Jerome si gettò sul fondo della barca, rendendosi conto con terrore che l’assassino aveva cercato di uccidere anche lui. Pitman emise un sospiro gorgogliante e tese una mano verso di lui. Spinto da una irragionevole speranza, Jerome si rigirò, badando a tenersi al di sotto degli scalmi, finché riuscì a guardare in faccia Pitman. Tutto quel che aveva appreso sul suo conto concorreva a fargli supporre che i poteri sovrumani di cui era dotato potessero compiere un miracolo. Pitman aveva la bocca aperta e i denti rossi di sangue. Gli afferrò la mano. «Non potete morire» bisbigliò Jerome. «È tutta colpa vostra.»
Le palpebre di Pitman tremolarono e un fiotto di sangue gli colò sul mento. «Mi spiace … Il Principe è … troppo …» le parole appena percettibili svanirono perdendosi nell’aria.
«Principe? Principe? » Jerome sentiva la sua voce farsi acuta, isterica. «Non ho niente a che fare con nessun Principe… Dovete dirlo a qualcun altro.»
Strinse la spalla di Pitman, e si liberò dalla stretta della sua mano, rendendosi conto che era morto. Non si udiva altro rumore che il lambire paziente delle acque contro la barca. Jerome si rigirò suite schiena guardando il cielo, con la mente in tumulto. La persona che aveva ucciso Pitman voleva sicuramente eliminare anche lui di proposito o voleva solo eliminarlo per mettere a tacere un testimone oculare? C’era da sperare che l’assassino, convinto di aver messo a segno anche il secondo colpo, se ne fosse già andato?
Poteva risolvere questa seconda questione alzando la testa e sbirciando oltre al bordo della barca … ma pensando alle possibili conseguenze passò alla domanda più importante di tutte. Sarebbe uscito vivo da quella situazione?
La risposta è NO!
Jerome sussultò quando queste parole gli colpirono la mente. A un primo momento di paura e confusione seguì la consapevolezza che aveva a che fare con uh altro telepate, e con essa la certezza che il carattere del nuovo venuto era molto diverso da quello di Pitman. Il dottore era misterioso, l’aveva minacciato, ma si era anche dimostrato sinceramente dispiaciuto per quello che sentiva di dover fare, cosa questa che Jerome apprezzava ancor più in retrospettiva. Quel sottofondo emotivo gli aveva conferito una carica di umanità che mancava del tutto nel suo assassino. Durante il breve contatto psichico Jerome aveva sentito gelido egoismo, arroganza, amoralità e spietatezza. Aveva anche captato un barlume di potenza molto superiore a quella di Pitman, un potere disumano che una persona superstiziosa avrebbe potuto definire satanico.
Mentre questa parola prendeva forma nella mente di Jerome, gli affiorò alla memoria la fugace immagine di una faccia pallida e di un sorriso sprezzante a labbra strette. L’uomo che aveva incontrato alla stazione di servizio! Era lui il secondo telepate, e nell’attimo in cui lo riconobbe si sentì sopraffatto dal terrore. Capì che durante l’incontro con Pitman aveva sempre avuto un barlume di speranza, che quell’uomo anziano vestito un po’ all’antica e con la faccia da Papà Natale non avrebbe mai premuto il grilletto… mentre l’altro era fatto di tutt’altra pasta. Con lui non c’era speranza.
È VERO!
Le parole lo colpirono come una mazzata, portando con sé una successione di pensieri sconfortanti: era debole, codardo, ignorante, insignificante, spregevole e alla completa mercé del suo avversario. Lo sconosciuto non lo odiava per il semplice fatto che era insignificante, solo un piccolo, fastidioso ostacolo facilmente eliminabile.
«Perché perdere tempo con me?» disse Jerome ad alta voce. La barca era a un centinaio di metri da riva e lui sapeva che la sua voce non poteva arrivare così lontano, ma formulare una frase e parlare gli sembrava un buon sistema per un non-telepate di isolare e proiettare un singolo pensiero. Si preparò a un altra mazzata mentale, ma l’uomo col fucile non rispose.
«Sentite, non me ne importa niente di quello che poteva esserci fra voi e Pitman. Io voglio solo tornare a casa. Non posso nuocervi. Lasciatemi andare.»
