Un uomo robusto dal mento blu, che indossava una tuta color cachi, li guardò e poi spiegò bruscamente: — Azienda elettrica. Normale ispezione dei guasti. Vedo che la vostra serratura elettrica non funziona. Prenderò nota. — E si tolse il taccuino dalla tasca.
— Il robot che sta riparando la scala mobile aggiusterà anche quella — disse Cullingham osservando pensieroso l’uomo.
— Non ho visto nessun robot quando sono salito — rispose l’altro. — Secondo me, sono tutti sporchi mascalzoni di latta o idioti di latta. Ne ho licenziato uno proprio ieri sera. Beveva corrente ad alto voltaggio durante il lavoro. Deve aver fatto fuori qualche centinaio di ampère. Andremo in rovina in due settimane, se quello trova il modo di continuare.
Flaxman riaprì gli occhi.
— Sentite, mi fareste un grosso favore? — disse ansioso all’uomo che stava sulla soglia. — So che siete un ispettore, ma non c’è niente di illegale e io vi ricompenserò adeguatamente. Ma aggiustate la serratura elettrica di quella porta, subito.
— Sarò lietissimo di accontentarvi — sogghignò l’uomo. — Non appena avrò preso la borsa dei ferri — aggiunse, indietreggiando rapidamente e richiudendo la porta.
— Strano — disse Cullingham — quell’uomo è la copia perfetta di un certo Gil Hart che faceva l’investigatore privato e il procuraguai industriale quando l’ho conosciuto, cinque anni fa. O era il suo gemello, oppure Gil è andato in rovina. Oh, be’, non è un guaio, era un uovo marcio.
Flaxman batté automaticamente le palpebre a quelle parole. Fissò per un lungo attimo la porta chiusa e temporaneamente tranquilla, poi scrollò le spalle.
— Cosa stavi dicendo, Cully, a proposito delle teste d’uovo? — chiese.
— Non stavo dicendo niente — fece con dolcezza Cullingham. — Ma eccoti il piano che ho meditato questa notte. Inviteremo due o tre uova, non Ruggine, questa volta, a venire in ufficio. Gaspard può aiutare a portarle, ma non dovrà essere qui, durante il colloquio e non dovrà esserci neppure una delle bambinaie: costituiscono una distrazione. Gaspard può riaccompagnare la bambinaia, o qualcosa del genere, mentre noi faremo una bella chiacchierata di due o tre ore; io presenterò certa roba e forse farò qualcosa alle uova, e credo che le convincerò a scrivere. Mi rendo conto che per te sarà dura, Flaxie, ma se a un certo momento andrà troppo male, potrai uscire e riposarti mentre io continuo.
— Credo che sarà meglio fare così — disse rassegnato Flaxman. — Dobbiamo ottenere dei libri da quegli orrori, o siamo finiti. E per me vedermeli qui, posati sui loro cercini neri mentre mi fissano, non sarà poi tanto peggio che ricordare il modo spaventoso in cui entravano…
Questa volta la porta si aprì così lentamente e dolcemente che lo sguardo non riusciva a cogliere il senso del movimento: il battente era quasi completamente spalancato quando i due se ne accorsero. Questa volta Flaxman si limitò a chiudere gli occhi, con un lampo bianco finale, come se avesse rivolto di scatto le pupille verso l’alto.
Ritto sulla soglia c’era un uomo alto e magro, dalla carnagione non molto più viva del suo abito grigiocenere. Gli occhi cavernosi, la lunga faccia sparuta, le spalle aggobbite e il petto incavato lo facevano assomigliare a un pallido cobra appena levato dal cesto di vimini.
— Cosa volete, signore? — chiese Cullingham.
Senza aprire gli occhi, Flaxman aggiunse, con voce molto stanca: — Se vende elettricità, noi non ne compriamo.
L’uomo grigio sorrise lievemente. E questo accentuò la sua somiglianza con un cobra. Ad ogni modo disse con voce che era tuttavia sibilante: — No. Curiosavo soltanto. Ho pensato che, siccome era tutto aperto e deserto, questo fosse uno degli edifici sinistrati in vendita.
