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Harry Harrison: Largo! Largo!

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Harry Harrison Largo! Largo!

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1999: automazione, società del benessere totale, gite sulla Luna per i “weekend”… o un mondo sovraffollato che, all’alba del nuovo millennio, è sull’orlo della catastrofe? Un mondo in cui miliardi di esseri umani sono ogni giorno di fronte al problema di estinguere la propria sete e di saziare la propria fame, vivendo di lenticchie, di farina di soja e (se hanno un colpo di fortuna, ogni tanto) di un topo morto. In una città con 35 milioni di abitanti, Andy Rush è impegnato nella caccia, solitaria e quasi impossibile, a un assassino di cui non importa niente a nessuno, nel mezzo del caotico travaglio quotidiano per la sopravvivenza. E quando infine nasce l’anno 2000, che suono ha l’augurio: “Buon secolo nuovo?”

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Non si trattava di filo spinato ordinario. Il cavo aveva un'anima di filo d'acciaio indeformabile, un metallo speciale che si poteva attorcigliare, arrotolare o stendere, ma tornava sempre alla sua posizione iniziale, appena cessava la trazione o la spinta esercitata su di esso. Mentre il filo spinato ordinario sarebbe rimasto fermo ed ammucchiato lì dov'era caduto, quello invece cercava di riprendere la sua forma iniziale, e si muoveva ostinatamente come una belva cieca, appena lasciato libero, dipanandosi e distendendosi da solo lungo la strada. I poliziotti, con le mani coperte da spessi guantoni, afferravano le estremità del filo e lo guidavano nella direzione voluta per stendere una barriera nel mezzo della strada. Due rotoli di questo filo, nello scontrarsi, lottarono ciecamente fra di loro, avvinghiati, impennandosi e ricadendo, e ricominciando a lottare in una morsa stritolante. Quando l'ultima spira fini di graffiare con le sue staffilate il marciapiede, la strada era bloccata da un muro di filo spinato, alto un metro e largo altrettanto.

Ma non era finita. La gente continuava a irrompere dal sud, lungo le strade non ancora sbarrate. Era una situazione senza via d'uscita, una confusione fatta di urli, di lotte. Dell'altro filo spinato avrebbe senza dubbio fermato la ressa, ma occorreva dello spazio per lanciare i rotoli. La polizia era spinta avanti e indietro da quella fiumana e gli elicotteri al disopra della folla ronzavano come api impazzite.

Uno schianto fragoroso e improvviso fu seguito da strilli acuti. La pressione della calca aveva infranto una vetrina di Klein e sugli spuntoni di vetro veniva schiacciata della carne viva. Scaturirono gemiti di dolore e sangue. Andy si aprì con violenza una strada controcorrente verso la vetrina spaccata. Una donna con gli occhi sbarrati e il sangue che sgorgava da una ferita aperta sulla fronte gli cadde addosso, poi fu trascinata via. Andy era più vicino, ora, ma poteva appena muoversi. Al disopra degli urli della gente udì il fischietto acuto della polizia. C'era della gente che scavalcava la vetrina rotta, calpestava perfino i corpi sanguinanti dei feriti per afferrare le scatole che vi erano ammucchiate. Era il retro del reparto alimentari di Klein. Andy urlò mentre si avvicinava. Non udiva nemmeno la propria voce in quel frastuono. Tentò di afferrare un uomo con le braccia colme di pacchi, che si faceva strada a spintoni fuori della vetrina. Lui non riuscì a prenderlo, ma la gente si. L'uomo fu soffocato dalle mani avide, i pacchi strappati dalle sue mani.

«Fermi!» gridava Andy. «Fermi!» Ma non poteva fare niente. Si sentiva, come in certi incubi, legato, paralizzato. Un ragazzo cinese magrissimo, in pantaloni corti e camicia rattoppata, strisciò fuori della vetrina a poca distanza dalle dita di Andy. Stringeva sul petto una scatola bianca di polpette di soylent e Andy poté solo tentare di allungare il braccio e niente altro. Il ragazzo lo guardò, non vide nulla, volse lo sguardo altrove e piegandosi in due per nascondere il suo pacco, cominciò a strisciare a lato della folla, contro il muro, aprendosi una strada con il suo corpo esile. Poi furono visibili solo le gambe con i muscoli tesi come se lottasse contro una marea contraria, i piedi a metà fuori dei sandali risuolati con gomma da copertoni. Sparì e Andy lo dimenticò. Tentò di raggiungere la vetrina rotta e si affiancò al poliziotto dalla camicia a brandelli che lo aveva preceduto. Il poliziotto fece roteare il suo bastone sulle mani annaspanti e riuscì a liberare uno spazio. Andy fece altrettanto e colpì abilmente un saccheggiatore che tentava di fuggire passando fra loro due. Poi ne respinse il corpo dentro la vetrina, mentre i pacchi si sparpagliavano all'intorno. Le sirene cominciarono ad ululare e una schiuma bianca si alzò al disopra della folla mentre gli autocarri attrezzati cominciavano a farsi strada con i potenti getti dei loro idranti.

