— Chi sei, ragazzo? — chiese freddamente Cullingham.
Dopo cinque secondi buoni, il robot rispose: — L’elettricista signore — e levò la chela destra alla fronte brunita e quadrata in saluto militare. Flaxman riaprì gli occhi.
— E allora ripara la serratura elettrica di quella porta! — ruggì.
— Subito signore — disse il robot con un nuovo vivace saluto. — Non appena avrò sistemato la scala mobile. — E richiuse di scatto la porta.
Flaxman fece per alzarsi, poi si lasciò ricadere sulla sedia. Cullingham disse:
— Strano! A parte il fatto che è così butterato, quel robot è l’immagine del rivale di Zane… sai, quello che una volta era fattorino in una banca, Cain Brinks, l’autore dei romanzi di Madame Iridio. Deve essere un modello molto più comune di quanto credessi. Bene, adesso, Flaxy, tu dici che le teste d’uovo ti danno fastidio, ma senza dubbio ti sei comportato con coraggio ieri, quando c’era qui Ruggine.
— Lo so, ma non credo di poter continuare — disse Flaxman in tono infelice. — Credevo che sarebbe stata una faccenda rapida assegnare loro un compito, sai, “Vogliamo trenta romanzi ipnotici, pieni d’azione, per giovedì prossimo!”; ma se dobbiamo parlare con loro e discutere e convincerli con le buone solo per indurii a provare… dimmi, Cully, cosa fai, tu , quando diventi nervoso?
Cullingham assunse un aspetto pensieroso per un momento, poi sorrise.
— Segreto per segreto — disse. — Tu serba il mio come io serberò il tuo. Vado da madame Pneumo.
— Madame Pneumo? Ho già sentito altre volte quel nome, ma non sono mai riuscito ad ottenere una spiegazione.
— Proprio così — disse Cullingham. — Molti uomini pagano somme con tre zeri soltanto per ottenere le spiegazioni che io sto per darti.
— La casa di madame Pneumo — cominciò Cullingham — è una casa di piacere molto esclusiva che appartiene ai robot, è gestita dai robot e il cui personale è composto da robot. Vedi, cinquant’anni fa o giù di lì, vi fu un robot matto che si chiamava Harry Chernik (per lo meno, io credo che fosse un robot) la cui ambizione era quella di costruire robot che fossero esternamente del tutto simili ad esseri umani, fino all’ultimo particolare anatomico ed epidermico. L’idea dominante di Chernik era che se gli uomini e i robot fossero stati esattamente eguali, e in particolare avessero potuto fare l’amore fra di loro, non vi sarebbe stata più alcuna inimicizia fra le due razze. Chernik svolse la sua attività, vedi, circa all’epoca dei Primi Moti Anti-Robot ed era un inter-razzista convinto.
“Ebbene, naturalmente il progetto risultò essere un vicolo cieco per quanto riguardava lo scopo principale di Chernik. In maggioranza i robot non avevano nessuna voglia di sembrare esseri umani, e per giunta tutto lo spazio nell’interno di un robot di Chernik era occupato da meccanismi che dovevano metterlo in grado di imitare perfettamente il comportamento di un essere umano a letto e in altre semplici azioni necessarie nei rapporti sociali (perfetti controlli muscolari, di temperatura, di umidità, di suzione e così via) e di conseguenza non c’era più posto per nient’altro. A parte le loro straordinarie capacità amatorie, i robot di Chernik erano completamente privi di mente: non erano affatto veri robot, ma semplici automi: e per mettere insieme un vero robot e un automa di Chernik nello stesso involucro che avesse l’aspetto di una ragazza, si sarebbe ottenuto un mostro alto tre metri oppure grosso come la donna-cannone di un circo.
“Inoltre, come ti dicevo, risultò che in maggioranza i robot non erano entusiasti dell’idea: volevano essere di agile, duro metallo e nient’altro; un robot o una robicchia morbidi e bulbosi che avessero l’aspetto d’un essere umano, anche di un essere umano bellissimo, avrebbero subito l’ostracismo e sarebbero per sempre stati esclusi dai loro particolari piaceri, specialmente da tutti gli atti di tenerezza tra robot e robicchie.
