«Non posso fare diversamente, vi pare?» Si alzò e strinse i pugni armati di punte. «Non cercate di fermarmi, Andy. Siete un poliziotto e conoscete questa legge.»
«Tab, come puoi… ?» disse Shirl a bassa voce.
Tab la guardò, con gli occhi pieni di tristezza. «Un tempo eravamo buoni amici, Shirl, ed è così che io vi ricorderò sempre. Ma non sarà lo stesso per voi, dopo questa faccenda, perché io devo fare il mio lavoro. Li devo far entrare.»
«Fai pure, apri quella maledetta porta!» disse Andy amaramente, voltando le spalle e avviandosi alla finestra.
I Belicher si precipitarono all'interno. Il signor Belicher era piccolino, magro, con una testa dalla forma strana, senza mento o quasi, e quel tanto d'intelligenza che gli bastava a firmare col suo nome i moduli della Previdenza. Era la signora Belicher a mantenere la famiglia. Da quel corpo di un grasso flaccido erano usciti tutti quei bambini; ce n'erano sette, a ingrossare il sussidio sul quale sopravvivevano. Il numero otto, ancora visibile, formava quell'ulteriore gonfiore sul corpo già gonfio della donna. In realtà non era il numero otto, bensì il numero undici, perché tre dei bambini Belicher erano morti, sia per incidenti, sia per incuria. La più grande delle ragazze (doveva avere almeno tredici anni) portava in braccio l'ultimo bambino, coperto di lividi, che puzzava orrendamente e piangeva senza interruzione.
Gli altri bambini ora urlavano e litigavano fra di loro, dopo la tensione e il silenzio del corridoio buio.
«Oh, guarda che bel frigorifero!» disse la signora Belicher correndovi accanto e aprendo la porta.
«Questo non lo toccate!» disse Andy mentre Belicher gli batteva sul braccio.
«Mi piace questa stanza,» gli disse, «non è vasta, sapete, ma è carina. Cosa c'è dietro questa porta?» Si diresse verso la parete divisoria. «Questa è la mia stanza,» disse Andy e gliela sbatté in faccia. «State alla larga.»
«Non c'è bisogno di comportarsi in questo modo,» disse Belicher, mettendo la coda tra le gambe come un cane che ha ricevuto troppi e frequenti calci. «Io ho i miei diritti. La legge dice che posso guardare dappertutto quando ho un mandato di alloggio.» Era indietreggiato un po' perché Andy aveva fatto un passo verso di lui. «Non che dubiti della vostra parola, signore, io vi credo, questa stanza qui è bella, ha un buon tavolo, delle sedie, un letto…»
«Quelle cose mi appartengono. Questa è una stanza vuota ed è anche piccola. Non va per voi e per la vostra famiglia.»
«Oh, sì, che va bene. Noi abbiamo vissuto in posti più piccoli di questo.»
«Andy, fermali! Guarda!» Il grido di Shirl fece voltare di colpo Andy, e vide che due dei ragazzini avevano trovato il sacchetto delle erbe che Sol aveva fatto crescere in cassetta sul davanzale della finestra e lo strappavano per aprirlo, pensando che contenesse qualcosa da mangiare.
«Mettete giù quelle cose,» gridò, ma prima che potesse acciuffarli avevano già assaggiato le erbe e le sputavano, delusi.
«Brucia la lingua!» urlò il maggiore dei maschietti e buttò il contenuto del pacchetto sul pavimento. L'altro ragazzo si mise a saltellare dalla contentezza e fece la stessa cosa con il resto delle erbe. Scansarono l'arrivo di Andy e prima che li potesse fermare, il pacchetto era svuotato.
Appena Andy ebbe voltato le spalle, il ragazzetto, ancora tutto eccitato, si arrampicò sul tavolo dove le sue scarpe imbrattate lasciarono impronte di sporcizia, e aprì la televisione. Una musica a tutto volume sovrastò gli urli dei bambini e i richiami inefficaci della madre. Tab trattenne per il braccio Belicher che apriva il guardaroba per vedere che cosa c'era dentro.
«Fate uscire i bambini fuori di qui,» disse Andy, pallido di rabbia contenuta.
«Io ho un mandato d'alloggio, ho la legge per me,» gridò Belicher indietreggiando di qualche passo e sventolando il quadrettino di plastica stampato.
