«Mi spiace siate stata coinvolta in questa…»
«Figuratevi, è un piacere!» disse la signora Miles. «Speravo proprio che attaccasse briga, l'avrei polverizzata. Me ne intendo io, di quel tipo di persone.»
«Credetemi, io non le devo affatto dei soldi.»
«E che importa? Sarebbe più bello invece se gliene doveste. Che piacere poter imbrogliare una come quella!»
La signora Miles salutò Shirl davanti alla sua porta e scomparve con passo marziale nell'oscurità. Improvvisamente stanca, Shirl salì lentamente le interminabili scale che portavano all'appartamento e aprì la porta che non chiudeva più a chiave.
«Mi sembri esausta,» le disse Sol.
Spariva sotto una montagna di coperte dalle quali gli usciva soltanto il viso. Il suo berretto da notte di lana era calcato sino agli orecchi.
«Spegnimi quella roba, ti prego, non so se diventerò prima cieco o sordo.»
Shirl pose la borsa sul tavolo e spense la TV che andava a pieno volume.
«Fuori fa proprio freddo,» disse. «È perfino freddo qui dentro. Ora accendo il fuoco e nello stesso tempo faccio un po' di minestra.»
«Basta con quella schifosa carne in scaglie,» si lamentò Sol e fece una smorfia.
«Non dovreste parlare così,» disse Shirl con pazienza. «È carne vera, ed è proprio ciò di cui avete bisogno.»
«Ciò di cui ho bisogno non esiste più. Tu lo sai di preciso cosa sono le scaglie di carne? L'ho sentito oggi alla TV. Non avevo nessuna voglia di sentirlo, ma come facevo a spegnere quel dannato apparecchio? Un programma sull'addomesticamento di animali selvaggi in Florida. Selvatici! Dovrebbero sentirlo un po', quelli di Miami Beach! Pensa che hanno deciso di non prosciugare gli acquitrini della Florida, e di usarli per scopi indescrivibili: fattorie di lumache… che ne dici? Alleveremo la lumaca gigante sud-africana. Tre etti di carne per guscio. Pulita, tagliata, essiccata, irradiata, imballata, sigillata e spedita ai contadini affamati, qui, nel Nord gelato. Carne in scaglie… che ne pensi?»
«Mi sembra una buona cosa,» disse Shirl, rimescolando le briciole brune, lignose nella pentola. Ho visto una volta un film alla TV, dove c'era gente che mangiava lumache, doveva essere in Francia. Si diceva che fosse un cibo prelibato…
«Per i francesi, forse, non per me…» Sol fu colto da un accesso di tosse che lo lasciò stremato e pallido, accasciato sul guanciale con un respiro rapidissimo.
«Volete bere un po' d'acqua?» chiese Shirl.
«No… ora va bene.» La sua rabbia era scomparsa con il colpo di tosse. «Mi spiace darti tanto da fare, bambina. Ti occupi di me e tutto quanto. Il fatto è che non sono abituato a star fermo. Per tutta la vita sono stato in ottima forma, ho fatto del moto ogni giorno, questo è il mio segreto. Ho badato a me stesso, non ho mai chiesto nulla a nessuno. Ma c'è una cosa che non si può fermare,» guardò tristemente il letto, «il tempo che avanza. Le ossa diventano fragili, e se tu cadi, addio, ti mettono nel gesso fino al collo.»
«La minestra è pronta.»
«Non subito, non ho fame. Forse potresti aprire la TV? No, lascia. Ne ho abbastanza. Nel telegiornale hanno detto che la Legge di Emergenza sarà approvata forse dopo altri due mesi di discussioni e di chiacchiere al senato. Io non ci credo. Troppa gente non sa nulla di quella legge o non gliene importa nulla. Pertanto non fa pressione al Congresso. Avremo ancora della madri di dieci figli che muoiono in tenera età, e loro saranno sempre convinte che le famiglie poco numerose non sono benedette da Dio.»
«Su, andiamo, le cose non sono poi così brutte come le dipingete voi. In questo momento, si studiano dei rimedi.»
«È la solita storia del troppo tardi e troppo poco. Il mondo è andato (non sta andando, bada è andato) in rovina; e ne siamo stati noi gli artefici.»
Shirl rimescolò la minestra e gli sorrise. «Non state forse esagerando un pochino? Non si può veramente addossare tutti i nostri guai a un eccesso di popolazione.»
