Bob Shaw - Autocombustione umana

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Autocombustione umana: краткое содержание, описание и аннотация

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Nella cittadina americana di Whiteford una ragazza va in cucina a preparare il caffè lasciando il padre seduto nella sua poltrona. Quando ritorna dopo pochi minuti, la stanza è piena di fumo ma non c’è più incendio: ciò che è bruciato (dall’interno) e ridotto in finissima cenere, è soltanto suo padre. Si scopre allora che testimonianze più o meno credibili sul fenomeno del CUS (Combustione Umana Spontanea) si erano avute fin dall’antichità. E pochi giorni dopo, nella stessa cittadina — un secondo caso si verifica sotto gli occhi dello stesso scettico giornalista che sta indagando sul primo. L’“autocombustione umana” è ormai un fatto accertato. Resta solo da spiegare chi o che cosa “si nasconda” dietro il mostruoso fenomeno.

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Pitman scosse la testa. «Fuori, alla barca, Ray. Muovetevi!»

Jerome si portò a passo lento in anticamera. La porta d’ingresso era ancora aperta e la scena che si vedeva attraverso l’inquadratura pareva ideale per un opuscolo turistico: una composizione acrilica di acqua, alberi e colline azzurre nello sfondo, senza niente che indicasse come il mondo fosse andato a catafascio. Jerome non si era mai trovato sotto il tiro di un’arma da fuoco e ora era morbosamente conscio della presenza del fucile fino nei minimi particolari. Mentre usciva sulla veranda si chiese se l’arma fosse o no pronta per sparare. Se il dottore non aveva tolto la sicura, forse poteva riuscire a strapparglielo di mano.

«Non vi ci provate» lo ammonì Pitman. «Non mi sono mai piaciute le armi, ma so come adoperarle.»

«È facile sapere quello che uno pensa?»

«Sì, quando lo fa per immagini… come state facendo voi adesso.»

«Capisco.» Jerome scese dalla veranda e si avviò verso la barca. Rievocò mentalmente l’immagine di un’arancia e la trattenne, cercando di materializzarla, mentre su un altro livello mentale pensava ai remi sotto il telo che copriva la barca. Un colpo di remo avrebbe provocato ( pensa a ogni poro nella buccia dell’arancia ) lo stesso effetto di una mazzata se fosse riuscito a impugnarlo saldamente ( guarda il sugo che sgorga mentre infili un’unghia nella polpa ) prima che Pitman si rendesse conto dell’accaduto.

«Così non funziona» disse Pitman. «L’arancia era troppo irrilevante, si capiva che fungeva da schermo. Appena l’ho vista ho sondato più a fondo. E comunque i remi sono troppo pesanti.»

«Grazie del consiglio» disse Jerome, meravigliandosi una volta ancora della propria facilità di adattamento. Era terrorizzato al pensiero di una scarica di pallini che lo sforacchiavano, e tuttavia nel cervello continuavano a turbinargli domande sul dottore e sulle sue incredibili facoltà. Pitman era l’unico al mondo nel suo genere, o faceva parte d’un gruppo di persone dotate dello stesso talento? Perché lo teneva segreto? Aveva paura della reazione della gente? E, soprattutto, che rapporto c’era fra telepatia e combustione umana spontanea? Doveva esserci un rapporto, sarebbe stata una coincidenza incredibile che l’uomo il quale costituiva l’unico collegamento fra due casi di CUS fosse per di più un telepate… Jerome si rifiutava di crederci. Se non fosse stato per la paura di morire fucilato, il desiderio di ottenere la risposta a quelle domande avrebbe preso il sopravvento.

Tolse il pesante telo di plastica che copriva la barca, e quando sollevò i remi disturbò un ragno che vi stava nascosto sotto. Lo alzò con la pala di un remo e lo posò a terra, e quando si voltò vide che Pitman stava sollevando delle catene che aveva nascosto in mezzo ai falaschi.

«Tutto qui quel che avete portato?» chiese sperando di mandar a monte il piano del dottore. «Catene da neve?»

Pitman le gettò nella barca. «Sono sufficienti. Un corpo ben ancorato non galleggia.»

«Oh!» Jerome si pentì di aver sollevato l’argomento. «Allora fingevate dicendo che dovevo collaborare con voi? Come faccio a sapere che non premerete comunque il grilletto?»

«Vi ho dato la mia parola.»

«Che valore ha? E, a proposito, che valore può avere la mia promessa?» Jerome sapeva di rischiare grosso, ma voleva mettere le cose in chiaro. «Potrei promettervi tutto quel che volete pur di salvare la pelle, e poi rivolgermi alla polizia.»

