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Harry Harrison: Largo! Largo!

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Harry Harrison Largo! Largo!

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1999: automazione, società del benessere totale, gite sulla Luna per i “weekend”… o un mondo sovraffollato che, all’alba del nuovo millennio, è sull’orlo della catastrofe? Un mondo in cui miliardi di esseri umani sono ogni giorno di fronte al problema di estinguere la propria sete e di saziare la propria fame, vivendo di lenticchie, di farina di soja e (se hanno un colpo di fortuna, ogni tanto) di un topo morto. In una città con 35 milioni di abitanti, Andy Rush è impegnato nella caccia, solitaria e quasi impossibile, a un assassino di cui non importa niente a nessuno, nel mezzo del caotico travaglio quotidiano per la sopravvivenza. E quando infine nasce l’anno 2000, che suono ha l’augurio: “Buon secolo nuovo?”

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Harry Harrison

Largo! Largo!

A Todd e Moira.

Per il vostro bene, bambini, mi auguro che questo libro si dimostri sempre un puro esercizio della mia fantasia.

PREMESSA

Nel mese di dicembre del 1959, l'allora Presidente degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, pronunciò queste parole:

“Fin quando ci sono io, il nostro governo… non adotterà, nei suoi programmi, una specifica dottrina politica in materia di controllo delle nascite. Non è affar nostro”. Né lo è stato in alcuno dei governi degli Stati Uniti venuti in seguito.

Nel 1950 gli Stati Uniti — solo il nove per cento della popolazione mondiale — consumavano il cinquanta per cento delle materie prime prodotte in tutto il mondo. Questa percentuale ha continuato a crescere, e fra quindici anni, se andiamo avanti di questo passo, gli Stati Uniti consumeranno oltre l'ottanta per cento della produzione mondiale di materie prime. Alla fine di questo secolo la popolazione del nostro Paese, se mantiene lo stesso ritmo di aumento numerico, avrà bisogno di consumare oltre il 100% delle risorse totali del nostro Pianeta. Il che è matematicamente impossibile, senza contare che vi saranno allora sette miliardi di persone sul globo, ed è probabile che anch'esse vogliano avere un po' di materie prime.

Nel qual caso, come sarà il mondo?

PARTE PRIMA

Lunedì, 9 agosto 1999

La città di New York. Carpita dagli scaltri olandesi agli indiani semplicioni. Tolta con le armi dagli inglesi agli olandesi osservanti della legge. Strappata a sua volta ai pacifici inglesi dai coloni ribelli. Da decine di anni ormai, gli alberi sono stati bruciati, le colline spianate, i freschi laghetti colmati e bonificati. Le sorgenti cristalline, ora imprigionate sottoterra, riversano direttamente nelle fogne le loro acque limpide. Dall'isola di origine, la città ha lanciato tentacoli urbani in ogni direzione, diventando una megalopoli. Dei suoi cinque “borghi”, quattro ricoprono la metà di un'isola lunga più di centocinquanta chilometri, inghiottiscono un'altra isola e risalgono l'Hudson estendendosi sulla piattaforma nordamericana. Il quinto “borgo”, quello originario, è Manhattan, una lastra di roccia granitica primordiale e metamorfica, circoscritta dall'acqua, accovacciata come un ragno di pietra e di acciaio in mezzo alla sua fitta tela di ponti, gallerie, tubazioni, cavi e traghetti. Impossibilitata ad espandersi in superficie, Manhattan si è divincolata in altezza, nutrendosi della propria carne poiché demolisce i vecchi edifici per costruire i nuovi, protesa verso l'alto, sempre più in alto, eppure mai abbastanza in alto, poiché non sembra esservi un limite allo stiparsi della gente in questa città. Gli uomini che vi penetrano dall'esterno mettono su famiglia, e i loro figli, e i figli dei loro figli mettono su famiglia anch'essi, così che ora questa città è popolosa come non lo è mai stata nessun'altra nella storia del mondo.

In questa torrida giornata d'agosto 1999, New York conta (migliaio più migliaio meno) trentacinque milioni di abitanti.

CAPITOLO PRIMO

Il sole d'agosto entrava dalla finestra aperta, scottando le gambe di Andrew Rusch che finì per svegliarsi, uscendo a fatica dalle profondità di un sonno pesante. A poco a poco si rese conto che faceva caldo, che il lenzuolo sotto di lui era bagnato e spiegazzato. Si fregò gli occhi ancora chiusi e rimase lì, a contemplare le screpolature e le macchie del soffitto, sveglio solo a metà, con una sensazione di grande spaesamento. Non gli riusciva mai, nei primi momenti del risveglio, di sapere con esattezza dove si trovasse, anche se abitava in quella stessa stanza da più di sette anni. Sbadigliò, quell'impressione bizzarra sparì ed egli cercò a tentoni l'orologio che riponeva sempre su una sedia vicino al letto. Sbadigliò una seconda volta mentre si sforzava di leggere l'ora segnata nebulosamente dalle lancette sotto il vetro graffiato. Le sette… le sette del mattino e nell'apposito rettangolo si leggeva un piccolissimo numero nove. Lunedì, 9 agosto 1999, e faceva già caldo come in un forno.