«Me ne infischio dei diritti che avete o no,» disse Andy, aprendo la porta del corridoio. «Ne parleremo appena avrete fatto uscire questi ragazzi.»
Tab sistemò la cosa afferrando per la collottola il ragazzo più vicino e spingendolo fuori della porta. «Il signor Rusch ha ragione,» disse, «i ragazzi possono aspettare fuori mentre regoliamo la questione.»
La signora Belicher si lasciò cadere di peso sul letto e chiuse gli occhi, come se la faccenda non la riguardasse minimamente. Il signor Belicher indietreggiò verso il muro, dicendo qualcosa che nessuno senti o si preoccupò di sentire. Sì udivano degli strilli e dei singhiozzi rabbiosi nel corridoio quando l'ultimo dei ragazzini venne buttato fuori.
Andy si guardò intorno e vide che Shirl si era rifugiata nella loro camera. Udì la chiave girare nella serratura. «Presumo non ci sia nulla da fare,» disse guardando fermamente Tab.
Il gorilla alzò le spalle, desolato. «Mi dispiace, Andy, vi giuro che mi dispiace. Ma che posso fare d'altro? È la legge, e se loro vogliono stare qui, non potete far niente.»
«È la legge, è la legge,» ripeteva Belicher, facendo eco.
Non vi era nulla da fare. Andy aveva stretto i pugni e si dovette far forza per riaprirli. «Tab, aiutami a portare queste cose nell'altra stanza, vuoi?»
«Certamente,» disse Tab. E prese l'altra estremità del tavolo. «Cercate di spiegare a Shirl la mia parte in questa faccenda, vi spiace? Non credo possa comprendere che questo è il mio lavoro e che sono costretto a farlo.»
I loro passi scricchiolavano sulle erbe aromatiche sparse sul pavimento e Andy non gli rispose nemmeno.
«Andy, devi far qualcosa, quella gente mi fa impazzire!»
«Pazienza, Shirl, non è poi così terribile,» disse Andy. Era in piedi su una sedia e svuotava un bidone d'acqua entro il serbatoio a muro. Voltandosi per rispondere a Shirl aveva lasciato cadere un po' d'acqua sul pavimento. «Lasciami finire questo lavoro, poi discuteremo.»
«Io non voglio discutere, io ti dico ciò che sento. Ma ascoltali un po'…»
I rumori pervenivano chiarissimi attraverso la leggera paratia. Il bimbo più piccolo piangeva, non cessava mai di piangere, notte e giorno. Per poter dormire Andy e Shirl dovevano mettere dei tappi di cera negli orecchi. Gli altri litigavano ignorando completamente il gemito acuto del padre che si lamentava. Per peggiorare le cose, uno dei ragazzi picchiava ritmicamente sul pavimento con qualcosa di pesante. La gente dell'appartamento sottostante sarebbe tornata a lamentarsi. Senza nessun risultato, comunque. Shirl sedeva sull'orlo del letto, torcendosi le mani.
«Ma lo senti, quel baccano?» disse. «Non cessa mai. Io non so come facciano a vivere così. Tu non sei mai in casa e quindi il peggio non lo senti. Non possiamo farli andar via in qualche modo? Ci deve pur essere qualcosa da fare.»
Andy finì di svuotare il bidone e scese dalla sedia, facendosi strada nella stanza ora stipata di mobili. Avevano abbandonato il letto di Sol e il suo guardaroba, ma il resto era stato portato nella loro stanza e non c'era un palmo di spazio libero sul pavimento. Si lasciò cadere di peso sulla poltrona.
«Ho tentato, tu sai bene che ho tentato. Due degli agenti di pattuglia che ora vivono in caserma, sono disposti a installarsi qui appena riusciamo a cacciare i Belicher. Questa però è la parte più ardua. Hanno la legge per loro.»
«C'è forse una legge che ci obbliga a sopportare gente come quella?»
Si stringeva le mani, disperata, contemplando la parete divisoria.
«Senti Shirl, non possiamo parlarne in un altro momento? Io tra poco devo uscire…»
«No, ne parliamo subito. Tu hai sempre rimandato, da quando quelli sono arrivati, cioè da due settimane, e io non posso più aspettare.»
«Andiamo, andiamo! Non è poi così terribile. È soltanto rumore.»
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