“Chernik ne fu affranto. Come certi antichi rajah, si stese su un letto enorme circondato da tutte le sue creature più seducenti, appiccò il fuoco alle cortine cremisi del letto e poi si uccise per elettrocuzione. Chernik era matto, vedi.
“I robot che lo finanziavano, però, non erano matti. Avevano sempre avuto in mente alcuni usi sussidiari altamente redditizi, per gli automi di Chernik, anche se a lui non avevano mai confidato le loro idee. Quindi spensero il fuoco, salvarono gli automi, e quasi immediatamente li misero al lavoro in una istituzione riservata ai maschi umani, limitandosi ad aggiungere alcune garanzie igieniche ed economiche cui l’immaginazione essenzialmente idealistica di Chernik non aveva mai pensato”.
Cullingham corrugò la fronte.
— Non so, in realtà, se abbiamo mai fatto qualcosa di simile con gli automi maschi che Chernik dovrebbe avere creato: questa piccola organizzazione di robot è straordinariamente discreta. Ma le loro femmequine, come sono chiamate qualche volta, furono un grande successo. Naturalmente il fatto che fossero prive di intelligenza le rendeva molto attraenti, e in ogni caso questo non impediva che in esse si potesse inserire qualche nastro o qualche meccanismo speciale per compiere qualunque gesto o per mormorare qualunque fantasia che un cliente desiderasse. La cosa migliore, forse, era che qualunque commercio carnale con loro non comportava assolutamente alcun senso di legame, di conflitto o di timore delle conseguenze.
“Inoltre vennero aggiunte speciali caratteristiche che resero le femmequine particolarmente attraenti per gli uomini più schizzinosi, fantasiosi ed esigenti, come me.
“Perché, vedi, Flaxie, l’organizzazione dei robot non soltanto aveva salvato gli automi femmine di Chernik, ma altresì tutti i suoi brevetti e procedimenti segreti. Dopo un po’, cominciarono a costruire femmequine fuori serie, donne che erano meglio delle donne vere o per lo meno erano molto più interessanti se tu hai una passione per il tipo outré ”. Cullingham si animò un poco, e macchie di colore apparvero sulle sue guance pallide. “Puoi immaginare, Flaxie di avere a che fare con una ragazza che è tutta velluto o peluche, o che davvero diventa tutta calda o tutta fredda, o che ti può cantare sottovoce una sinfonia a piena orchestra, o magari il Bolero di Ravel, o che ha i seni leggermente prensili o zone dell’epidermide lievemente elettrizzate, o che ha qualche lineamento, non troppo marcato, si intende, di una gatta o di un vampiro o di una piovra, o ha i capelli come quelli di Medusa o di Shambleau, che sono vivi e ti accarezzano, o che ha quattro braccia come Shiva, o una coda prensile lunga otto piedi… e nello stesso tempo è perfettamente innocua, non può darti noia, né contagiarti, né dominarti in ogni modo? Non voglio parlare come un libro in brossura, Flaxie, ma credi, è un piacere assoluto!”
— Per te forse — disse Flaxman, guardando il socio con una certa apprensione. — Ehi, adesso capisco perché, con quei gusti, ieri ti sei fatto venire i brividi quando quella Ibsen ha cominciato a guardarti con l’acquolina in bocca.
— Non ricordarmelo! — supplicò Cullingham, impallidendo.
— D’accordo. Bene, come volevo dire, le femmequine fuori serie di madame Pneumo possono essere adatte per te (ciascuno ha i suoi gusti!), ma io… non mi calmerebbero per niente; anzi, ho paura che convertirebbero il mio nervosismo in ribrezzo, proprio come quelle spaventose teste d’uovo che negli incubi della mia infanzia venivano a volteggiare nell’oscurità, per poi tuffarsi sotto al letto e risalire, preparandosi a uccidermi.
Per la seconda volta, la porta dell’ufficio si spalancò. Flaxman si esibì in una versione moderata della sua precedente reazione, ma diede l’impressione di essere comunque profondamente scosso.
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