Il robot costellato di gioielli spinse avanti il carrello. Vi erano ammonticchiate in bell’ordine venti colonne, alte quattro piedi, di sottili libri rilegati le cui sovraccoperte elegantemente intonate avevano a loro volta una lucentezza gemmea. In cima al mucchio c’era un oggetto dalla forma irregolare avvolto di seta bianca.
— Noi siamo Gente di Penna — annunciò la femmina guardando in faccia Heloise e parlando con i toni penetranti che una imperatrice userebbe in una rumorosa piazza del mercato. — Per oltre un secolo noi abbiamo preservato le tradizioni del vero scrivere creativo, nelle nostre cerchie selezionate, in attesa del giorno glorioso in cui le orride macchine che confondono le nostre menti sarebbero state distrutte e lo scrivere sarebbe ritornato ai suoi unici veri amici… gli ispirati e devoti dilettanti. Per anni e anni abbiamo spesso esecrato il vostro sindacato per la sua complicità nella congiura intesa a fare dei mostri metallici i nostri padroni spirituali: ma ora desideriamo riconoscere il vostro coraggio nel distruggere i tirannici mulini-a-parole. Perciò, vi faccio dono di due pegni della nostra stima. Parkins!
Il costosissimo robot aprì la seta bianca, rivelando una statua d’oro, lucente come uno specchio, raffigurante un giovane nudo che affondava una enorme spada nel diaframma di un mulino-a-parole.
— Guardate! — gridò la femmina. — È opera di Gorgius Snelligrew, eseguita, fusa e levigata in un solo giorno. È posata sull’intera produzione letteraria della Gente di Penna durante l’ultimo secolo… Gli snelli candelieri, avvolti in sovraccoperte pastello cosparse di polvere di gemme, grazie ai quali abbiamo tenuto viva la fiamma della letteratura durante l’arida età delle macchine ora conclusa: millesettecento volumi di versi immortali!
Suzette scelse quel momento per arrivare ancheggiando e reggendo una coppa di cristallo piena di liquido bianco, dalla quale si levava una fiamma azzurra alta mezzo mètro.
La posò di fronte a Homer e la coprì per un attimo con un piatto d’argento.
Poi tolse il piatto. La fiamma era scomparsa e l’insopportabile puzzo della caseina bruciata riempì l’aria.
Con un’ultima mossa delle sue anche impertinenti, Suzette annunciò: — Ecco qui, caldo al punto giusto… il vostro latte alla fiamma, M’sieu.
Flaxman e Cullingham sedevano fianco a fianco nell’ufficio ripulito per metà.
Joe la Guardia aveva ricevuto l’ordine di andare a letto: era in uno stato di assoluta prostrazione, dopo una notte di incessanti pulizie. Dormiva su una branda nella toeletta maschile, con la sua pistola-puzzola sotto al cuscino, insieme a una compressa violetta di Odor-Ban che Zane Gort gli aveva messo prudentemente vicino. Zane e Gaspard, che si erano presentati al lavoro all’alba, erano stati spinti fuori per mettere a letto Joe e poi per controllare i sistemi antifurto di tutti i magazzini che avevano un contenuto di valore inestimabile, costituito dai libri mulinati di fresco.
I due soci erano soli. Era quell’ora immacolata che, in una giornata di affari, precede l’inizio dei guai.
Quindi Flaxman la macchiò.
— Cully, so che riusciremo a convincere le uova, ma, nonostante tutto, l’intero progetto non mi entusiasma — disse tristemente.
— Dimmi perché, Flaxie — rispose tranquillo l’altro. — Credo di avere una specie di intuizione.