Ancora nessuna risposta. Jerome alzò gli occhi all’indifferente azzurro del cielo cercando di interpretare il silenzio telapatico. Forse lo sconosciuto si era persuaso della logica di quanto gli aveva detto e se n’era andato, ma l’istinto gli diceva che non era questa la risposta: l’assassino taceva perché riteneva inutile rispondergli. Era sempre là, vicino alla casa, e aspettava… cosa?
Jerome aveva appena formulato la domanda quando scoprì la risposta: dirigendosi con Pitman verso il centro del lago, aveva remato controvento, e adesso la stessa brezza spingeva lentamente la barca verso il punto di partenza. Sarebbe stato facilissimo per un uomo armato di fucile da caccia affondare la barca e costringere lui a cadere in acqua, ma per riuscirci avrebbe dovuto sparare numerose scariche col rischio di attirare l’attenzione. Era quindi molto più prudente e sicuro aspettare pazientemente qualche minuto finché il bersaglio fosse arrivato a riva per poi stenderlo con un colpo solo. Anzi, forse non ci sarebbe nemmeno stato bisogno del fucile, perché l’uomo della stazione di servizio era certo capace di ucciderlo in molti modi e senza far rumore…
Così dopo tutto non sarà il cuore a uccidermi , pensò Jerome con amara ironia, steso sull’umido tavolato della barca. I consigli di Pitman erano inutili… le mie arterie non hanno più il tempo di ostruirsi… Ho a che fare con gente di un altro mondo che Dio sa perché vuole uccidersi a vicenda … e io non ci posso far niente, perché … perché…
All’improvviso si ricordò del fucile, seminascosto sotto il cadavere di Pitman, col calcio che gli premeva contro la schiena. Gemendo per lo sforzo di voltarsi senza sollevarsi oltre il bordo della barca, sfilò il fucile da sotto il cadavere. Non era un granché come tiratore, ma se riusciva a tenere nascosto il fucile finché la barca non fosse giunta in prossimità della riva, sparando di sorpresa forse sarebbe riuscito a centrare il bersaglio.
Mi prendi per SCEMO? Il pensiero alieno era carico di disprezzo, rafforzato dall’immagine di Jerome visto come un topo neonato, nudo, roseo e squittente.
Jerome si sforzò di scacciare l’intrusione. Il fucile era un vecchio Stevens calibro 12 che aveva ereditato dal padre, e di cui era poco pratico. Lo aprì per vedere se Pitman lo aveva caricato con proiettili per tiro al piattello o con qualcosa di più potente … e nello stesso momento fu colpito da un altro, violento messaggio mentale.
Credi DAVVERO che io ti PERMETTA di portare il tuo GIOCATTOLO alla mia portata?
Il topino spiccava vivido nella mente di Jerome, un lucido mucchietto di protoplasma informe che un tacco stava schiacciando. Nauseato, Jerome concentrò lo sguardo sui cerchi gialli alla base delle cartucce, sempre più persuaso che l’avversario godeva di un enorme vantaggio. Anche se riusciva ad avvicinarsi fino a cinquanta metri il suo fucile avrebbe costituito più una seccatura che una vera minaccia per un buon tiratore, e il fatto che l’altro sapesse quello che lui pensava non faceva che peggiorare la situazione. Solo se il fucile fosse stato caricato coi proiettili di solido piombo avrebbe forse avuto una possibilità, ma non aveva mai posseduto munizioni di quel tipo…
Se non posso ingannare chi mi legge nella mente , pensò, togliendosi di tasca il temperino, posso per lo meno rendergli le cose difficili. Confonderlo. Pensare a due cose contemporaneamente. Ma come? Non serve pensare a una cosa insignificante come un’arancia … meglio forse comportarsi come un automa … servirsi dei riflessi invece che delle parole o delle immagini… oh, Dio, un bossolo si è incastrato nell’espulsore … lo sapevo … avrei dovuto provvedere da tempo … dai, insulta quel bastardo, digli quello che pensi di lui … devo estrarre il bossolo col temperino … ehi, brutto bastardo, non riuscirai a farcela facilmente … esci allo scoperto, è meglio…
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