L'ondata di calore che infieriva da dieci giorni continuava ad avvolgere e soffocare New York. Andy si grattò un fianco nel punto dove una goccia di sudore discendeva sulla sua pelle, poi allontanò le gambe dai raggi del sole e rassodò il guanciale sotto il capo. Dall'altra parte della parete sottile che divideva la stanza in due, gli giunse il frullio di un motore, rumore che presto si rinforzò sino a diventare un acuto ronzio.

«Buongiorno!» gridò forte Andy, ma fu subito colto da un accesso di tosse. Tossendo si alzò, attraversò la stanza per prendersi un po' d'acqua da un serbatoio appeso al muro. Ne uscì appena un filo d'acqua scura. Vuotò d'un sol tratto il bicchiere, poi picchiò con le nocche sul quadrante del misuratore di livello. L'ago oscillò avanti e indietro, ma rimase sempre vicino al segno vuoto. Occorreva riempirlo, ci avrebbe pensato lui, oggi, prima di timbrare il cartellino, alle quattro, al suo distretto. La giornata era cominciata.

Egli avvicinò il viso al lungo specchio, spaccato dall'alto in basso, dell'ingombrante armadio, fregandosi la mascella ispida di barba. Prima di andare in ufficio se la sarebbe fatta. Non ci si dovrebbe mai guardare allo specchio di buon mattino, nudi e indifesi, si disse con disgusto, osservando accigliato la pelle cerea e le gambe un po' arcuate, cosa che i calzoni usualmente nascondevano. Come faceva ad avere delle costole sporgenti come quelle di un cavallo denutrito e, al tempo stesso, la tendenza a metter su pancia? Si massaggiò l'adipe molle e si disse che il fenomeno era da attribuirsi ai troppi farinacei che mangiava, e anche al fatto di stare sempre seduto. Sul viso perlomeno segni di grasso non se ne vedevano. La sua fronte diventava purtroppo ogni anno sempre più alta, ma questo difetto era meno evidente se si tagliava i capelli a spazzola.

Hai appena raggiunto la trentina, diceva fra sé, e ti si vedono delle rughe intorno agli occhi. E il tuo naso è troppo grande. Ti ricordi dello zio Brian che diceva sempre del tuo naso che era così grande perché c'era del sangue gallese in famiglia? E quei canini sono troppo sporgenti, quando ridi somigli un po' ad una iena. Ah! Sei un bel diavolo davvero, caro il mio Andy Rusch! Lo sai da quanto tempo non sei stato con una donna? Si diede un'occhiataccia, poi andò a prendere un fazzoletto per soffiarsi il naso, il suo maestoso naso gallese.

Nel cassetto c'era solo un paio di mutande pulite e se le mise. Ecco un'altra cosa cui doveva pensare in giornata: fare un po' di bucato. L'ululato del motore continuava a farsi sentire nella stanza accanto. Andy spinse la porta di comunicazione.

«Finirai per farti venire un attacco alle coronarie, Sol,» 'disse al vecchietto dalla barba grigia, arrampicato su una bicicletta fissa, senza ruote. Pedalava con tale ardore che il sudore gli colava sul petto e inzuppava l'asciugamano legato intorno ai lombi.

«Macché!» riuscì a spiccicare Solomon Kahn, pedalando di lena. «Faccio questo esercizio ogni giorno da tanti anni che il mio cuore ne sentirebbe la mancanza se smettessi. E niente colesterolo nelle arterie, perché le risciacquo accuratamente con l'alcool. Niente cancro ai polmoni perché non posso permettermi il lusso di fumare, anche se lo volessi, e io non voglio. E all'età di settantacinque anni, niente prostata perché…»

«Sol, ti prego, risparmiami i particolari, a stomaco vuoto. Mi puoi dare un cubetto di ghiaccio?»

«Prendine due, oggi fa caldo. E non lasciare la porta aperta troppo a lungo.»

Andy apri il piccolo frigorifero appoggiato al muro, tirò fuori in fretta il contenitore in plastica della margarina, poi il cassetto del ghiaccio e fece guizzare due cubetti direttamente nel bicchiere, poi sbatté la porta. Riempì il bicchiere con l'acqua del serbatoio murale e lo mise sul tavolo accanto alla margarina. «Hai già mangiato?» chiese a Sol.

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