CAPITOLO SECONDO

Billy Chung riuscì a far sparire il contenitore di plastica con le polpette di soylent sotto la camiciola. Bastava piegarsi in due che non lo si notava nemmeno. Poté muoversi ancora per un po'; poi la calca fu talmente densa che riparò contro il muro, respingendo la foresta di gambe che lo urtavano e che gli schiacciavano il viso contro il tiepido muro di mattoni. Non tentava neanche di muoversi. Un ginocchio lo colpì sul lato destro del capo e lo intontì quasi del tutto. La prima cosa di cui fu poi conscio fu un getto di acqua fredda sul dorso. Gli idranti per disperdere la folla erano arrivati. Una colonna d'acqua gli passò addosso inchiodandolo al muro e continuò la sua corsa. La spinta della folla era diminuita ora ed egli si rialzò, tremante, guardandosi intorno per vedere se nessuno avesse notato l'involto nascosto; no, nessuno lo aveva notato. Gli ultimi della turba, alcuni dei quali feriti e contusi, tutti ugualmente inzuppati, defluivano oltrepassando i lenti carri pompa. Billy si unì a quelli e voltò per Irving Place, dove c'era meno gente, guardando disperatamente in giro, in cerca di un luogo in cui nascondersi, di un buco dove avrebbe potuto rimanere solo qualche minuto, la cosa più difficile da trovare in quella città. La sommossa era terminata; da un momento all'altro qualcuno lo poteva notare e chiedersi che cosa avesse sotto la camicia e lui le avrebbe buscate di santa ragione. Quella non era la sua zona, non vi era neppure un cinese in quei paraggi, lo avrebbero individuato, lo avrebbero visto… Corse per un po', ma gli venne il fiato grosso e si accontentò di un passo veloce. Doveva pur esserci un posticino.

Ecco, trovato: riparazioni o qualcosa di simile, presso un caseggiato. Era un buco profondo, scavato fino alle fondamenta dell'edificio, con le tubazioni scoperte e una pozza d'acqua melmosa in fondo. Si sedette sull'orlo spaccato del marciapiede, appoggiandosi a una delle transenne che circondavano lo scavo, chinato in avanti, e si guardò rapidamente intorno. Nessuno gli badava, ma c'era un sacco di gente a poca distanza, che usciva dalle case o seduta sui gradini d'ingresso, che stava a guardare il passaggio della turba malconcia. Preceduto dal rumore dei suoi passi precipitosi un uomo arrivò di corsa lungo il centro della strada, con un grande pacco sotto il braccio, guardandosi ferocemente intorno, col pugno chiuso. Qualcuno gli fece uno sgambetto ed egli cadde urlando mentre le persone più vicine gli si gettavano addosso, afferrando i crackers sparsi in terra. Billy sorrise. Per il momento nessuno lo guardava, e scivolò oltre il bordo del marciapiede, lasciandosi cadere nel buco, con l'acqua melmosa che gli veniva alla caviglia. Era un buco scavato intorno a un grosso tubo di ghisa di trenta centimetri, tutto corroso. Formava una piccola cavità nella quale egli indietreggiò per nascondersi. Non era la perfezione ma poteva andare, anzi andava benissimo. Dall'alto si sarebbero veduti solo i piedi. Si sdraiò su un fianco, sulla terra fresca e strappò la chiusura della scatola.

Guarda un po', guarda un po', continuava a dire, e rideva perché si accorgeva di avere già l'acquolina in bocca. Dovette sputare la troppa saliva. Polpette di soia! Ve n'era una scatola piena. Belle. Grandi un palmo. Ne addentò una, si strozzò, cercò d'ingoiarla, spingendo le briciole in bocca con le dita sporche, finché la bocca fu tanto piena da non poter deglutire. Masticava con delizia quella materia soffice. Da quanto tempo non mangiava roba così buona?

Billy inghiottì tre di quelle polpette facendo di tanto in tanto una pausa fra un morso e l'altro, cacciando fuori la testa con cautela, respingendo sulle tempie i capelli neri e lisci che gli coprivano gli occhi quando guardava in su. Nessuno l'aveva visto. Estrasse altre polpette dalla scatola, masticandole ora più lentamente, e si fermò soltanto quando sentì che il suo stomaco era gonfio all'inverosimile e brontolava per l'insolita condizione di sazietà. Mentre si leccava le ultime briciole di soia dalle mani, abbozzò il suo piano e già si pentiva di aver mangiato tante di quelle polpette. Erano buona merce di scambio. Erano soldi, e i soldi erano proprio ciò di cui aveva bisogno. Quelle polpette erano roba preziosa, avrebbe potuto saziarsi altrettanto con i crackers di alghe. Maledizione! La scatola di plastica bianca era troppo vistosa se la trasportava apertamente, troppo voluminosa per nasconderla sotto la camicia. Bisognava avviluppare le polpette in qualche cosa. Forse il suo fazzoletto. Lo estrasse dalla tasca, uno straccio sporco e sgualcito ritagliato in un vecchio lenzuolo, e vi impacchettò le ultime dieci polpette, annodando gli angoli affinché non cadessero. Quando se lo infilò sotto la cintura, vide che il gonfiore non si notava molto, sebbene il pacco poggiasse sgradevolmente sulla sua pancia piena. Poteva andare.

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