Fritz Leiber - L'alba delle tenebre

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L’alba delle tenebre

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I tecnici agli ordini di Deth puntarono uno strumento contro la figura del lupo, che si dissolse rapidamente. Intere parti del corpo scomparvero all’istante, mentre altre, che non erano state centrate dalla prima messa a fuoco, rimasero intatte; a dire il vero c’era qualcosa di terribilmente diabolico in quei residui di solidogramma, che forse erano più spaventosi dell’immagine completa del mostro: un orecchio qui, una zampa là, un ciuffo di peli sporchi e più ruvidi dell’erba, l’orbita luciferina di un occhio. Ma nel complesso il risultato ebbe un effetto rassicurante sugli arcipreti.

— Naturalmente, non c’era alcuna necessità di farlo sparire — riprese Goniface freddamente. — Ma ho optato per questa soluzione per dimostrarne in maniera inequivocabile la natura solidografica. I nostri confratelli del Quarto Circolo sono riusciti a dissolvere l’immagine del lupo utilizzando uno strumento di recente invenzione: il neutralizzatore di polifrequenze. In altre parole, quella che abbiamo visto era soltanto un’immagine di natura fotonica, che si è dileguata nel nulla appena i nostri tecnici hanno applicato il principio dell’interferenza. Tutti i fantasmi messi in campo dalla cosiddetta Nuova Stregoneria sono di questo genere e per eliminarli basta trovare e distruggere i proiettori nascosti in città. È soltanto una questione di tempo, anche senza le informazioni di cui saremo presto in possesso. — Così dicendo, lanciò un’occhiata significativa al gruppo delle streghe e degli stregoni. — Se volessimo — riprese dopo una breve pausa d’effetto — potremmo, senza alcuna difficoltà, isolare questa sala, e l’intero Santuario, in modo che non vi penetrino più simili proiezioni. Ma non ve ne è alcun bisogno. I nostri scienziati sono convinti che il nemico non possa trasmettere frequenze e intensità nocive per il nostro fisico. Se decidessimo di isolare il Santuario daremmo la falsa impressione di avere paura. — Quindi, con un tono che non ammetteva repliche, aggiunse: — Ordino a tutti i sacerdoti e ai diaconi presenti in questa Camera di non prestare alcuna attenzione a qualsiasi altra immagine venga proiettata all’interno di queste mura.

Dopodiché si sedette, ma solo per accorgersi immediatamente che nella sala regnava una leggera afa e che all’improvviso una luce rosso fuoco aveva pervaso l’ambiente, facendo apparire ogni cosa nebulosa e indistinta.

Disubbidendo all’ordine che avevano appena ricevuto, gli arcipreti balzarono in piedi e si precipitarono all’estremità opposta del tavolo, allontanandosi il più possibile dallo scranno di Goniface. Perché, dove un attimo primo aveva preso posto il Sommo Gerarca, adesso sedeva un enorme diavolo rosso, con lunghe gambe pelose, che sembravano trapassare il tavolo, e una grande testa cornuta che scuoteva da una parte all’altra, rivolgendo ai sacerdoti ampi sorrisi diabolici. Arrotolata sopra una spalla, simile a una scimmia accoccolata, spiccava la robusta coda, anch’essa colore del fuoco, che terminava in una malefica punta ricurva.

All’interno dell’immensa figura rossa, il profilo di Goniface appariva sfocato, come un insetto racchiuso in una perla d’ambra opaca.

Poi l’arciprete si alzò e, per un attimo, la sua testa emerse dalla sagoma vermiglia. Ma subito dopo anche il diavolo si alzò, provocando grande turbamento nel gruppo dei prigionieri, molti dei quali caddero in ginocchio e, con voce adorante, gridarono: — Signore! Signore!

Il vecchio Sercival alzò una mano tremante. I suoi piccoli occhi lucenti saettarono sgomenti per la stanza. Non sembrava tanto spaventato quanto furente.

— Che cosa significa tutto questo? — urlò. — Che abbiamo votato per Satanas in persona?

Anche i tecnici di Deth disobbedirono agli ordini e, girando rapidamente il proiettore, lo puntarono contro il solidogramma e lo neutralizzarono. A poco a poco, Goniface riemerse dall’involucro vermiglio, prima il capo, poi il resto del corpo. Nessuno ricordava di averlo mai visto così scuro in volto.