— Non avete visto gli elettricisti al lavoro, lì fuori? — chiese Cullingham.
— Non c’è nessun elettricista qui fuori — disse l’uomo grigio. — Va bene, signori, me ne andrò. Fra due giorni riceverete la mia offerta.
— Qui non c’è niente in vendita — l’informò Flaxman. L’uomo grigio sorrise.
— Manderò comunque la mia offerta — disse. — Sono un tipo molto insistente e temo che lorsignori dovranno tener conto della mia ostinazione.
— Be’, voi chi siete, comunque? — domandò Flaxman. L’uomo grigio sorrise per la terza volta, mentre richiudeva lentamente la porta dietro di sé, e disse: — I miei amici mi chiamano, forse per la mia ferrea persistenza, La Garrota.
— Strano — disse Cullingham quando la porta si fu richiusa. — Anche quell’uomo mi ricorda qualcuno. Ma chi? Ha una faccia da Cristo siciliano… Strano!
— Cos’è una garrota? — chiese Flaxman.
— Uno stretto collare di ferro — rispose freddo Cullingham — con una vite per rompere l’osso del collo. Un’invenzione degli allegri vecchi spagnoli. Tuttavia, La Garrota potrebbe anche significare Nodo Scorsoio.
Mentre pronunciava quelle ultime parole, le sue sopracciglia si alzarono. I due soci si guardarono in faccia.
Il lied di Robert Schumann Non piangerò ispira un sentimento di terribile e gloriosa solitudine con le sue immagini germaniche di amori perduti, di splendori diamantini, di serpenti ravvolti in spire che addentano cuori gelati nell’eterna notte, ma è anche più impressionante quando viene cantato in una discordia stranamente armoniosa da un coro di ventisette cervelli sigillati.
Finalmente l’ultimo sommesso nicht svanì in un brivido, e Gaspard de la Nuit applaudì senza far troppo rumore. Adesso aveva i capelli tagliati cortissimi e sul suo viso i lividi erano diventati d’un bel porpora verdastro. Si tolse dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una.
La signorina Bishop saettò tutto intorno nella Nursery per staccare gli altoparlanti con una rapidità di scoiattolo, anche se questo non fu sufficiente per sfuggire a una salva di fischi, di risate maligne e di ululati emessi dalle menti incapsulate.
Quando tornò indietro riassestandosi un ricciolo che si era impercettibilmente spostato, Gaspard le disse: — È proprio come un dormitorio pubblico.
— Mettete via quella sigaretta, qui non si può fumare. Sì, avete ragione, a proposito dei marmocchi. Hanno una quantità di manie: le ultime sono per la storia bizantina e per un sistema di comunicazione per mezzo dei colori con gli altoparlanti illuminati su tutta la gamma dell’iride. Litigi, ripicche… qualche volta due rifiutano di farsi collegare uno all’altro e continuano così per settimane intere. Critiche, lagnanze, gelosie… io parlo con Mezza Pinta più che con gli altri, lui è il preferito dalla maestra, ho dimenticato di inserire il sistema audiovisivo di Verde, non posso mettere l’occhio di Grosso esattamente dove vuole lui, è sempre così… o forse è perché ero in ritardo di due minuti e di diciassette secondi per fare a Graffo il suo bagno audiovisivo, che è un flusso di colore e di suono con il quale si tonificherebbero solo le zone sensorie, solo che non possiamo vederlo o sentirlo, grazie al cielo. Mezza Pinta dice che è come un Niagara di soli.
“E che capricci, buon Dio… qualche volta uno di loro non vuole dire una parola per un mese intero e io devo blandirlo e blandirlo, o fare finta di niente, il che è più difficile ma dà risultati migliori, a lungo andare. E come si scimmiottano scioccamente… Se uno di loro inventa un nuovo stupido modo di comportarsi, subito dopo tutti gli altri lo imitano. È come avere a che fare con una famiglia di geni mongoloidi. La signorina Jackson, che ha una passione per la storia, li chiama i Trenta Tiranni, come certi tali che un tempo dominarono Atene. Sono una preoccupazione interminabile. Qualche volta credo di non avere altro da fare, al mondo, se non cambiare le fontanelle”.
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