Fritz Leiber - L'alba delle tenebre
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- Название:L'alba delle tenebre
- Автор:
- Издательство:Casa Editrice La Tribuna
- Жанр:
- Год:1965
- Город:Piacenza
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E Deth doveva essere molto vicino, perché le streghe e gli stregoni riuniti nella sala ebbero appena il tempo di balzare in piedi, prima che un drappello di diaconi armati di verghe dell’ira facesse irruzione nella stanza.
All’improvviso, dal semi-cerchio dei capi delle congreghe provenne un rumore di passi frettolosi, mentre uno stuolo di ombre indistinte e agilissime attraversarono il pavimento, come topi in corsa precipitosa verso la tana. Ma prima che Jarles potesse attivare il suo raggio dell’ira, erano già svaniti.
Asmodeo fu l’unico essere umano a reagire rapidamente al segnale di pericolo. Con un balzo raggiunse la scultura luciferina dietro il trono. Lo spesso getto viola di una verga uccise una strega e poi rimbalzò su di lui. Per un attimo, mentre il suo campo assorbente si tendeva per neutralizzare l’energia della verga, la sua tenebra brillò di una luce spettrale. Ma prima che il suo campo cedesse, lui era già dietro la scultura.
Jarles cercò di aggirare la statua, che sembrava in grado di resistere alla forza di penetrazione del raggio, per colpirlo di lato. Gli attaccanti erano troppi perché Asmodeo potesse fronteggiarli tutti. Per il momento era riuscito a mettersi al riparo, ma non avrebbe potuto resistere a lungo.
Non dietro la scultura, per lo meno. Ma al suo interno sì.
Un forte colpo e l’impatto con l’estremità di un campo di repulsione si abbatté su Jarles mandandolo a rotolare per terra. La statua luciferina si mosse, poi si sollevò e immediatamente una dozzina di lingue di fuoco viola mirarono all’apertura nel soffitto.
Riverso a terra, Jarles ebbe l’amara conferma che la prima impressione che aveva avuto era esatta. La statua era come un angelo… si muoveva. E il condotto attraverso cui era sparita doveva portare alla superficie, dove con ogni probabilità era camuffato da un camino.
Deth aveva detto che in quel tratto il cielo era pattugliato dagli angeli. Rappresentavano la loro ultima risorsa. Ormai la speranza di catturare Asmodeo era legata a un filo.
13
Nella sala grigio-perla in cui era riunito il Sommo Concilio, Goniface osservò Fratello Frejeris mentre si alzava in piedi per accusarlo. Vi era una nota vellutata nella voce del capo dei Moderati. — Ho capito bene il motivo per cui hai ordinato al tuo servo. Cugino Deth, di portare qui questi strumenti?
Con un gesto della mano indicò alcune macchine luccicanti disposte davanti al tavolo del Concilio. Spiccava fra tutte una poltrona, dotata di cinghie che servivano per tenervi legata la persona che vi ci fosse fatta sedere. Un gruppo di tecnici del Quarto Circolo, agli ordini di Cugino Deth, stava verificando il funzionamento dei singoli apparecchi.
Goniface annuì.
— Tortura! — Frejeris scandì quella parola con sdegno. — Siamo dunque diventati barbari, come paventavano i nostri padri dell’Età dell’Oro, per abbassarci a simili brutalità?
L’idea della brutalità lo sconvolge, pensò Goniface divertito. Mi chiedo che nome dia al lavoro a cui costringiamo i cittadini comuni o alle penitenze che imponiamo loro nei confessionali.
Frejeris continuò: — All’improvviso, il nostro caro Fratello Goniface ci informa che alcuni suoi agenti hanno arrestato un gruppo di individui che, stando a quanto afferma, rappresenterebbero una minaccia per la Gerarchia. I suoi agenti sono entrati in azione senza informare preventivamente il Sommo Concilio e senza la sua autorizzazione, cioè in flagrante violazione di tutte le procedure. Adesso, Fratello Goniface viene a dirci che questi prigionieri che ha catturato di sua iniziativa sarebbero esponenti della Nuova Stregoneria. E, come se ciò non bastasse, non prende neppure in considerazione l’idea di ricorrere ai metodi scientifici di cui disponiamo per indurii a dire la verità, ma propone addirittura di interrogarli sotto tortura! Anzi, ha fatto di più: prevaricando ancora una volta il Sommo Concilio, ha dato ordine che venissero approntati gli strumenti per portare a compimento il suo piano! Io mi rivolgo al Concilio e chiedo: perché questa regressione nella barbarie?