Ma prima che il Sommo Gerarca potesse aprire la bocca, dalla schiera dei diaconi si levò un grido di terrore. All’improvviso, una nube nera come l’inchiostro aveva avvolto le streghe e gli stregoni inginocchiati, e, espandendosi a velocità rapidissima, minacciava di invadere tutta la sala. I diaconi di guardia ai prigionieri emersero dalla tenebra vacillando, le braccia protese in avanti, gli occhi sbarrati.

— Le verghe dell’ira! — tuonò Goniface, mentre la nube lambiva pericolosamente i tecnici e i loro strumenti. — Agitatele all’altezza del busto e se la tenebra non si dissolve, continuate ad avanzare ugualmente. Non esiste nulla in grado di neutralizzare l’energia delle verghe!

Raggi fiammeggianti crepitarono contro le pareti grigie della Camera, per poi puntare al centro, verso la nuvola scura. In un ultimo disperato tentativo di offesa, la nube emise uno pseudopodio nero come la pece che si diresse verso la grande porta della sala. Ma i raggi dell’ira lo colpirono e lo disintegrarono. La nube si dissolse all’istante e i raggi dell’ira vennero disattivati.

— Se in questa Camera verranno proiettati altri solidogrammi, darò l’ordine di uccidere le streghe! — proclamò Goniface severamente. — Per ogni solidogramma, verranno giustiziati cinque prigionieri!

— Perché non li fate sopprimere tutti subito? — chiese il vecchio Sercival. — Un attimo fa avete intimato che venissero trucidati con le verghe dell’ira, come io avevo consigliato fin dall’inizio!

— Era soltanto un espediente, reverenza — rispose Goniface laconicamente. — Ma mi rendo conto di quanto possa essere difficile per uno spirito santo come il suo capire simili questioni mondane!

Di fronte a quell’aspra critica, Sercival si quietò, ma continuò a mugugnare fra sé e sé, scuotendo la testa. Era chiaro che molti arcipreti avrebbero tirato un profondo sospiro di sollievo se Goniface avesse seguito il consiglio del vecchio Fanatico.

— Che l’interrogatorio abbia inizio! — ordinò Goniface.

Due diaconi si avvicinarono al gruppo dei prigionieri, scelsero una donna e la condussero verso la poltrona accanto alla quale li attendeva Cugino Deth. Era una ragazza bionda, di costituzione molto gracile per essere una popolana. Aveva il viso aguzzo e la sua pelle era candida come la cera.

Seguì docilmente le due guardie per alcuni metri, ma quando raggiunsero la poltrona cominciò a dibattersi come un animale selvaggio, a mordere e a graffiare. Poi però, non appena i diaconi la afferrarono per le braccia, le convulsioni l’abbandonarono.

Il chierico lesse ad alta voce: — Mewdon Chemmey, perché questo, anche se tu lo neghi, è il nome con il quale sei stata identificata: è mio dovere consigliarti di rispondere alle domande in modo veritiero e soddisfacente. In caso contrario, ci costringerai ad assumere lo sgradevole onere di persuaderti a farlo. Nelle civiltà del passato venivano utilizzati strumenti di ogni tipo per provocare dolore: la ruota, il dado, il trapano e molti altri. Ma la Gerarchia è misericordiosa e non ama le mutilazioni. Per questo i suoi sacerdoti hanno messo a punto un congegno in grado di riprodurre i medesimi effetti provocati da quegli strumenti agendo direttamente sulle fibre dolorifiche. Così, si raggiungono i medesimi obbiettivi senza che il prigioniero riporti alcuna ferita o menomazione fisica: solo un grande spavento e qualche convulsione. Inoltre, questo metodo presenta un ulteriore vantaggio: non è necessario interrompere la tortura per paura che un grave danno all’organismo possa provocare la morte dell’inquisito.

Detto questo il chierico si sedette.

Con grande tranquillità, Deth fece alcuni passi verso il centro della sala, poi si arrestò bruscamente e si girò verso la strega.

— Come ti chiami? — domandò.

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