— Ecco il mio caro papà mi ha fatto venire un complesso delle teste d’uovo. Una fobia, potresti dire. Un accidente di fobia… fino ad ora non mi ero accorto di quanto fosse grande. Vedi, papà considerava le uova come un sacro pegno che doveva essere custodito come un grande segreto, da celarsi perfino a quasi tutti i membri della famiglia: quella specie di sacro pegno che un tempo avevano le vecchie famiglie aristocratiche inglesi. Sai, nel sotterraneo c’è l’originale in ghisa della corona d’Inghilterra, custodita da un mostro bavoso a forma di rospo; o forse c’è un prozio immortale che è impazzito alle Crociate, è diventato verde e scaglioso e deve bere il sangue di una vergine ogni volta che c’è la luna piena. O forse è una combinazione di una cosa e dell’altra, e nel sotto-sotterraneo, nella segreta più profonda, custodiscono il legittimo re d’Inghilterra di sette secoli prima, solo che ora è diventato un mostro a forma di rospo e deve bere una vasca piena di sangue di vergine ogni volta che spunta la luna… in ogni caso, c’è questo sacro pegno che custodiscono e che devono giurare di conservare, e quando il figlio ha tredici anni il padre deve dirgli tutto, con un mucchio di domande e risposte rituali, come Chi Grida Nella Notte? È il pegno, Cosa Dobbiamo Dargli? Quello Che Vuole, Cosa Vuole? Un Secchio Di Sangue, e così via e poi quando il padre ha detto tutto al ragazzo e gli fa vedere il mostro, il ragazzo ha un attacco di cuore e da allora non è più capace di far niente, se non pasticciare in biblioteca e in giardino e di dire la verità a suo figlio, quando sarà il momento. Capisci cosa intendo dire, Cully?
— Pressappoco — rispose giudiziosamente l’altro.
— Be’, comunque è così che il comportamento di mio padre mi ha spinto a considerare il Trust dei Cervelli. Dio, quel nome mi ha fatto impressione fin dall’inizio! Anche quando ero bambino sapevo che c’era qualcosa che puzzava di malaugurio, nei precedenti della mia famiglia. Il mio caro papà era allergico alle uova e non ammetteva l’argenteria sulla tavola, neppure placcata. Una volta cadde svenuto quando un nuovo robot inglese, arrivato fresco fresco da Sheffield, gli portò per colazione un uovo posato, guscio e tutto, su un portauovo d’argento. E una volta mi portò a una festa per bambini e si sentì male durante una gara che non era stata annunciata, sai, una di quelle in cui i bambini devono far rotolare le uova. E poi c’erano le misteriose telefonate che io intraùdivo a proposito della Nursery e che, secondo me, era quella in cui dormivo io; e sono stato terribilmente male, lascia che te lo dica, la volta in cui sentii papà dire (fu durante i Terzi Moti Anti Robot) “Credo che dovremmo tenerci pronti a portarli sottoterra e a fare saltare in aria la Nursery con un solo istante di preavviso, giorno o notte”.
“Per peggiorare la situazione, papà non era il tipo che amava aspettare; e non avevo ancora nove anni, altro che tredici!, quando mi portò alla Nursery, alla loro Nursery, e me li presentò tutti e trenta. Dapprima pensai che fossero una specie di menti-robot, naturalmente, ma quando mi disse che dentro ciascuno di essi c’era un cervello vero, caldo e umido, gettai via i biscotti e per poco non vomitai. Ma papà mi costrinse ad ascoltare e a vedere fino alla fine, e poi mi portò a una lezione di equitazione… papà apparteneva alla vecchia scuola. Una delle teste d’uovo mi disse: ‘Tu mi ricordi un mio nipotino che morì ottantenne centosette anni or sono’. Ma il peggio fu quello che mi rise in faccia e mi disse: ‘Ti piacerebbe venire qui dentro con me, piccolo?’.
“Be’ in seguito sognai per settimane le teste d’uovo, tutte le notti, e i sogni avevano sempre la stessa spaventosa conclusione realistica. Io ero a letto nella mia Nursery e la porta si apriva senza far rumore nell’oscurità e entrava, galleggiando a due metri dal pavimento, con gli occhi simili a fiochi carboni accesi, una di quelle cose con quello spaventoso aspetto da cranio semifinito con l’enorme calotta metallica”.
La porta dell’ufficio si aprì, senza far rumore.
Flaxman si raddrizzò sulla sua sedia, in modo che il suo corpo si trovò a un angolo di quarantacinque gradi rispetto al pavimento. Gli occhi gli si chiusero e un tremito (non forte ma evidente) lo scosse.
Ritto sulla soglia c’era un robot, sciupato al punto da sembrare butterato.
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