“Vi dirò io il perché — riprese Frejeris dopo una pausa drammatica. La sua voce potente divenne più profonda e vibrante. — E, così facendo, vi dimostrerò che Goniface è un arrivista spietato, desideroso soltanto di impadronirsi del potere assoluto. Vi dimostrerò che agendo nell’ombra ha dato vita a una gerarchia all’interno della Gerarchia, una cricca di diaconi e di sacerdoti fedeli soltanto a lui. Vi dimostrerò che sta approfittando della questione della Stregoneria, esaltando il pericolo che essa rappresenta, per fomentare una crisi mondiale e salire al potere adducendo come scusa la salvezza della stessa Gerarchia!”
Dopo aver pronunciato quelle ultime parole con inaudita veemenza, Frejeris tacque alcuni istanti, scrutando intensamente i volti degli arcipreti seduti dietro al tavolo prima di sferrare l’attacco finale.
Ma non fu così che andarono le cose. Perché l’arciprete Jomald, caporione dei Realisti, si alzò in piedi e, come se si trattasse di una questione di ordinaria amministrazione, disse semplicemente: — L’arciprete Frejeris ha messo in grave pericolo la Gerarchia ostacolando e ritardando l’azione contro la Stregoneria. Se lo lasceremo libero di assecondare i suoi capricci, lui continuerà sulla medesima strada. Le motivazioni che adduce sono estremamente sospette. Io propongo che venga scomunicato per la durata di un anno intero. Chiedo inoltre che su questa proposta il Concilio si esprima subito con una votazione.
Frejeris lo squadrò con un’occhiata di gelido disprezzo, come se fosse semplicemente offeso per l’inaudito affronto di quella interruzione tanto villana.
— Approvo! — berciò inaspettatamente Fratello Sercival dal suo scranno, accanto a quello di Goniface.
Persino il vecchio Fanatico fa il nostro gioco, pensò quest’ultimo.
Ma nonostante questo, Frejeris continuò a non capire e rimase immobile, come se attendesse che quella serie di disdicevoli interruzioni finisse e lui potesse finalmente riprendere la parola. Era un uomo di superba dignità e grande regalità di portamento.
I suoi stessi Moderati intuirono quello che stava per succedere prima di lui. E malauguratamente per lui, i loro sguardi esprimevano più paura che indignazione.
— Allora, ci sono obiezioni alla mia richiesta di mettere la proposta ai voti? — chiese Jomald. Il tono della sua voce era inesorabile e, nel silenzio, ogni sua parola risuonò come un colpo di mannaia.
Con grande titubanza, lanciando occhiate interrogative da un capo all’altro del tavolo, uno dei Moderati fece un timido tentativo di alzarsi in piedi. Ma l’impassibilità degli altri arcipreti lo convinse a cambiare repentinamente idea, e si lasciò ricadere sul suo scranno evitando di incrociare lo sguardo di Frejeris.
Fu solo allora che Frejeris capì. A suo onore va detto che nemmeno in quel momento perse la calma e il suo volto, grande e bello, conservò intatta la sua statuaria dignità.
Uno dopo l’altro gli arcipreti appoggiarono sul tavolo lucente il pugno chiuso, decretando così la sua condanna. Frejeris lanciò loro occhiate sprezzanti, ma più come un uomo che ricusi uno sgarbo, che come un prete che stia per essere scomunicato.
Alla fine non una sola mano era stata appoggiata sul tavolo con il palmo rivolto verso il basso, in segno di opposizione alla proposta, e solo due Moderati si erano astenuti, e il loro disagio era evidente.
— Eseguite la sentenza — tuonò Jomald rivolto al gruppo di tecnici del Quarto Circolo.
Molti arcipreti, che solo a quel punto si resero conto di come ogni cosa fosse stata attentamente preordinata, tradirono sorpresa.
Ma anche in quella circostanza, Frejeris mantenne la calma. I Moderati che gli sedevano accanto si ritrassero per la paura; lui, invece, non indietreggiò e rimase ritto al suo posto, come una statua di marmo.
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