«Sapete che non è possibile ingannarmi» gli rammentò Pitman. «Non dimenticate che io so quello che pensate.»

«Continuo a non capire perché dobbiamo andare sul lago» insisté Jerome. «Vi dico fin d’ora che farò tutto quel che vorrete. Mi pare chiaro, no?»

«No.» Pitman sorrideva ma il suo sguardo era insondabile. «La maggior parte della gente considererebbe quello che sto per chiedervi un … be’, diciamo un tradimento dell’umanità. Forse anche voi sarete dello stesso parere e non vi sentirete di farlo. Oh, direte di sì, ma nell’intimo saprete che non vi sarà possibile. Forse arriverete al punto da ingannare voi stesso, ma non me. E se sarà così, vi ucciderò.»

«Gesù!» esclamò sospirando Jerome. «E tutto questo perché ho visto come è morto Sammy Birkett?»

«Temo di sì.»

«Potrei almeno sapere perché qualcuno piglia spontaneamente fuoco?»

«Spingete la barca in acqua, Ray, e poi tenetela ferma mentre io salgo a bordo.»

La barca si era incuneata nel terriccio molle e Jerome faticò non poco tentando di disincagliarla, finché Pitman non la spinse con un piede da poppa dimostrando una forza sorprendente. La barca scivolò in acqua, e il dottore vi salì tenendo il fucile puntato contro lo stomaco di Jerome, e poi si sistemò sul sedile di poppa. Nonostante la corporatura massiccia si muoveva con agilità. Jerome, impacciato nei movimenti dal ginocchio artritico, dovette constatare che, anche senza il fucile, il dottore avrebbe avuto la meglio se fossero venuti alle mani. Rabbrividendo al contatto dell’acqua gelida che gli lambiva le caviglie, salì a sua volta a bordo e con un colpo di remo scostò la barca dalla riva. Ansimava e provava un senso di costrizione al petto.

«Remate fino in mezzo al lago, ma senza fretta, per non affaticarvi» disse Pitman. «Non voglio che vi succeda qualcosa.»

Jerome tentò di sogghignare: «A meno che non lo facciate voi.»

«Capisco quello che provate, ma parlando da medico vi consiglio… A proposito, quanti anni avete?»

«Cinquanta. E voi?»

Sul viso di Pitman si dipinse un’espressione enigmatica. «Il corpo che vedete ha settantasei anni. Io ne ho quasi trenta di più.»

Jerome rimase interdetto. «Spiegatevi meglio.»

«Scusate» dichiarò Pitman che sembrava sinceramente dispiaciuto. «È difficile. Cosa direste se vi raccontassi che non sono nato sulla Terra?»

«Direi che eravate un astronauta.»

«Non è il termine preciso… io sono nato su un altro pianeta.»

«Uno che conosco?»

«Noi lo chiamiamo Dorrin. Voi Mercurio.»

«Capisco.» Jerome era molto sollevato. Aveva commesso l’errore di sottovalutare Pitman riguardo alla telepatia e da quel momento si era sempre trovato psicologicamente in svantaggio, ma adesso cominciava a intravedere un barlume di speranza. Il dottore teneva ancora il coltello dalla parte del manico, ma se era così pazzo da esser convinto di essere un extraterrestre forse c’era il modo di sfruttare a proprio vantaggio quella debolezza mentale. Jerome pensò per un istante alla superficie arida e riarsa dal sole di Mercurio, che aveva visto più volte in fotografia, poi, con uno sforzo lo immaginò come poteva vederlo un astronomo dalla Terra: un punto luminoso appena distinguibile nel bagliore del tramonto.

«Non so molto di Mercurio» disse, fingendo di aver creduto alle parole di Pitman. «È un bel posto?»

«È un inferno, come ben sapete» rispose Pitman. «Vi ripeto ancora una volta che è inutile tentare di ingannarmi.»

«D’accordo. Solo, non riesco a vedere come si sia potuta evolvere la vita in un posto simile.»

«Non si tratta di evoluzione» corresse Pitman. «Sia la Terra sia Mercurio furono colonizzati da astronauti umani provenienti da un altro sistema solare. Questo avvenne talmente tanto tempo fa che non sappiamo da dove provenissero i nostri antenati, né perché scelsero per primo Mercurio. Non era la scelta migliore per installarvi una colonia, anche se la sua rotazione sincrona significava che c’era una zona crepuscolare abitabile.»

Ci siamo! pensò Jerome trionfante. La tua conoscenza di quello che asserisci essere il tuo pianeta natale è superata da almeno quarant’anni. Per un attimo fu tentato di tacere, di incoraggiare Pitman a fare altri errori marchiani, ma poi ci ripensò. Pitman si sarebbe accorto che mentiva.

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