luna era parzialmente oscurata dalle nubi, e si stava levando di nuovo il vento: dalla sua finestra, aveva visto il chiarore andare e venire tra gli squarci delle nuvole. Ma l’immagine, per quanto terribile, non prese vita. Esisteva in un vuoto, e gli stessi personaggi erano irreali. La donna era pazza, e la follia alienava la comprensione. Il bambino… l’immagine di lui morto era più forte del ricordo di quando, dopo, l’aveva rivisto vivo.

Perciò, abbandonando il presente, ritornò a Caroline, e all’amalgama di passato e di futuro che aveva cominciato a costruire, laboriosamente ma con gioia. Le scene ricordate frammiste a quelle immaginate… e dopo un po’ era difficile distinguere le une dalle altre. Né lui ci teneva a farlo. Anche quello era irreale, ma si sentiva a suo agio in quell’irrealtà. Al suo ritorno a Winchester avrebbe trovato una lettera… no, Mrs. Williams gli avrebbe lasciato un appunto sulla scrivania. E lui avrebbe chiamato… non il numero di Blackheat, naturalmente. Un albergo? Non un albergo di Winchester… l’improbabilità era tale da far tremare l’immagine, da farla quasi dissolvere. Un albergo di Londra, del tipo in cui Caroline avrebbe probabilmente preso alloggio, tornando sola dall’America. Il Royal Court, magari; a lei piaceva Chelsea. Douglas calcolò i tempi, approssimativamente. L’aereo che arrivava all’aeroporto di Londra poco prima di mezzogiorno. Poi il passaggio alla dogana, l’arrivo al terminal verso la una, pranzo, e poi c’era un treno verso le tre e mezzo, no? Per le sei sarebbe stato nel suo appartamento. Se avesse telefonato subito e avesse parlato con lei, avrebbe potuto prendere il treno delle sei e mezzo per tornare a Londra, e pranzare con lei… in qualche posto speciale. Forse la White Tower. L’Etoile. Oppure, in un’atmosfera più sentimentale, Au Père de Nico… E poi tornare indietro insieme per le vie buie e silenziose, con l’asfalto lucente di pioggia nella luce dei lampioni. Il profumo di Caroline, il ticchettio dei suoi tacchi…

Si svegliò, udendo un suono che in un primo momento non riuscì a localizzare, ma che era metallico, familiare. Certo… la maniglia dell’uscio che girava. La porta che si apriva. Dei passi. Non una persona sola: almeno due. Intontito dal sonno, chiese: «Chi è?»

La voce rassicurante di Deeping, con il suo accento dello Yorkshire: «Tutto bene, Douglas. Non si preoccupi.»

Ma detto sottovoce. E i passi che si avvicinavano al letto. Si levò a sedere e chiese bruscamente: «Cosa vuole?»

C’era una luce fioca che filtrava dalla finestra… il chiaro di luna dietro le nubi. Due figure si profilarono contro quel chiarore. Deeping e… Ruth!

«Allora è ritornata,» disse Douglas. «E il bambino? Andy sta bene?»

Non ci fu risposta, ma una terza sagoma più piccola attraversò il rettangolo di luce fioca. Soltanto allora provò paura. Era strano che i Deeping fossero entrati di notte nella sua stanza senza bussare: ma la stranezza era bilanciata dal fatto che li conosceva. Che pericolo potevano rappresentare i Deeping? Ma il bambino era diverso. La presenza del bambino trasformava la stranezza in incubo. E la loro mancata risposta assunse un significato spaventoso.

Sentì il respiro di Deeping, mentre si accostava al letto. Tra un attimo l’uomo sarebbe stato al suo fianco. Nella mente di Douglas, la paura e l’istinto di conservazione lottavano con il condizionamento di tutta una vita… la prima infanzia, la scuola preparatoria, la public school, l’università. Non mostrare la paura. Non gridare. Soprattutto, evita le situazioni imbarazzanti. La morale inglese.

Urlò un attimo prima che la mano gli toccasse il viso, invocò aiuto con tutte le sue forze, guizzò via, balzò dal letto. E urlò ancora e ancora, e sentì la propria voce riverberare nella stanza e nello chalet. Le mani si allontanarono, e poi i passi recedettero. Fuori dalla stanza e giù per le scale.

VII.

Erano di nuovo insieme, in salotto. Selby lanciò un’occhiata al cucù, poiché aveva lasciato il suo orologio sul comodino, e vide che erano le quattro meno cinque. Le ore piccole e silenziose, pensò con una fitta di nausea. Gli ricordava i tempi lontani, quando lui era un interno, e veniva svegliato da un nuovo arrivo al Pronto Soccorso, e si sentiva irritato, con un sapore cattivo in bocca. Ora era di nuovo così. Mandy stava accendendo la seconda lampada, Marie riattizzava il fuoco. Selby si guardò intorno, scrutando tutti. Peter, scarno e vigile accanto alla porta. Jane e Diana: quest’ultima gli parve insonnolita e, pensò con un lieve fremito di piacere, delizioza. Elizabeth, che sbadigliava. George, che aveva con sé lo spettinato Stephen. E naturalmente Douglas Poole, le cui grida sorprendentemente stentoree per invocare aiuto li avevano fatti scendere tutti, barcollanti, dai rispettivi letti.

Selby disse: «Bene. Adesso abbiamo un quadro un po’ meno confuso. Cos’è successo, Douglas?»

George intervenne: «Douglas mi ha raccontato qualcosa. Credo che prima andrò a mettere a letto Steve.» Si avviò verso il corridoio, poi si fermò. «Lo metterò sul divano nel bar, per il momento. Mandy, ti spiace portarmi una coperta?»

George portò il bambino oltre la porta, la chiuse. Anche Mandy uscì per andare a prendere la coperta, e Marie la seguì. Sembrava in preda ad un’estrema apprensione che solo la presenza di Mandy riusciva a placare.

Douglas disse, piuttosto intimidito: «Temo di avere fatto un chiasso tremendo.»

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