Fritz Leiber - Le argentee teste d'uovo

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Le argentee teste d'uovo: краткое содержание, описание и аннотация

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Presentazione tratta dai Classici Urania:
Quali mutamenti possono attendere il mondo della cultura nel prossimo secolo? Fritz Leiber ce ne offre un assaggio nel suo romanzo più caustico e divertente. Agli scrittori toccherà firmare soltanto le opere composte elettronicamente dai mulini-a-parole, e recitare in pubblico i ruoli scelti per loro dalle controcopertine. Solo i colleghi robot sapranno scrivere sul serio, ma com’è ovvio, per un pubblico di robot. Questo, fino al giorno in cui gli scrittori inferociti distruggono tutti i mulini-a-parole, per dover poi affrontare una grave crisi di creatività. Solo presso l’Editrice Razzi nessuno sembra scaldarsi molto; forse perché qui si custodisce il grande segreto del secolo precedente, il Divorzio Psicosomatico di Daniel Zukertort. In una nursery segreta, infatti, vivono ancora le trenta argentee Teste d’Uovo la cui esistenza potrebbe scuotere il mondo intero… per il bene di tutti i lettori.

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La quarta parete era ingombra di ripiani carichi dei trofei e dei ricordi delle vocazioni secondarie che aggiungevano tanto colore alle controcopertine: arpioni da pesca e respiratori subacquei, scarponi chiodati da scalatori, maschere artiche dagli occhi a fessura, volanti da applicarsi a scatto, tute spaziali di modello sportivo (qualcuna con i razzi da corsa), distintivi da investigatore e manubri da ginnastica, fucili da caccia grossa, bussole e caviglie metalliche, asce da boscaioli e spatole brunite dal calore (del tipo usato dai cuochi per cuocere i salsicciotti), barattoli di latta dall’orlo seghettato, lucenti brandelli di vela lieve come una piuma, brizzolata dai venti leggeri.

In un angolo vicino c’era una minuscola cappella, fiocamente illuminata, in cui erano custodite come reliquie le antiche fonoscriventi e persino qualche dittafono e qualche macchina da scrivere elettrica, che gli scrittori patentati del sindacato avevano usato per il loro lavoro commerciale al tempo in cui si era verificato il passaggio dagli uomini ai mulini.

Alcuni di quegli scrittori e di quelle scrittrici primordiali, mormorava la tradizione, avevano veramente continuato a comporre capolavori letterari pubblicati, in tirature limitate, a loro spese o a spese di qualche università non progressista orientata semanticamente. Ma per i loro successori, la scrittura creativa era stato soltanto un sogno, lungo quanto la vita, che era diventato sempre più nebuloso con il passare dei decenni, fino a che aveva ripreso impulsivamente vita in quel giorno di decadenza e di malcontento sindacale.

Quella sera la Parola era affollatissima.

Gli scrittori non erano troppo ben rappresentati, perché molti di loro se ne stavano altrove, seduti in cerchio, a tenersi per mano nel tentativo di fare scorrere il fluido creativo, e altri erano stati impegnati, al momento del massacro, in viaggi auto-pubblicitari in altre città o su altri pianeti.

Ma i non scrittori erano presenti in così gran numero da tenere impegnati tutti i robot di servizio che correvano da un tavolo all’altro. C’erano i soliti curiosi che venivano a vedere gli scrittori selvatici nel loro habitat naturale e a osservare dal vivo la loro vita sessuale, ma quella sera il loro numero era accresciuto da un’orda di cercatori di sensazioni morbose impazienti di vedere i maniaci che avevano compiuto, quella mattina, una distruzione così imponente. In mezzo a quella folla, specialmente seduti ai tavoli migliori al centro della sala, c’erano individui e piccoli gruppi che davano l’impressione di avere scopi più seri che non la semplice ricerca del brivido… scopi segreti, probabilmente sinistri.

Al tavolo verde centrale sedevano Heloise Ibsen e Homer Hemingway, che venivano serviti da una scrittrice minorenne dal viso triangolare, vestita da cameriera francese.

— Pupa, non ci siamo messi in mostra abbastanza? — si lagnò il grosso scrittore; la luce delle lampade ondeggiò sulla sua testa rasata. — Vorrei andare a dormire.

— No, Homer — gli disse Heloise. — Devo mettere le mani su tutti i fili al centro della ragnatela, e non vi sono ancora riuscita. — Si guardò alquanto intorno pensierosa, osservando gli occupanti dei tavoli vicini e facendo tintinnare la sua collana da caccia fatta di teschi d’argento. — E tu devi mostrarti al tuo pubblico, o finirai per svalutarti.

— Ma, insomma, pupa, se andassi a letto adesso, forse potremmo anche… sai bene. — E la guardò di straforo, con aria lusinghiera.

— Finalmente ne hai voglia, eh? — fece seccamente lei. — Be’, io credo di non averne. Con quello schermo che hai sulle parti posteriori, continuerei a pensare di essere a letto con l’uomo trasparente. Fra l’altro, ti ci siedi sopra o davanti o di dietro o che altro?