«Accidenti, se si può, scusa l'espressione. Il carbone che si prevedeva sarebbe durato dei secoli, si è completamente esaurito perché tanta gente aveva bisogno di scaldarsi. Così anche il petrolio. Ne è rimasto così poco che non possiamo permetterci di farne del combustibile. Si deve trasformare tutto in prodotti chimici, plastica e altri materiali. E i fiumi, chi li ha inquinati? L'acqua, chi l'ha bevuta? Il suolo coltivabile, chi l'ha impoverito con le coltivazioni intensive? Tutto è stato inghiottito, distrutto, consumato, esaurito. Che cos'è rimasto, qual è l'unica nostra risorsa naturale? I parcheggi in disuso, ecco che cosa è rimasto. Tutto il resto è stato consumato, e cosa abbiamo da mostrare in cambio? Un paio di miliardi di vecchie automobili arrugginite. Un tempo avevamo il mondo intero nelle nostre mani, ma ce lo siamo mangiato, bruciato. Ora è finito. Un tempo la prateria brulicava di bisonti, almeno così dicevano i miei libri di scuola quando ero bambino. Ma io non ne ho mai visti, perché ne avevano fatto bistecche e scendiletti, già ai miei tempi. E credi che questo abbia destato un'impressione qualsiasi sulla razza umana? O il fatto che le balene, i colombi viaggiatori, le gru migranti o qualsiasi altra specie di animale sia estinta? Un baffo, gli ha fatto. Negli anni cinquanta e sessanta si è parlato in lungo e in largo di costruire degli impianti tecnici per depurare l'acqua di mare e irrigare il deserto in modo da creare una regione fertile, eccetera, eccetera. Chiacchiere e nient'altro. Se alcune persone vedevano la minaccia, ben chiara, ciò non è bastato a farla vedere e capire ad altri. Per costruire un impianto atomico occorrono almeno cinque anni. Quelli che avrebbero dovuto fornire l'acqua e l'elettricità di cui abbiamo bisogno oggi avrebbero dovuto essere costruiti allora. Non l'hanno fatto. È semplicissimo, no?»
Si rimise a tossire, più a lungo, questa volta, e quando l'accesso di tosse cessò rimase immobile, esausto sul letto. Shirl gli si avvicinò per rimboccargli le coperte, e rassodare i guanciali. Quando la sua mano incontrò quella del vecchio, gli occhi le si spalancarono e mormorò:
«Siete caldo, scottate. Non avrete mica la febbre?»
«La febbre?» volle fare un risolino ma gli venne ancora la tosse, e questo colpo lo lasciò ancora più debole di prima. Quando tornò a parlare la sua voce era bassissima. «Senti, cara, io ho una malattia inguaribile: la vecchiaia. Sono ormai un sacco vuoto, immobilizzato su questo letto, chiuso nel gesso, non mi posso muovere e qui fa tanto freddo da congelare anche una scimmia di bronzo. Il minimo che mi possa capitare sono le piaghe da decubito, ma vi sono più probabilità che mi prenda la polmonite.»
«No!»
«Sì, è inutile nascondere la verità. Se me la prendo, me la prendo. Ora fai la brava e mangiati la tua minestra, io non ho fame e mi farò invece un sonnellino.» Chiuse gli occhi e adagiò la testa sui guanciali.
Andy quella sera venne a casa dopo le sette. Shirl riconobbe i suoi passi nel corridoio e gli andò incontro con un dito sulle labbra, poi lo condusse silenziosamente nell'altra stanza, indicando Sol che dormiva sempre e respirava affannosamente.
«Come si sente?» chiese Andy cominciando a sbottonare il suo cappotto inzuppato. «Che notte! Pioggia e nevischio.»
«Ha la febbre,» disse Shirl, incrociando nervosamente le mani. «Dice che ha la polmonite. Credi sia possibile? Che cosa possiamo fare?»
Andy si fermò prima di togliersi il cappotto. «È molto caldo? Ha tossito?» chiese a Shirl, e lei assentì. Andy aprì la porta, ascoltò il respiro di Sol, poi la chiuse nuovamente e si riabbottonò.
«Mi avevano avvertito di questa possibilità all'ospedale. Capita quasi sempre ai vecchi costretti a letto. Ho qui gli antibiotici che mi avevano dato. Ora glieli daremo, poi vado a Bellevue e vedo se posso averne ancora. Vedrò anche se possono riprenderlo. Dovrebbe stare sotto una tenda di ossigeno.»
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