— Sopra, naturalmente. Questo è il bello pupa… è un cuscino d’aria. — Sobbalzò morbidamente un paio di volte a scopo dimostrativo. Il movimento era piuttosto simile a quello di una culla che dondolasse e le palpebre di Homer cominciarono ad abbassarsi.

— Svegliati, — ordinò Heloise. — Non voglio avere come cavalier servente uno che russa. Fai qualcosa per rimanere sveglio. Ordina uno stimolante o un caffè alla fiamma.

Homer le lanciò un’occhiata ferita mentre chiamava l’apprendista di servizio al loro tavolo.

— Piccola! Portami un bicchiere di latte bi-irradiato a 150 gradi Fahrenheit.

— E infilaci dentro quattro pastiglie di caffeina — aggiunse Heloise.

— Niente affatto, pupa! — protestò Homer in toni virili e pettorali. — Non ho mai fatto una sola corsa da drogato in tutta la mia vita, neppure questa pazza maratona di veglia. Niente eccitanti in quel latte, piccola. Ehi, non ti ho già visto da qualche parte, prima d’ora?

Oui , M’sieu Hemingway, mi avete visto — rispose la minorenne con una smorfietta leziosa. — Io sono Suzette, autrrisce con Toulouse La Rimbaud del librrro Vita e amorrri d’una gemellà frrancese. La gemella vuol dirrre molte cose, tanto in dispensa che in letto. Ma adesso devo ordinare il latte caldo così e così per M’sieu.

Homer l’osservò agitare i fianchi sotto la cortissima gonna di seta nera, mentre si affrettava verso una porta di servizio.

— Ehi, pupa — commentò — non ti stringe il cuore a pensare che una piccola bambola innocente come quella sappia parlare di perversioni e tutto il resto?

— Quella piccola bambola — rispose seccamente Heloise — sapeva tutto sulle perversioni e sul modo di usarle per farsi amici e conquistar la gente, molto tempo prima che tu posassi con il tuo primo timone sullo sfondo di un ciclorama che rappresentava un tramonto tropicale.

Homer alzò le spalle.

— Forse è così, pupa — disse sottovoce. — Ma questo non mi offende. Questa sera mi sento mistico, sognatore, potresti dire, in comunione spirituale con tutte le cose. — E corrugò la fronte quando Heloise lo fissò incredula. — Per esempio, tutte quelle teste lassù, cosa stanno pensando? Oppure penso ai robot. Mi chiedo se i robot soffrono come noi. Quello laggiù che si è appena rovesciato addosso il caffè bollente… sente dolore? Un tale mi ha detto che possono perfino avere il sesso, che lo fanno per mezzo dell’elettricità. Anche il dolore? Quel robot rosa avrà sofferto quando l’ho scottato con il lanciafiamme? È un pensiero consolante.

Heloise ridacchiò.

— Non poteva avere un buon ricordo di te, a giudicare dal modo in cui ti ha innaffiato di schiuma questo pomeriggio, come se tu fossi un incendio!

— Non ridere, pupa! — protestò Homer. — Ci ho rimesso la mia migliore divisa da marinaio. Quella che mi portava fortuna.

— Sembravi così buffo, coperto di quella roba appiccicosa!

— Ecco, anche tu non facevi una bella figura, mentre ti nascondevi dietro di me e ai tuoi scagnozzi per non venire innaffiata. Il che mi ricorda una cosa: perché mi hai raccontato quella bugia a proposito di ciò che stava succedendo all’Editrice Razzi e della ragione per cui dovevamo andare là? Non stavano assumendo altri scrittori, a quanto ho potuto vedere, e tu non hai fatto neppure una domanda in proposito. Prima hai cominciato a chiedere qual era il loro segreto e poi ti sei messa a parlare di qualcosa che non avevo mai sentito nominare. Vendicatori dei mulini-a-parole e il Nodo Scorsoio. Che cosa sono, pupa, ad ogni modo?

— Oh, sta’ buono! Era solo una falsa pista che mi aveva fornito Gaspard, quel piccolo imbroglione. Adesso devo tirar fuori i fatti reali.

— Ma io voglio sapere tutto, pupa. Finché non potrò dormire, continuerò a sognare a occhi aperti e a pensare alle Conserve Baia Verde e alla vita, e vorrò sapere tutto di tutto.

— E allora ascoltami mentre sto pensando a voce alta — scattò Heloise. I suoi lineamenti si irrigidirono e cominciò a parlare a frasi staccate, sottovoce all’inizio: — L’Editrice Pazzi, che sembrava addormentata, è sveglissima. Avevano infilato un loro tirapiedi nel sindacato… Gaspard. Sono in contatto con i robot scrittori… Zane Gort; e con il governo… la signorina Blushes. Quando gli siamo piombati addosso, si stavano comportando come se avessero qualcosa da perdere, non come se se ne infiaschiassero. Flaxman saltellava come un coniglio davanti a una cantina piena di lattuga. Si stava coccolando le fotografie di certe uova sotto le quali erano scritti nomi che sembrano di scrittori, solo che non riesco a riconoscerne neppure uno… scommetto che tutto questo significa qualcosa.

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